Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23446 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23446 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 29/11/2023 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 29 novembre 2023 il Tribunale di Roma, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da NOME COGNOME per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui agli artt. 7 c. 1 e 4 d.P.R. n. 309/1990, giudicati con due diverse sentenze, commessi il primo tra maggio e luglio 2014, e il secondo tra il 02/12/2013 e il 10/02/2016.
Il Tribunale ha ritenuto insussistenti gli indici rivelatori di un unico disegn criminoso, per la distanza cronologica degli eventi giudicati, commessi in un arco temporale di circa quattro anni, sebbene sovrapponibili, nonché commessi con modalità diverse, cioè servendosi o meno di complici, e in località diverse, circostanze che rendono non plausibile la loro unitaria programmazione sin dal 2013. Le violazioni, nonostante l’omogeneità dei titoli di reato, appaiono frutto, piuttosto, di una generica pervicacia nel delinquere e di una inclinazione a commettere quello specifico delitto. Anche la finalità di profitto costituisce solo i movente delle varie condotte, ma non dimostra la loro programmazione unitaria.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen.
Il giudice non ha correttamente valutato il fatto che si tratta di condotte che si integrano l’una nella dinamica dell’altra, e sono espressione di un unico programma unitario in quanto dimostrative del fatto che il ricorrente si occupava non solo di detenere sostanze stupefacenti, ma anche di “piazzarle” sul territorio romano. Gli episodi risalenti al 2014, giudicati con la prima sentenza, rappresentano i suoi tentativi di vendere la droga che deteneva dal dicembre 2013, come contestatogli nella seconda sentenza. Le varie condotte, quindi, sono legate tra loro e si svolgono in un ampio arco temporale ma senza soluzione di continuità; anche la diversità dei luoghi di consumazione non è significativa, in quanto egli utilizzava, per la detenzione della droga, un box in Roma, e si spostava invece nella sua abitazione, a Tivoli, per l’attività di cessione. La sostanza stupefacente a cui fanno riferimento i due procedimenti, quindi, è la stessa, ha la medesima provenienza, e identico è sempre lo schema delittuoso per l’approvvigionamento e la commercializzazione. Sussistono, quindi tutti i requisiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità pe riconoscimento dell’istituto della continuazione.
Il delitto contestato, poi, quello di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, è u tipico reato a fattispecie plurime, per cui occorre verificare con attenzione se la
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pluralità di condotte costituisca più reati o un unico reato, in particol detenzione e cessione dello stupefacente, sulla base della loro autonomia e contesto finalistico dell’azione. Per tale ragione non è possibile negare la continuazione quando tra le condotte vi sia non solo contiguità spazio-temporale, ma addirittura una sovrapponibilità.
L’ordinanza è errata anche nella parte in cui il Tribunale ha affermato che il ricorrente, agendo talvolta da solo e talvolta in concorso con complici, dimostrerebbe una capacità criminale autonoma, non potendo tale circostanza caratterizzare o meno l’unicità di disegno criminoso, ben potendo l’autore portare a termine tale disegno con modalità attuative diverse. Dalle sentenze, inoltre, emerge che il ruolo dei complici era diverso da quello del ricorrente, il quale si occupava in modo autonomo della detenzione e della cessione dello stupefacente, mentre i complici si occupavano dell’approvvigionamento. Egli, infatti, è stato assolto dal reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309/1990 contestatogl unitamente a detti complici, per la riconosciuta autonomia della sua azione.
L’ordinanza, infine, è errata nella parte in cui il Tribunale ha affermato la sussistenza di una inclinazione a delinquere, che richiederebbe l’applicazione dell’istituto della recidiva e non quello della continuazione. Tali due istituti no sono in contrapposizione tra loro, ma necessariamente coesistono, come ritenuto dal legislatore e dalla giurisprudenza, rispondendo a due diverse finalità di prevenzione e repressione.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, e deve essere accolto.
L’ordinanza impugnata non ha valutato adeguatamente la contestualità tra i due gruppi di reati, che si inseriscono l’uno nell’altro temporalmente e, secondo il ricorrente, anche come attuazione e finalità.
Questa Corte ha affermato che «in tema di continuazione in sede esecutiva, deve formare oggetto di valutazione il riconoscimento del vincolo, avvenuto in sede di cognizione, tra reati commessi in un arco temporale al cui interno si collocano, in tutto o in parte, quelli costituenti oggetto della domanda, sicché il giudice che ritenga di non accoglierla, anche solo con riguardo a taluni illeciti commessi in un contesto di prossimità temporale e di medesimezza spaziale, è
tenuto a motivare la decisione di disattendere la pregressa valutazione effettuata dal giudice di merito» (Sez. 1, n. 2867 del 08/11/2023, dep. 2024, Rv. 285809).
L’ordinanza ha escluso la sussistenza del medesimo disegno criminoso tra gli episodi di detenzione di varie sostanze stupefacenti, commessi tra il dicembre 2013 e il febbraio 2016, già ritenuti avvinti dalla continuazione secondo il giudice della cognizione, e alcuni episodi di cessione di sostanze stupefacente commessi tra maggio e luglio 2014, anch’essi già ritenuti in continuazione tra loro, valorizzando eccessivamente, e in parte erroneamente, la distanza temporale, la diversità dei luoghi, la non omogeneità delle condotte.
