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Continuazione tra reati: il tempo è un limite logico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati di stupefacenti e bancarotta, commessi a 13 anni di distanza. Secondo la Corte, un lasso di tempo così ampio, unito alla diversa natura dei crimini, costituisce un ‘limite logico’ che impedisce di ravvisare un medesimo disegno criminoso, elemento essenziale per la continuazione tra reati.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Tempo Diventa un Muro Insormontabile

La continuazione tra reati, disciplinata dall’art. 81 del codice penale, è un istituto di favore che permette di unificare sotto un’unica pena, opportunamente aumentata, più condotte criminose nate da un medesimo disegno. Ma cosa accade quando tra un reato e l’altro intercorre un periodo di tempo estremamente lungo? Con l’ordinanza n. 21723/2024, la Corte di Cassazione fornisce una risposta chiara: un lasso temporale eccessivo può rappresentare un ‘limite logico’ all’esistenza di un unico piano criminale.

Il Caso in Esame: Stupefacenti e Bancarotta a 13 Anni di Distanza

Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava un ricorso presentato da un condannato che chiedeva di applicare il vincolo della continuazione a due reati molto diversi tra loro e, soprattutto, temporalmente distanti. Il primo reato era una violazione della legge sugli stupefacenti, mentre il secondo, commesso ben 13 anni dopo, era un reato di bancarotta. Il ricorrente sosteneva che entrambe le condotte facessero parte di un unico programma criminoso, ma sia il Giudice dell’esecuzione che la Corte d’Appello avevano rigettato la sua richiesta.

La Decisione della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. La Corte ha ritenuto le censure del ricorrente generiche e volte a ottenere un riesame dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Secondo i giudici, il ricorso non superava il vaglio preliminare di ammissibilità perché, nella sostanza, non contestava la corretta applicazione della legge, ma proponeva una lettura alternativa delle prove, cosa non consentita.

Le Motivazioni: Il Lasso Temporale come Limite alla continuazione tra reati

Il cuore della decisione risiede nell’analisi del fattore tempo. La Cassazione ha stabilito che la distanza temporale di 13 anni tra i due reati, unita alla loro eterogeneità (stupefacenti e bancarotta), rappresenta un indice probatorio di fondamentale importanza. Sebbene il tempo non sia di per sé un ostacolo assoluto, un intervallo così lungo rende logicamente improbabile che il secondo reato fosse stato programmato, anche solo nelle sue linee generali, all’epoca del primo.

La Corte ha spiegato che, per riconoscere la continuazione tra reati, è necessario dimostrare che l’agente avesse concepito un unico ‘disegno criminoso’ fin dall’inizio. In questo caso, mancavano elementi per desumere che il condannato, al momento del reato di droga, avesse già pianificato di commettere una bancarotta oltre un decennio più tardi, in un contesto di vita e professionale completamente diverso (all’epoca non era ancora amministratore della società fallita).

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza: la valutazione sulla sussistenza della continuazione tra reati non può prescindere da un’analisi logica e basata su elementi concreti. Il solo decorso del tempo, se particolarmente significativo, può essere sufficiente a escludere l’unicità del disegno criminoso, specialmente in presenza di reati di natura diversa. La decisione sottolinea che l’istituto della continuazione non può essere invocato in modo astratto, ma richiede una prova rigorosa di un progetto unitario che leghi le diverse condotte criminali, prova che diventa sempre più difficile da fornire all’aumentare della distanza temporale tra i fatti.

È possibile riconoscere la continuazione tra reati molto distanti nel tempo?
No, secondo la Corte. Sebbene il tempo non sia un ostacolo assoluto, un lasso temporale eccessivamente lungo (in questo caso, 13 anni) rappresenta un ‘limite logico’ e un forte indice contrario alla sussistenza di un unico disegno criminoso, rendendo di fatto impossibile il riconoscimento della continuazione.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano generiche e miravano a una nuova valutazione dei fatti (‘apprezzamenti di merito’), attività non consentita alla Corte di Cassazione. Le questioni giuridiche sollevate, inoltre, sono state ritenute manifestamente infondate.

Quali elementi, oltre al tempo, hanno escluso la continuazione tra reati in questo caso?
Oltre all’enorme distanza temporale, la Corte ha considerato la disomogeneità dei reati (violazione della normativa sugli stupefacenti e bancarotta) e l’assenza di prove che dimostrassero una programmazione unitaria. I reati sono stati visti come il frutto di ‘autonome risoluzioni criminose’ nate in contesti di vita differenti e non collegate da un piano originario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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