Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45783 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45783 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 11/09/1973
avverso l’ordinanza del 18/09/2024 della Corte d’appello di Napoli udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 18 settembre 2024 la Corte d’appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto l’istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto delle sentenze di condanna emesse nei suoi confronti dalla Corte d’assise d’appello di Napoli il 25 marzo 2018 per i reati di associazioni di stampo mafioso, omicidio tentato e consumato, traffico di stupefacenti, detenzione e porto d’arma, ed estorsione, commessi tra il 2000 ed il 2008 (sentenza n. 1) e dalla Corte di appello di Napoli del 9 novembre 2021 per i reati di detenzione e porto d’arma commessi il 3 maggio 2008 (sentenza n. 4).
La Corte di appello ha, invece, respinto la medesima istanza con riferimento ai reati oggetto della sentenza di condanna della Corte di assise di appello di Napoli del 20 giugno 2015, che ha condannato il ricorrente per i reati di omicidio e detenzione e porto d’arma commessi il 28 luglio 2001 (sentenza n. 2), e della sentenza della Corte d’appello di Napoli del 16 luglio 2019, che ha condannato il ricorrente per i reati di associazione di stampo mafioso e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti commessi fino a febbraio 2015 (sentenza n. 3).
In particolare, nella parte in cui ha accolto l’istanza, il giudice dell’esecuzione, ha rilevato che, poichØ il reato commesso il 3 maggio del 2008 (porto d’armi in luogo pubblico) era consistito in concreto nella attività di scorta sulla pubblica via del capo clan reduce da un incontro di camorra, esso doveva ritenersi ricompreso nel programma dell’associazione criminosa, con la partecipazione alla quale vi era, pertanto, un unico disegno criminoso.
Nella parte in cui ha respinto l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto, invece, non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria del reato di omicidio oggetto della sentenza n. 2) (definito in atti ‘omicidio COGNOME, dal nome della vittima) in quanto si trattava di un fatto specifico, avvenuto come reazione ad un altro omicidio precedente (definito in atti ‘omicidio COGNOME‘, anche qui dal nome della vittima) che era stato eseguito senza ottenere il permesso del vertice del clan Sarno nel cui territorio era avvenuta l’esecuzione. Nel ragionamento del giudice dell’esecuzione, quindi, l’omicidio COGNOME fu frutto di un’iniziativa finalizzata a ricostruire un equilibrio che l’omicidio COGNOME aveva messo in crisi; esso, pertanto, non poteva ritenersi sorretto da una volizione unitaria con l’adesione all’organizzazione criminale.
Per quanto riguarda invece i reati associativi oggetto della sentenza n. 3), il provvedimento impugnato ha evidenziato che essi sono avvenuti nel contesto della partecipazione da parte del condannato al clan COGNOME , ovvero ad una associazione criminosa diversa dal clan Sarno , per la cui partecipazione il ricorrente era stata condannato con la sentenza n. 1).
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
2.1. Ricorso originario.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione nella parte in cui Ł stata respinta l’istanza di continuazione tra i reati oggetto delle sentenze 1) e 2), in quanto l’ordinanza Ł contraddittoria nella parte in cui ha riconosciuto la continuazione tra il reato della sentenza n. 1) e quello della sentenza n. 4), che pure Ł avvenuto ad otto anni di distanza dalla ingresso nell’associazione criminosa, mentre non lo ha riconosciuto con riferimento all’omicidio di cui alla sentenza n. 2) che, invece, Ł avvenuto pochi mesi dopo l’ingresso nell’associazione criminosa; inoltre, l’ordinanza Ł contraddittoria anche con quanto deciso in sede di cognizione all’interno del processo concluso con la sentenza n. 1), che ha posto in continuazione anche reati di tentato omicidio e di omicidio consumato avvenuti a distanza di anni rispetto all’ingresso nella associazione; pertanto, l’ordinanza impugnata non si Ł confrontata con l’affermazione di precedente ordinanza applicativa della continuazione che ha ritenuto che del programma dell’associazione mafiosa faceva parte anche la realizzazione di questi omicidi; inoltre, la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł erronea nella parte in cui sostiene che l’omicidio COGNOME del 28 luglio 2001 Ł stato eseguito quale componente del clan COGNOME, il che Ł in contraddizione con quanto affermato nella sentenza da cui risulta che COGNOME Ł stato promotore del clan da luglio 2009, e con il contenuto della sentenza n. 2) da cui risulta che all’epoca dei fatti il ricorrente non fosse associato al clan COGNOME; inoltra, la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł erronea nella parte in cui ritiene che la vittima dell’omicidio COGNOME