Continuazione tra reati: quando il tempo diventa un ostacolo insormontabile
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, offrendo un trattamento più mite a chi commette più crimini nell’ambito di un unico progetto. Ma cosa succede quando questi reati sono separati da un lungo arco temporale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la distanza temporale possa vanificare l’esistenza di un disegno criminoso unitario, trasformando una serie di illeciti in una semplice inclinazione a delinquere.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato riguarda un individuo condannato con cinque sentenze diverse per reati di ricettazione di assegni e documenti, commessi in un periodo di dieci anni, tra il 1999 e il 2009. L’interessato, tramite il suo legale, si è rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare l’istituto della continuazione, sostenendo che tutti gli episodi criminosi fossero parte di un unico programma deliberato sin dall’inizio. La sua tesi si basava sull’omogeneità delle condotte, sulle modalità dei fatti e sulla natura dei reati, tutti contro il patrimonio. Tuttavia, la Corte d’Appello di Napoli aveva già respinto tale richiesta, evidenziando proprio la mancanza di contiguità temporale e di elementi che potessero far presumere un piano unitario.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. I giudici di legittimità hanno ritenuto che l’ordinanza impugnata fosse ampiamente e logicamente motivata, sottolineando un principio fondamentale per il riconoscimento della continuazione tra reati.
L’importanza del fattore temporale nella continuazione tra reati
Il cuore della decisione risiede nella valutazione del fattore tempo. Secondo la Corte, un lasso temporale così esteso – ben dieci anni – rende “incredibile” che il primo reato, risalente al 1999, fosse già parte di un programma che includeva le condotte successive. Anche se i reati sono sostanzialmente omogenei, la loro distanza nel tempo è una circostanza sufficiente a escludere la programmazione unitaria. Un piano criminoso, per essere tale, deve essere deliberato sin dall’inizio, almeno nelle sue linee essenziali.
La distinzione tra disegno criminoso e scelta di vita delinquenziale
La Cassazione opera una distinzione cruciale: i reati commessi non appaiono come l’attuazione di uno specifico e preordinato programma, ma piuttosto come il risultato di una “scelta di vita delinquenziale”. In altre parole, non si tratta di un singolo progetto che si sviluppa nel tempo, ma di una generica inclinazione a commettere reati contro il patrimonio, che si manifesta occasionalmente quando se ne presenta l’opportunità. Questa interpretazione nega la radice stessa della continuazione tra reati, ovvero l’unicità della deliberazione criminosa.
Le Motivazioni della Sentenza
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la manifesta infondatezza del ricorso. L’ordinanza della Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’enorme distanza temporale tra i fatti fosse un elemento decisivo e sufficiente per negare l’unicità del disegno criminoso. L’idea che un soggetto possa programmare nel 1999, anche solo a grandi linee, una serie di reati da compiere nell’arco del decennio successivo è stata ritenuta priva di credibilità logica.
In secondo luogo, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché, di fatto, il ricorrente chiedeva una nuova e diversa valutazione degli stessi elementi già esaminati dal giudice dell’esecuzione. Un compito, questo, che non rientra nelle funzioni della Corte di Cassazione, la quale è giudice di legittimità e non di merito. La motivazione del giudice precedente è stata giudicata sufficiente, logica e non contraddittoria, e conforme ai principi giurisprudenziali consolidati in materia, come richiamato nelle sentenze Sez. U, n. 28659/2017 e Sez. 2, n. 28852/2013.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta dimostrare che i crimini siano simili per natura o modalità. È indispensabile provare l’esistenza di un unico disegno criminoso che li abbia preceduti e ispirati tutti. Un arco temporale eccessivamente lungo tra un reato e l’altro costituisce un forte indizio contrario, capace di per sé di far propendere per una diagnosi di mera inclinazione a delinquere piuttosto che per un progetto unitario. La decisione serve da monito: la valutazione del giudice di merito sul punto, se logicamente motivata, è difficilmente censurabile in sede di legittimità.
Cosa è necessario per ottenere la continuazione tra reati?
È necessario dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e deliberato fin dall’inizio che leghi tutte le condotte illecite, almeno nelle sue linee essenziali. La sola omogeneità dei reati non è sufficiente.
Un lungo periodo di tempo tra un reato e l’altro esclude sempre la continuazione?
Secondo questa ordinanza, un lasso temporale molto ampio (nel caso specifico, dieci anni) è una circostanza sufficiente per rendere incredibile l’esistenza di un unico piano criminoso iniziale e, quindi, per escludere la continuazione, anche in presenza di reati omogenei.
Qual è la differenza tra ‘disegno criminoso’ e ‘scelta di vita delinquenziale’?
Il ‘disegno criminoso’ implica una programmazione unitaria e specifica di più reati, deliberata prima di commettere il primo. La ‘scelta di vita delinquenziale’ indica invece una generica inclinazione a delinquere, che si manifesta in reati commessi occasionalmente, non legati da un piano preordinato ma da una propensione generale a violare la legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4893 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4893 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a NAPOLI il 30/10/1964
avverso l’ordinanza del 12/09/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME per mezzo del suo difensore avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso contro l’ordinanza con cui la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, in data 12 settembre 2024 ha respinto la sua richiesta di applicare l’istituto della continuazione tra i reati di ricettazione di assegni e documenti giudicati con cinque diverse sentenze, commessi tra il 1999 e il 2009, per la mancanza di contiguità temporale e di elementi da cui dedurre una unicità di programmazione unitaria, diversa rispetto ad una mera inclinazione a delinquere, esplicantesi nella consumazione di reati contro il patrimonio;
rilevato che il ricorrente deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione per avere l’ordinanza negato il riconoscimento della continuazione solo sulla base del lasso temporale intercorso tra i vari reati, senza tenere conto degli altri elementi, quali la omogeneità delle condotte, le modalità dei fatti, il bene giuridico offeso, i motivi delle azioni, i quali dimostrano come tutti i reati facessero parte di un unico programma, deliberato sin dall’inizio almeno nelle sue linee essenziali ed avente un’unica finalità;
ritenuto che il ricorso sia manifestamente infondato, perché l’ordinanza impugnata ha ampiamente motivato l’insussistenza di una unicità di disegno criminoso quando, come in questo caso, i reati, benché sostanzialmente omogenei, risultino molto distanti nel tempo, essendo tale circostanza sufficiente per rendere incredibile che, nel compiere il primo reato, risalente al 1999, il ricorrente avesse già programmato, almeno nelle linee essenziali, le successive condotte, tenute in un arco temporale lungo ben dieci anni, ed apparendo tutti i reati commessi a seguito di una scelta di vita delinquenziale, e non in attuazione di uno specifico programma criminoso;
ritenuto inoltre che il ricorso sia inammissibile perché, di fatto, chiede a questa Corte una diversa valutazione dei medesimi elementi, già vagliati dal giudice dell’esecuzione con una motivazione sufficiente, logica, non apparente né contraddittoria, che soddisfa il grado di motivazione ritenuto necessario dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, Rv. 256464), e si conforma ai principi giurisprudenziali richiamati dallo stesso ricorrente e compendiati nella sentenza Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente