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Continuazione tra reati: il giudice non è vincolato

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati già oggetto di plurime sentenze. La Corte ha stabilito che il giudice dell’esecuzione non è vincolato da precedenti decisioni che hanno riconosciuto la continuazione per altri reati, anche se commessi nello stesso periodo, e deve valutare autonomamente l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: l’autonomia del giudice nella fase esecutiva

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 43839 del 2024, offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della continuazione tra reati in fase esecutiva. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il giudice dell’esecuzione gode di piena autonomia nel valutare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, non essendo vincolato da precedenti decisioni che abbiano già riconosciuto la continuazione per altri reati. Questo principio garantisce una valutazione specifica e puntuale per ogni istanza, anche in presenza di un passato giudiziario complesso.

I fatti del caso

Il caso esaminato riguarda un soggetto, già condannato con diciassette sentenze diverse, che aveva presentato un’istanza alla Corte d’Appello di L’Aquila, in qualità di giudice dell’esecuzione. L’istante chiedeva due interventi: l’estensione di un indulto già concesso e, soprattutto, l’applicazione della disciplina della continuazione tra reati a ulteriori due condanne. Queste ultime riguardavano un reato di furto in abitazione (commesso nel 2013) e un reato di associazione di tipo mafioso (commesso nel 2011). La Corte d’Appello aveva respinto l’istanza, ritenendo che non vi fossero elementi per ravvisare un’unitaria programmazione dei reati, data la diversità dei fatti e la distanza temporale e geografica tra di essi. Contro questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza si articola su due punti principali: l’inammissibilità del motivo relativo all’indulto e l’infondatezza di quello sulla continuazione tra reati.

Per quanto riguarda la continuazione, la Suprema Corte ha ritenuto non manifestamente illogica la decisione di considerare il furto del 2013 come un fatto estemporaneo e non collegato agli altri reati. Relativamente al reato associativo, i giudici hanno sottolineato che la semplice finalizzazione dell’associazione a commettere truffe (reato per cui l’imputato aveva altre condanne) non è di per sé sufficiente a dimostrare un unico disegno criminoso con tutti gli altri illeciti, specialmente se commessi a notevole distanza di tempo.

Le motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nel principio di autonomia del giudice dell’esecuzione. La Cassazione ha chiarito che, sebbene il giudice debba confrontarsi con eventuali precedenti provvedimenti che hanno riconosciuto la continuazione per lo stesso soggetto, non è obbligato a condividerne il ragionamento. L’obbligo è quello di motivare la propria decisione, spiegando perché, nel caso specifico, i presupposti per la continuazione non sussistono. Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione si era confrontato con le precedenti decisioni, ma aveva legittimamente concluso in modo diverso, evidenziando l’eterogeneità dei reati e la distanza temporale tra essi.

La Corte ha specificato che anche quando un reato-fine (come una truffa) rientra nel programma di un’associazione criminale, ciò non basta a far ritenere automaticamente esistente un unico disegno criminoso che leghi quel reato a tutti gli altri commessi dal soggetto. La valutazione deve essere condotta caso per caso, analizzando gli indici concreti di una volizione unitaria, come la prossimità temporale, l’omogeneità delle condotte e il contesto di commissione dei fatti.

Le conclusioni

La sentenza n. 43839/2024 rafforza un importante baluardo del diritto processuale penale: l’autonomia decisionale e la responsabilità motivazionale del giudice dell’esecuzione. La continuazione tra reati non è un automatismo derivante da precedenti riconoscimenti, ma l’esito di una valutazione ponderata e specifica, che deve basarsi su elementi concreti che dimostrino una programmazione unitaria di tutti gli illeciti. Questa decisione sottolinea come la generosità di precedenti concessioni non possa vincolare le valutazioni future, garantendo che ogni istanza sia giudicata nel merito, sulla base dei fatti specifici ad essa sottoposti.

Il giudice dell’esecuzione è obbligato a riconoscere la continuazione tra reati se un altro giudice l’ha già concessa per reati commessi nello stesso periodo?
No. La sentenza chiarisce che il giudice dell’esecuzione, pur dovendo confrontarsi con le precedenti decisioni, non è obbligato a condividerne il ragionamento né è limitato nella sua libertà di giudizio. Deve valutare autonomamente l’istanza e motivare la propria decisione.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per aspecificità?
Un ricorso è inammissibile per aspecificità quando non contesta in modo argomentato tutte le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata. Se il provvedimento si basa su una doppia motivazione, il ricorrente ha l’onere di attaccarle entrambe, altrimenti il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.

La partecipazione a un’associazione per delinquere implica automaticamente la continuazione con i reati-fine commessi?
No. Secondo la Corte, anche se un reato-fine (es. una truffa) è ricompreso nel programma dell’associazione, ciò non è di per sé sufficiente a far ritenere esistente un’unica programmazione criminosa che lo lega ad altri reati. È necessaria una valutazione specifica degli indici che rivelano l’unicità del disegno criminoso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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