Continuazione tra Reati: L’Importanza del Criterio Temporale secondo la Cassazione
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica di specifici indicatori. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: un’eccessiva distanza temporale tra i reati può escludere la sussistenza di un’unica programmazione criminale.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza del Tribunale emessa in fase di esecuzione. Il ricorrente si doleva del mancato riconoscimento della continuazione tra due reati commessi a distanza di oltre cinque anni l’uno dall’altro. A suo avviso, la somiglianza nelle modalità di esecuzione delle condotte avrebbe dovuto essere sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’unica ‘volizione unitaria’. Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva respinto la richiesta proprio in virtù del notevole lasso temporale intercorso, ritenendolo un elemento ostativo al riconoscimento del vincolo della continuazione.
La Decisione sulla continuazione tra reati
La Corte di Cassazione, con la pronuncia del 18 aprile 2024, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno pienamente condiviso l’impostazione del Tribunale, confermando che il criterio temporale è un elemento cruciale nella valutazione della sussistenza di un medesimo disegno criminoso. La decisione si allinea alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, che richiede un’approfondita verifica di indicatori concreti per poter applicare l’istituto della continuazione.
Le Motivazioni della Corte
Le motivazioni della Corte si fondano su argomentazioni logico-giuridiche precise. I giudici hanno sottolineato come il riconoscimento della continuazione tra reati necessiti della prova che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, ‘almeno nelle loro linee essenziali’.
Il fattore tempo assume, in questo contesto, un ruolo determinante. Secondo la Suprema Corte, una distanza temporale superiore a cinque anni tra il primo e il secondo reato rende illogica la decisione di chi ritiene che il secondo potesse essere stato programmato sin dall’inizio. Questo lungo intervallo, infatti, interrompe la presunzione di unicità del disegno criminoso.
La Corte ha inoltre chiarito che la sola identità o analogia delle modalità della condotta non è un elemento sufficiente a superare la valutazione negativa basata sul criterio temporale. La somiglianza nel modus operandi può essere frutto di una determinazione estemporanea o di una ‘abitudine’ criminale, ma non prova di per sé una programmazione originaria e unitaria. Infine, è stato specificato che il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente non era pertinente, in quanto relativo a una fattispecie diversa (reato-fine commesso in un periodo sovrapponibile a quello di un reato associativo).
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento rafforza un importante principio di diritto: la valutazione per il riconoscimento della continuazione tra reati deve essere complessiva e rigorosa. Il solo richiamo alla somiglianza delle condotte non basta. Il giudice deve analizzare un insieme di indicatori, tra cui l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale e le modalità di azione. Tra questi, il fattore tempo si rivela un indice particolarmente significativo: un’eccessiva distanza temporale tra le condotte criminali costituisce un ostacolo quasi insormontabile al riconoscimento di un’unica ‘volizione unitaria’. Questa pronuncia offre un chiaro orientamento ai giudici dell’esecuzione, ribadendo la necessità di un’analisi approfondita che non si limiti a elementi superficiali, ma indaghi la reale programmazione criminale alla base dei reati.
È possibile ottenere la continuazione tra reati se sono passati più di cinque anni tra un fatto e l’altro?
No, secondo l’ordinanza, una distanza temporale di più di cinque anni rende illogica la presunzione di un’unica programmazione criminale. Il giudice può legittimamente ritenere che il secondo reato non fosse stato pianificato, nemmeno nelle sue linee essenziali, al momento della commissione del primo.
La somiglianza nelle modalità di esecuzione di due reati è sufficiente per dimostrare la continuazione?
No, la sola circostanza che le modalità delle condotte siano analoghe o identiche non è sufficiente per sostenere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, specialmente in presenza di un notevole lasso di tempo tra i reati.
Quali sono i criteri principali per riconoscere la continuazione tra reati?
I criteri includono l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta e la sistematicità. È fondamentale dimostrare che i reati successivi erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, al momento della commissione del primo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24178 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24178 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/01/2024 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nell’unico motivo di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitar (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074: Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concret indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-tempora le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di v e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutt determinazione estemporanea), atteso che il criterio temporale è uno degli indici di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria ed, in presenza di una distanza temporale di più di cinque anni tra il primo ed il secondo reato, non è illogica la decisione del giu dell’esecuzione che ha ritenuto che al momento di commissione del primo reato il secondo non potesse essere stato programmato “almeno nelle sue linee essenziali”, non essendo sufficiente dedurre a tal fine, per sostenere la manifesta illogicità della motivazione del giudice del meri la circostanza che le modalità delle condotte siano analoghe, o finanche identiche, mentre il precedente giurisprudenziale invocato nel ricorso (Sez. 1, n. 39398 del 27/09/2023, COGNOME, n.m.) non è conferente con quanto si sostiene nel ricorso, perché riguarda reato-fine commesso in periodo sovrapponibile con quello di commissione di un reato associativo;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.