Continuazione tra Reati: Quando un Lasso di Tempo di 5 Anni Interrompe il Legame Criminale
L’istituto della continuazione tra reati è un pilastro del diritto penale che permette di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un unico piano. Ma cosa succede quando tra un reato e l’altro trascorre un lungo periodo? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione chiarisce come il fattore tempo possa essere decisivo per escludere questo beneficio, anche in presenza di reati simili e legati al medesimo contesto criminale.
Il Caso: Tre Condanne e una Richiesta di Unificazione della Pena
Il caso esaminato riguarda un soggetto condannato con tre sentenze definitive per reati gravi. La prima sentenza, del 2007, riguardava una tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le altre due sentenze, invece, si riferivano a fatti commessi tra il 2012 e il 2013, tra cui plurime estorsioni e l’associazione di tipo mafioso.
L’interessato, tramite il suo legale, aveva richiesto al Giudice dell’Esecuzione di applicare l’articolo 671 del codice di procedura penale, chiedendo di unificare tutte le condanne sotto il vincolo della continuazione. L’obiettivo era ottenere una pena complessiva più favorevole, sostenendo che tutti i reati fossero espressione di un unico disegno criminoso, maturato all’interno della sua appartenenza a un clan mafioso.
La Decisione del Giudice dell’Esecuzione
Il Giudice dell’Esecuzione (G.E.) ha respinto la richiesta. La motivazione principale si è basata sul notevole intervallo temporale, superiore a cinque anni, intercorso tra il primo reato (2007) e i successivi (2012-2013). Secondo il giudice, una distanza temporale così ampia rendeva improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria e deliberata fin dall’inizio. Di conseguenza, ha negato l’unificazione della prima condanna con le altre due (già unificate tra loro).
Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando una valutazione errata e un travisamento dei fatti. A suo dire, il giudice non avrebbe dato il giusto peso all’omogeneità dei reati e al contesto mafioso comune a tutte le condotte.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile. I giudici supremi hanno ribadito un principio consolidato, richiamando una precedente sentenza delle Sezioni Unite (n. 28659 del 2017). Per riconoscere la continuazione tra reati, è necessario accertare l’esistenza di una ‘volizione unitaria’, ovvero un piano criminoso concepito in origine che abbracci tutti gli episodi delittuosi.
La Corte ha specificato che esistono diversi indici per valutare tale unitarietà, e tra questi il criterio temporale assume un’importanza fondamentale. Un notevole lasso di tempo tra i reati è un forte indicatore contrario all’esistenza di un’unica programmazione iniziale. Nel caso specifico, la distanza di oltre cinque anni tra la prima estorsione e le condotte successive è stata ritenuta un elemento sufficiente a rendere non illogica la decisione del Giudice dell’Esecuzione.
In altre parole, la Cassazione ha affermato che, sebbene l’omogeneità dei reati e il contesto criminale siano elementi importanti, non possono prevalere su un dato temporale così significativo, che interrompe la presunzione di un unico disegno criminoso.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: il tempo è un fattore cruciale nella valutazione della continuazione tra reati. Non è sufficiente che i crimini siano dello stesso tipo o commessi all’interno dello stesso ambiente criminale. Se tra di essi intercorre un periodo di tempo considerevole (in questo caso, più di cinque anni), la possibilità di ottenere l’unificazione della pena si riduce drasticamente.
La decisione sottolinea la discrezionalità del giudice di merito nel ponderare i vari indici (temporale, tipologia dei reati, modalità delle condotte). La scelta di dare prevalenza al criterio temporale, quando la distanza è così marcata, è considerata una valutazione logica e difficilmente censurabile in sede di legittimità. Per la difesa, diventa quindi essenziale dimostrare, con elementi concreti, che il piano criminoso era stato effettivamente concepito in origine e mantenuto vivo nonostante il lungo intervallo, un onere probatorio particolarmente difficile da assolvere.
Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude automaticamente la continuazione?
No, non la esclude automaticamente, ma è un indice molto forte contro il suo riconoscimento. Come stabilito dalla Corte, in presenza di una distanza temporale significativa (in questo caso oltre cinque anni), la decisione del giudice di negare la continuazione è considerata logica e non facilmente contestabile.
L’appartenenza a un clan mafioso e la somiglianza dei reati sono sufficienti per ottenere la continuazione?
No. Questa ordinanza dimostra che, sebbene siano elementi rilevanti, l’omogeneità dei reati e il contesto criminale comune possono non essere sufficienti a superare il forte indizio contrario rappresentato da un lungo intervallo temporale tra le condotte.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Cassazione?
Comporta la conferma definitiva del provvedimento impugnato. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso ritenuto privo di fondamento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7911 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7911 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASAL DI PRINCIPE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/07/2023 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Vista l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata l’istanz applicazione della continuazione proposta ex art. 671 cod. proc. pen. da NOME COGNOME per la ritenuta carenza di elementi indicativi dell’invocata identità del disegno criminoso i reati giudicati con tre sentenze (1. Tribunale Santa Maria C.V. del 16/10/2007; 2. Corte appello Napoli del 15/12/2015; 3. GIP Tribunale Napoli del 28/10/2016);
considerato che in particolare il G.E. ha rilevato di non poter unificare sotto il vinc della continuazione la sentenza sub 1 con le altre 2, già in precedenza unificate, i considerazione del lungo lasso temporale (oltre 5 anni) intercorso tra le condotte giudicate con la sentenza sub 1 (tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso commessa il 03/04/2007), con i fatti di cui alle sentenze sub 2 (plurime condotte estorsive consumate e tentate commesse tra ottobre 2012 e aprile 2013, e reato ex art. 416 bis cod. pen.) e sub 3 (due estorsioni aggravate dal metodo mafioso commesse nell’agosto 2013);
letto il ricorso, con cui si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione anche pe travisamento del fatto, censurandosi il provvedimento impugnato laddove non avrebbe correttamente valorizzato l’omogeneità delle violazioni commesse nello stesso contesto territoriale e maturate in virtù dell’adesione del COGNOME al clan mafioso di appartenenza;
ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto d individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cf Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), atteso che il criterio temporale è uno degli indici di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria ed in presenza di una distanza temporale di oltre cinque anni tra il primo e gli altri re non è illogica la decisione reiettiva del giudice dell’esecuzione;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 30/11/2023