2.1. L’ordinanza è errata, in primo luogo, in quanto all’inizio della parte motiva afferma che non è «possibile reputarsi che i plurimi delitti di cui alle sentenze di condanna riportate da COGNOME NOME, per fatti commessi dal 2013 al 2016 siano stati concepiti in esecuzione di un medesimo ed unitario disegno criminoso». Tale affermazione contrasta con la decisione del giudice della cognizione che, in relazione alle condotte di detenzione, ha ritenuto sussistere la continuazione, nonostante l’ampio arco temporale di tali condotte e la distanza tra l’uno e l’altro dei tre fatti accertati. Il giudice dell’esecuzione non può no ritenere già valutato definitivamente che il COGNOME ha agito con il medesimo disegno criminoso nel detenere varie sostanze stupefacenti al fine di cederle a terzi, e che tale unicità di disegno criminoso si è protratta dal 2013 al 2016, senza che la commissione di nuovi reati possa essere valutata come «progressione di una carriera criminale».
2.2. Anche nello stigmatizzare che la consumazione dei vari reati è avvenuta «in un contesto temporale di più anni, seppur sovrapponentisi», l’ordinanza non tiene conto del fatto che la richiesta di continuazione non riguarda reati singoli, ma delitti già unificati tra loro dal giudice della cognizione, il quale ha gi ritenuto sussistere la continuazione tra episodi di detenzione di stupefacenti commessi tra il dicembre 2013 e il 2016, e tra episodi di cessione commessi tra maggio e luglio 2014: il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto, quindi, valutare la distanza intertemporale non tra i fatti giudicati nelle due sentenze, ma tra i gruppi già unificati, evidenziando che uno dei gruppi si inserisce totalmente nell’arco temporale di consumazione dell’altro reato continuato, e motivando perché la già riconosciuta unicità del vincolo criminoso non avvinca le ulteriori condotte tenute nel frattempo.
L’ordinanza, poi, valorizza in modo eccessivo la diversità dei luoghi di consumazione, dal momento che i reati sono stati commessi in località molto vicine tra loro ed appare probabile che, come affermato dal ricorrente, tale diversità derivi solo dal fatto che la droga era sempre detenuta in un preciso luogo, mentre le cessioni potevano avvenire altrove.
Infine, nello stigmatizzare le diverse modalità della condotta, perché i fatti di detenzione sarebbero stati commessi con dei complici mentre quelli di cessione sarebbero stati commessi con azioni strettamente personali, l’ordinanza non tiene conto del fatto che, secondo le imputazioni della sentenza n. 8173/2019, i complici indicati erano, in realtà, i fornitori della sostanza, per conto dei qual egli deteneva ingenti quantità di hashish, provvedendo a cederla per loro conto, consegnando loro il ricavato o restituendo il residuo non venduto. La condotta materiale della detenzione, pertanto, sarebbe stata compiuta in modo singolo e autonomo dal ricorrente, sia pure agendo in accordo con i fornitori delle sostanze stesse.
2.3. L’ordinanza sembra non avere tenuto conto del fatto che, secondo le imputazioni della sentenza n. 8173/2019, il ricorrente sin dal dicembre 2013 deteneva la sostanza stupefacente, consegnatagli da terzi, al fine di cederla per loro conto, tanto da dover consegnare loro il ricavato della cessione. Il reato di detenzione, pertanto, è stato commesso programmando già la successiva vendita della sostanza, e quindi programmando la successiva commissione di altri reati. Il Tribunale avrebbe dovuto, pertanto, valutare approfonditamente, attraverso gli accertamenti compiuti dai giudici della cognizione, se tale programmazione sia stata meramente generica, o sufficientemente concreta da consentire di ritenere sussistente un unico disegno criminoso, e se i reati di cessione di stupefacente commessi nei mesi successivi, e giudicati con la seconda sentenza, si inserissero in tale quadro di programmazione unitaria o fossero frutto di determinazioni successive e occasionali.
Il ricorrente lamenta una errata o incompleta lettura delle due sentenze, da parte del giudice dell’esecuzione, e indica parti del loro contenuto che dimostrerebbero l’unicità del disegno criminoso tra tutte le condotte.
Deve ribadirsi che non appartiene alla competenza del giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto sui quali il giudice di merito ha motivato la su decisione: costituisce, infatti, un principio consolidato, dettato già dalla sentenza Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944, quello secondo cui il sindacato del giudice di legittimità è limitato alla verifica della sussistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, esulando dal suoi poteri la verifica della sua corrispondenza alle acquisizioni processuali e la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione. Questa Corte non deve procedere, pertanto, ad una nuova valutazione del contenuto delle due sentenze, dalle quali, secondo il ricorrente, emergerebbe la sussistenza di una programmazione unitaria dei vari delitti in esse contestati, ma deve solo
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valutare la correttezza del ragionamento logico-argomentativo attraverso il quale il giudice dell’esecuzione è pervenuto alla sua decisione.
In questo caso l’apparato argomentativo che sorregge la decisione negativa, oltre a presentare gli errori sopra già evidenziati, non appare fondarsi sul contenuto delle sentenze e sugli accertamenti compiuti dai giudici della cognizione, dal momento che non viene espressa alcuna valutazione in merito all’originario collegamento finalistico tra condotte di detenzione e condotte di cessione di sostanze stupefacenti, alla consecuzione temporale delle condotte, all’analogia delle modalità esecutive, elementi che emergono dai capi di imputazione delle due sentenze, come riportati nel ricorso, e della cui sussistenza, se confermata nelle sentenze di merito, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tenere conto.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Roma, in diversa persona fisica (vedi Sez. 2, n. 7155 del 11/01/2024, Rv. 285999), per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Roma.
Così deciso il 02 maggio 2024