fosse uomo vicino ai COGNOME senza considerare che, in realtà, questi era affiliato al clan COGNOME e che, per conto di quel clan, aveva svolto l’attività di killer, non valutando che COGNOME fosse intraneo al clan Sarno, l’ordinanza ha escluso che il suo omicidio rientrasse all’interno delle attività del clan; l’ordinanza; inoltre, non ha considerato che tra i reati in esame vi era omogeneità di contesto territoriale e medesimo arco temporale, che era stata riconosciuta per tutti l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della continuazione fra i reati della sentenza n. 3) e quelli delle altre tre pronunce, evidenziando in particolare che l’ordinanza ha sostenuto in modo apodittico che vi fosse una cesura di tipo ideativo tra l’appartenenza al clan COGNOME e la costituzione del clan COGNOME senza riconoscere la continuità esistente tra le due associazioni, la seconda nata dalle ceneri della prima, e senza considerare la continuità di contesto tra i due sodalizi mafiosi, atteso che il traffico di stupefacenti era tipico anche
della prima associazione, e che anche per essa il ricorrente Ł stato condannato per il commercio di stupefacente all’interno del rione Conocal oggetto anche della condanna n. 3), che gli scopi delle associazioni erano le stesse, e che la famiglia COGNOME era in realtà un sottogruppo già operante all’interno del clan COGNOME; non ha neanche valutato l’ordinanza la circostanza che si trattasse dello stesso periodo storico e che l’attività di commercio stupefacenti non Ł mai stata abbandonata, si Ł svolta sullo stesso territorio, e che vi era anche consecutività tra i due periodi; vi era, inoltre, unicità di disegno criminoso anche con l’omicidio COGNOME atteso che il condannato ha militato ininterrottamente nel clan anche nel periodo in cui Ł avvenuto l’omicidio.
Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena, atteso che la pena base Ł stata individuata in modo non corretto, essendo stata ritenuta tale la pena inflitta per tutti i reati giudicati con la sentenza n. 1), mentre avrebbe dovuto essere scorporata ed individuata come pena base soltanto quella inflitta per il reato piø grave. Non Ł stato, inoltre, quantificato correttamente l’aumento per il reato satellite della sentenza n. 4) che Ł pari a ¾ della pena complessivamente erogata a titolo di aumento per la continuazione interna alla sentenza n. 1); la Corte d’appello non ha motivato sulle ragioni per cui il reato di cui alla sentenza n. 4 meritasse un trattamento sanzionatorio piø grave rispetto a quelli della continuazione interna alla sentenza n. 1 con evidente contrasto tra l’entità della pena (un anno per tentato omicidio, otto mesi per associazione mafiosa) inflitta per reati piø gravi rispetto a quello della sentenza n. 4 (tre anni per porto di armi in luogo pubblico).
2.2. Con atto di motivi nuovi, il condannato, per il tramite del difensore, ha ulteriormente dedotto quanto segue.
Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza di continuazione tra i reati oggetto delle sentenze 1), 2) e 3), evidenziando come i reati permanenti siano sorretti da un’unica spinta criminosa, anche se poi vengono giudicati in modo frazionato, e che la continuità tra il clan COGNOME ed il clan COGNOME emerge dalle sentenze di cognizione, in particolare da quella del Tribunale di Napoli del 26 luglio 2017, che a pag. 726 afferma come i COGNOME avessero sempre cercato di ritagliarsi spazi di autonomia all’interno del clan COGNOME, e che l’attività di commercio degli stupefacenti del clan era sempre stata seguita dalla famiglia COGNOME.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza di continuazione tra i reati oggetto della sentenza 2), evidenziando come l’omicidio COGNOME avesse lo scopo di dare attuazione ai fini statutari dell’associazione criminale; la stessa circostanza che esistano dei codici di condotta dell’associazione criminale che impongono di punire il sodale che ha preso una iniziativa autonoma comporta che l’omicidio dello stesso debba essere considerato attuazione del programma dell’associazione.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
Il primo motivo del ricorso originario ed il secondo motivo dei motivi nuovi deducono che la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł illogica nella parte in cui ha respinto l’istanza di continuazione tra il reato di partecipazione all’associazione criminale denominata clan Sarno ed il reato di omicidio volontario in danno di NOME COGNOME.
Il ricorso deduce, in particolare, che l’ordinanza Ł contraddittoria nella parte in cui ha riconosciuto la continuazione tra il reato della sentenza n. 1) e quello della sentenza n. 4), che pure Ł avvenuto ad otto anni di distanza dall’ingresso nell’associazione criminosa, mentre non lo ha riconosciuto con riferimento all’omicidio di cui alla sentenza n. 2) che, invece, Ł avvenuto pochi mesi dopo l’ingresso nell’associazione criminosa.
