Continuazione tra Reati: Quando il Tempo Spezza il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni della legge penale commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ma cosa succede quando tra un reato e l’altro intercorre un lungo periodo di tempo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo aspetto, sottolineando come il fattore temporale sia un elemento cruciale per determinare l’esistenza di una programmazione unitaria.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo avverso un’ordinanza del Tribunale. Il ricorrente sosteneva che diversi reati da lui commessi, giudicati con sentenze differenti, dovessero essere considerati come un’unica fattispecie di reato continuato. L’elemento distintivo della vicenda era la notevole distanza temporale tra i crimini: quattro anni separavano i reati della prima sentenza da quelli della seconda, e altri due anni intercorrevano tra questi ultimi e quelli oggetto di una terza sentenza.
La Decisione della Corte sulla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, secondo cui l’ampio lasso di tempo trascorso tra le varie condotte criminali rendeva illogico presumere l’esistenza di un’unica “volizione unitaria” fin dal principio. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del concetto di “medesimo disegno criminoso”. La Corte ha ribadito un principio consolidato, citando una sentenza delle Sezioni Unite: per aversi continuazione tra reati, è necessario che i diversi illeciti siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento della commissione del primo. In altre parole, l’autore deve aver preordinato un piano che include, almeno a grandi linee, tutte le violazioni successive.
La Corte ha specificato che “quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali”. Nel caso di specie, gli intervalli di quattro e due anni sono stati giudicati troppo estesi per poter sostenere che i reati più recenti fossero stati pianificati al momento della commissione del primo. Una tale distanza temporale suggerisce, piuttosto, la nascita di nuove e autonome decisioni criminali, slegate dal piano originario.
Le Conclusioni
Questa pronuncia rafforza un importante criterio interpretativo per l’applicazione dell’istituto della continuazione tra reati. Il fattore temporale non è un mero dettaglio, ma un indicatore fondamentale della psiche del reo e della sua programmazione criminale. Per i professionisti del diritto e per gli imputati, ciò significa che la richiesta di unificazione delle pene sotto il vincolo della continuazione deve essere supportata da elementi concreti che dimostrino un piano unitario e concepito in un arco temporale ragionevolmente contenuto. Al contrario, una significativa distanza cronologica tra i fatti costituisce un forte ostacolo al riconoscimento di tale beneficio, portando a una valutazione più severa della condotta complessiva.
Qual è il criterio principale per stabilire la continuazione tra reati?
L’elemento fondamentale è l’esistenza di una “volizione unitaria”, ovvero un unico disegno criminoso che lega tutte le violazioni, programmato nelle sue linee essenziali prima della commissione del primo reato.
Un lungo intervallo di tempo tra i reati può escludere la continuazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, un ampio lasso di tempo tra le violazioni rende improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria. Nel caso specifico, intervalli di quattro e due anni sono stati considerati sufficienti a escludere la continuazione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver proposto un’impugnazione manifestamente infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 5681 Anno 2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Data Udienza: 30/01/2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 5681 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Composta da
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in NIGERIA il 29/12/1959 avverso l’ordinanza del 27/05/2024 del TRIBUNALE di Napoli dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nell’unico motivo di ricorso siano manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), atteso che, in presenza di distanze temporale rilevanti (quattro anni tra i reati oggetto della sentenza sub a) ed i reati oggetto della sentenza sub b); due anni tra questi ultimi e quelli oggetto della sentenza sub c), non Ł illogica la decisione del giudice dell’esecuzione che ha ritenuto che, al momento di commissione del primo reato, i successivi non potessero essere stati programmati almeno nelle loro linee essenziali; infatti, ‘quanto piø ampio Ł il lasso di tempo fra le violazioni, tanto piø deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria predeterminata almeno nelle linee fondamentali’ (Sez. 4, n. 34756 del 17/05/2012, COGNOME e altri, Rv. 253664);
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchØ al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 30/01/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente
NOME COGNOME