Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 43839 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 43839 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a VASTO il 02/05/1980
avverso l’ordinanza del 15/05/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 15 maggio 2024 la Corte d’appello di L’Aquila, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di NOME COGNOME di estensione dell’indulto già concesso con riferimento alle pene irrogate con la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila del 16 giugno del 2006 e con la sentenza del Tribunale di Larino del 22 gennaio 2007, nonché di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto di diciassette sentenze di condanna, già unificate tra loro con separate ordinanze, ed i reati oggetto delle seguenti sentenze ulteriori di condanna emesse nei suoi confronti:
sentenza del Tribunale di Tivoli del 20 settembre 2022, per reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., commesso il 9 agosto 2013;
sentenza della Corte d’appello di L’Aquila del 14 febbraio 2023, per reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., commesso il 23 dicembre 2011.
In particolare, nel respingere l’istanza di continuazione, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei reati, evidenziando in particolare che gli stessi erano stati commessi a distanza di tempo e luogo l’uno dall’altro ed avevano ad oggetto titoli di reato diversi, mentre la continuazione già concessa era stata molto generosa ed aveva finito per ricomprendere reati eterogenei commessi fino a quindici anni di distanza.
Nel respingere l’istanza di estensione dell’indulto, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la circostanza che le due condanne per cui è stato concesso indulto siano state unificate in continuazione con separata ordinanza tcon conseguente “liberazione” di parte di pena i non consente di estenderla ulteriormente ad altre pene inflitte da ulteriori condanne, perché la misura dell’indulto è fissata in quella riportata nelle singole sentenze per cui è già stato concesso; in ogni caso, si tratterebbe anche di un indulto da revocare a causa della commissione di ulteriore reato nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge in punto di indulto per essere stata respinta l’istanza nonostante che, per effetto del riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, per nessuno dei reati successivamente commessi che avrebbe potuto determinare la revoca è stata inflitta pena detentiva superiore ad anni due; inoltre l’ordinanza è errata anche nella parte in cui ritiene che sia irrilevante la modifica dell’entità della pena condonata intervenuta in sede esecutiva.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge per essere stata respinta l’istanza nonostante che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile dalla circostanza che il reato associativo oggetto dell’istanza risulta finalizzato alla commissione di truffe, che è uno dei reati già presenti nel certificato penale dell’interessato ai punti nn. 12 e 17, e nel caso della sentenza iscritta sub n. 17 c’è anche un’apprezzabile continuità temporale tra l’associazione ed il reato di truffa. Inoltre, l’ordinanza di rigetto si pone in contraddizione con quanto deciso dalla stessa Corte d’appello di L’Aquila in sede di cognizione che ha accolto l’istanza di unificazione dei reati di truffa commessi sino al 2011, e si pone in contraddizione con le ordinanze di continuazione riconosciute dal Tribunale di Vasto che ha riconosciuto il beneficio anche per fatti che sono a cavallo rispetto a quelli oggetto della istanza.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, relativo al diniego di indulto, è inammissibile per difetto di specificità del motivo, perché a fronte di una doppia motivazione del diniego di indulto contenuta nell’ordinanza impugnata (tecnica argomentativa legittima che comporta l’onere per il ricorrente di attaccare entrambe le motivazioni a pena di aspecificità dell’impugnazione, v. Sez. 1, Sentenza n. 38881 del 14/07/2023, COGNOME, n.m.), attacca soltanto una delle due motivazioni (quella sulla esistenza di una causa di revoca), mentre, con riferimento alla seconda, si limita ad affermare in modo assertivo che il ragionamento dell’ordinanza è errato senza, però, articolare una critica argomentata ad essa.
Il ricorso non può, infatti, ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il secondo motivo, dedicato al diniego di continuazione, è infondato.
Con riferimento al reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., è, infatti, non manifestamente illogica la decisione di ritenere tale fatto esteMporaneo, e non collegato agli altri per cui è stata riconosciuta la continuazione, anche atteso che l’unico altro reato commesso dal ricorrente nell’anno 2013 è una evasione, che non è illogico sia stato ritenuto non sorretto dalla medesima volizione criminale.
Per quanto riguarda l’associazione per delinquere, il ricorso deduce che si tratta di associazione finalizzata alla commissione di truffe, e che il ricorrente è stato condannato per reati di truffa già unificati in continuazione, tra loro e con altri reati.
L’argomento è infondato. E’ vero che nel certificato penale del condannato compaiono condanne per reati di truffa (quella del 25 gennaio 2013 e quella del 16 gennaio 2014) ma la considerazione dell’ordinanza impugnata che si tratta comunque di fatti commessi a non irrilevante distanza temporale dal reato associativo resiste alle censure che le sono state rivolte, in virtù degli indici da cui
desumere l’esistenza o meno di una volizione unitaria (su cui v. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), ed anche in considerazione del fatto che, finanche nel caso in cui sia riconosciuto che un reato fine è da considerare riconnpreso nel programma dell’associazione, ciò non è sufficiente per far ritenere esistente la unicità del disegno criminoso (Sez. 1, Sentenza n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430).
Il ricorso deduce anche che l’ordinanza è in contraddizione con quanto disposto con separate ordinanze del giudice della cognizione e del giudice dell’esecuzione che hanno riconosciuto in favore del ricorrente l’esistenza della continuazione tra reati che si collocano in parte nello stesso periodo di quelli oggetto dell’istanza.
L’argomento è infondato. Infatti, il giudice dell’esecuzione, investito di una richiesta ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. per il riconoscimento del vincolo della continuazione, nella sua piena libertà di giudizio, non può, trascurare la valutazione già compiuta in sede cognitoria ai fini della ritenuta sussistenza di detto vincolo tra reati commessi in un lasso di tempo al cui interno si collocano, in tutto o in parte, quelli oggetto della domanda sottoposta al suo esame (Sez. 1, Sentenza n. 54106 del 24/03/2017, COGNOME Rv. 271903), ma nel caso in esame il giudice dell’esecuzione si è confrontato con i provvedimenti che hanno riconosciuto il beneficio, ha preso posizione su essi ed ha spiegato perché non li condivide.
L’obbligo di confrontarsi con la continuazione già riconosciuta con separata ordinanza non comporta l’obbligo per il giudice dell’esecuzione di condividere il ragionamento alla base del precedente riconoscimento della continuazione, né limita in alcun modo la sua libertà di giudizio, consistendo soltanto nella necessità che il percorso logico della ordinanza che decide sull’istanza di continuazione passi anche attraverso la valutazione della precedente decisione su reati commessi nello stesso periodo in cui si collocano quelli oggetto dell’istanza.
In definitiva, il ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento processuali.
Così deciso il 15 ottobre 2024.
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