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Continuazione tra reati: il limite dei cinque anni

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati commessi a più di cinque anni di distanza. La Corte ha stabilito che un così ampio lasso temporale rende illogica la presunzione di un’unica programmazione criminale, anche in presenza di modalità di esecuzione simili. Per la continuazione tra reati è necessario che i delitti successivi fossero stati programmati almeno nelle linee essenziali al momento del primo.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: L’Importanza del Criterio Temporale secondo la Cassazione

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica di specifici indicatori. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: un’eccessiva distanza temporale tra i reati può escludere la sussistenza di un’unica programmazione criminale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza del Tribunale emessa in fase di esecuzione. Il ricorrente si doleva del mancato riconoscimento della continuazione tra due reati commessi a distanza di oltre cinque anni l’uno dall’altro. A suo avviso, la somiglianza nelle modalità di esecuzione delle condotte avrebbe dovuto essere sufficiente a dimostrare l’esistenza di un’unica ‘volizione unitaria’. Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva respinto la richiesta proprio in virtù del notevole lasso temporale intercorso, ritenendolo un elemento ostativo al riconoscimento del vincolo della continuazione.

La Decisione sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione, con la pronuncia del 18 aprile 2024, ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici di legittimità hanno pienamente condiviso l’impostazione del Tribunale, confermando che il criterio temporale è un elemento cruciale nella valutazione della sussistenza di un medesimo disegno criminoso. La decisione si allinea alla consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite, che richiede un’approfondita verifica di indicatori concreti per poter applicare l’istituto della continuazione.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su argomentazioni logico-giuridiche precise. I giudici hanno sottolineato come il riconoscimento della continuazione tra reati necessiti della prova che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, ‘almeno nelle loro linee essenziali’.

Il fattore tempo assume, in questo contesto, un ruolo determinante. Secondo la Suprema Corte, una distanza temporale superiore a cinque anni tra il primo e il secondo reato rende illogica la decisione di chi ritiene che il secondo potesse essere stato programmato sin dall’inizio. Questo lungo intervallo, infatti, interrompe la presunzione di unicità del disegno criminoso.

La Corte ha inoltre chiarito che la sola identità o analogia delle modalità della condotta non è un elemento sufficiente a superare la valutazione negativa basata sul criterio temporale. La somiglianza nel modus operandi può essere frutto di una determinazione estemporanea o di una ‘abitudine’ criminale, ma non prova di per sé una programmazione originaria e unitaria. Infine, è stato specificato che il precedente giurisprudenziale citato dal ricorrente non era pertinente, in quanto relativo a una fattispecie diversa (reato-fine commesso in un periodo sovrapponibile a quello di un reato associativo).

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza un importante principio di diritto: la valutazione per il riconoscimento della continuazione tra reati deve essere complessiva e rigorosa. Il solo richiamo alla somiglianza delle condotte non basta. Il giudice deve analizzare un insieme di indicatori, tra cui l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale e le modalità di azione. Tra questi, il fattore tempo si rivela un indice particolarmente significativo: un’eccessiva distanza temporale tra le condotte criminali costituisce un ostacolo quasi insormontabile al riconoscimento di un’unica ‘volizione unitaria’. Questa pronuncia offre un chiaro orientamento ai giudici dell’esecuzione, ribadendo la necessità di un’analisi approfondita che non si limiti a elementi superficiali, ma indaghi la reale programmazione criminale alla base dei reati.

È possibile ottenere la continuazione tra reati se sono passati più di cinque anni tra un fatto e l’altro?
No, secondo l’ordinanza, una distanza temporale di più di cinque anni rende illogica la presunzione di un’unica programmazione criminale. Il giudice può legittimamente ritenere che il secondo reato non fosse stato pianificato, nemmeno nelle sue linee essenziali, al momento della commissione del primo.

La somiglianza nelle modalità di esecuzione di due reati è sufficiente per dimostrare la continuazione?
No, la sola circostanza che le modalità delle condotte siano analoghe o identiche non è sufficiente per sostenere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, specialmente in presenza di un notevole lasso di tempo tra i reati.

Quali sono i criteri principali per riconoscere la continuazione tra reati?
I criteri includono l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta e la sistematicità. È fondamentale dimostrare che i reati successivi erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, al momento della commissione del primo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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