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Continuazione tra reati: il tempo conta più di tutto?

Un uomo condannato per vari episodi di ricettazione tra il 1999 e il 2009 ha chiesto l’applicazione della continuazione tra reati. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. La motivazione si basa sull’ampio lasso temporale, ritenuto incompatibile con un unico disegno criminoso iniziale, configurando piuttosto una scelta di vita delinquenziale.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando il tempo diventa un ostacolo insormontabile

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, offrendo un trattamento più mite a chi commette più crimini nell’ambito di un unico progetto. Ma cosa succede quando questi reati sono separati da un lungo arco temporale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la distanza temporale possa vanificare l’esistenza di un disegno criminoso unitario, trasformando una serie di illeciti in una semplice inclinazione a delinquere.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato con cinque sentenze diverse per reati di ricettazione di assegni e documenti, commessi in un periodo di dieci anni, tra il 1999 e il 2009. L’interessato, tramite il suo legale, si è rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare l’istituto della continuazione, sostenendo che tutti gli episodi criminosi fossero parte di un unico programma deliberato sin dall’inizio. La sua tesi si basava sull’omogeneità delle condotte, sulle modalità dei fatti e sulla natura dei reati, tutti contro il patrimonio. Tuttavia, la Corte d’Appello di Napoli aveva già respinto tale richiesta, evidenziando proprio la mancanza di contiguità temporale e di elementi che potessero far presumere un piano unitario.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno ritenuto che l’ordinanza impugnata fosse ampiamente e logicamente motivata, sottolineando un principio fondamentale per il riconoscimento della continuazione tra reati.

L’importanza del fattore temporale nella continuazione tra reati

Il cuore della decisione risiede nella valutazione del fattore tempo. Secondo la Corte, un lasso temporale così esteso – ben dieci anni – rende “incredibile” che il primo reato, risalente al 1999, fosse già parte di un programma che includeva le condotte successive. Anche se i reati sono sostanzialmente omogenei, la loro distanza nel tempo è una circostanza sufficiente a escludere la programmazione unitaria. Un piano criminoso, per essere tale, deve essere deliberato sin dall’inizio, almeno nelle sue linee essenziali.

La distinzione tra disegno criminoso e scelta di vita delinquenziale

La Cassazione opera una distinzione cruciale: i reati commessi non appaiono come l’attuazione di uno specifico e preordinato programma, ma piuttosto come il risultato di una “scelta di vita delinquenziale”. In altre parole, non si tratta di un singolo progetto che si sviluppa nel tempo, ma di una generica inclinazione a commettere reati contro il patrimonio, che si manifesta occasionalmente quando se ne presenta l’opportunità. Questa interpretazione nega la radice stessa della continuazione tra reati, ovvero l’unicità della deliberazione criminosa.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la manifesta infondatezza del ricorso. L’ordinanza della Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’enorme distanza temporale tra i fatti fosse un elemento decisivo e sufficiente per negare l’unicità del disegno criminoso. L’idea che un soggetto possa programmare nel 1999, anche solo a grandi linee, una serie di reati da compiere nell’arco del decennio successivo è stata ritenuta priva di credibilità logica.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché, di fatto, il ricorrente chiedeva una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi già esaminati dal giudice dell’esecuzione. Un compito, questo, che non rientra nelle funzioni della Corte di Cassazione, la quale è giudice di legittimità e non di merito. La motivazione del giudice precedente è stata giudicata sufficiente, logica e non contraddittoria, e conforme ai principi giurisprudenziali consolidati in materia, come richiamato nelle sentenze Sez. U, n. 28659/2017 e Sez. 2, n. 28852/2013.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta dimostrare che i crimini siano simili per natura o modalità. È indispensabile provare l’esistenza di un unico disegno criminoso che li abbia preceduti e ispirati tutti. Un arco temporale eccessivamente lungo tra un reato e l’altro costituisce un forte indizio contrario, capace di per sé di far propendere per una diagnosi di mera inclinazione a delinquere piuttosto che per un progetto unitario. La decisione serve da monito: la valutazione del giudice di merito sul punto, se logicamente motivata, è difficilmente censurabile in sede di legittimità.

Cosa è necessario per ottenere la continuazione tra reati?
È necessario dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e deliberato fin dall’inizio che leghi tutte le condotte illecite, almeno nelle sue linee essenziali. La sola omogeneità dei reati non è sufficiente.

Un lungo periodo di tempo tra un reato e l’altro esclude sempre la continuazione?
Secondo questa ordinanza, un lasso temporale molto ampio (nel caso specifico, dieci anni) è una circostanza sufficiente per rendere incredibile l’esistenza di un unico piano criminoso iniziale e, quindi, per escludere la continuazione, anche in presenza di reati omogenei.

Qual è la differenza tra ‘disegno criminoso’ e ‘scelta di vita delinquenziale’?
Il ‘disegno criminoso’ implica una programmazione unitaria e specifica di più reati, deliberata prima di commettere il primo. La ‘scelta di vita delinquenziale’ indica invece una generica inclinazione a delinquere, che si manifesta in reati commessi occasionalmente, non legati da un piano preordinato ma da una propensione generale a violare la legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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