L’argomento Ł infondato. La vicinanza temporale Ł senz’altro uno degli indici da cui si deve desumere la esistenza di un unico disegno criminoso, che, però, Ł recessivo di fronte alla ritenuta, ed argomentata, estemporaneità del reato commesso per secondo, estemporaneità che esclude la continuazione pur in presenza di indici astratti della esistenza di una volizione unitaria (‘non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea’, secondo la massima di Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), e, nel caso in esame, la ordinanza impugnata non Ł incorsa in alcuna contraddizione interna, perchØ, in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità appena citata, ha ritenuto prevalente l’estemporaneità della vicenda che ha portato all’omicidio COGNOME.
Il ricorso deduce che l’ordinanza Ł contraddittoria anche nella parte in cui ha deciso diversamente dalla sentenza n. 1), che ha posto in continuazione interna anche reati di tentato omicidio e di omicidio consumato commessi quale aderente al clan a distanza di diversi anni rispetto all’ingresso nella associazione.
L’argomento non si confronta con l’esame, da parte del provvedimento impugnato, delle ragioni dei delitti, che rendono recessive le considerazioni sul dato cronologico.
Il ricorso deduce che la motivazione dell’ordinanza impugnata Ł viziata nella parte in cui ritiene che l’omicidio COGNOME sia stato commesso dal ricorrente quale componente del clan COGNOME, ed Ł viziata nella parte in cui ritiene che la vittima dell’omicidio COGNOME fosse uomo vicino ai COGNOME senza considerare che, in realtà, questi era affiliato al clan COGNOME.
Gli argomenti sono infondati, perchØ un travisamento degli elementi di fatto posti alla base della decisione comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato ‘solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato’ (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S. Rv. 277758), e nel caso in esame, fermo restando che nell’ordinanza si comprende in modo chiaro il contesto in cui Ł avvenuto l’omicidio COGNOME, nessuno dei due riferimenti su cui si sofferma il ricorso incide sulla conclusione cui Ł giunto il giudice dell’esecuzione della natura di reazione dell’omicidio COGNOME ad un avvenimento specifico (l’omicidio COGNOME), che rende tale reato non suscettibile di essere stato programmato ‘almeno nelle sue linee essenziali’ (v. sempre sentenza COGNOME sopra citata) in occasione dell’ingresso nell’associazione.
Il ricorso deduce che l’ordinanza non ha considerato che tra i reati in esame vi era omogeneità di contesto territoriale e congruenza di arco temporale.
L’argomento Ł infondato. Come evidenziato in precedenza, in presenza di un reato valutato in modo non illogico come estemporaneo, non Ł sufficiente dedurre l’esistenza di alcuni indici della unicità del disegno criminoso, perchØ l’estemporaneità prevale sulla esistenza degli indici astratti della volizione criminale unitaria.
Il ricorso deduce che per l’omicidio COGNOME era stata riconosciuta l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
L’argomento Ł infondato. La circostanza che un reato sia ritenuto aggravato ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen. non lo rende, per ciò solo, legato da un unico disegno criminoso alla partecipazione all’associazione, perchØ il medesimo disegno criminoso deve sussistere nel momento di ingresso nell’associazione, o comunque di commissione del primo reato in ordine
temporale, laddove la finalità di agevolazione mafiosa può insorgere anche nel momento di commissione del reato-fine. Ad opinare diversamente dovrebbe ritenersi che un reato-fine commesso nell’ambito di una associazione a delinquere debba essere sempre necessariamente sorretto da volizione unitaria con il reato di partecipazione alla stessa associazione, tesi che Ł stata piø volte respinta dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1 n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430: ¨ ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si Ł determinato a fare ingresso nel sodalizio. In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416bis cod. pen.; nello stesso senso Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253).
Il ricorso deduce, da ultimo, in particolare nel motivo nuovo, che la stessa circostanza che esistano dei codici di condotta dell’associazione criminale che impongono di punire il sodale che ha preso una iniziativa autonoma comporta che l’omicidio COGNOME debba essere considerato attuazione del programma del clan COGNOME.
L’argomento Ł manifestamente infondato. Il programma criminoso, ideato ed elaborato nelle sue linee essenziali (Sez. 1, n. 785 del 06/02/1996, COGNOME, Rv. 203987), di cui costituirebbe attuazione il reato-fine, infatti, deve essere positivamente e rigorosamente provato (Sez. 1, n. 5618 del 21/12/1993, dep. 1994, Moro, Rv. 196545), e non ricomprende i reati estemporanei che nascono per effetto di un avvenimento specifico che li precede; ad opinare diversamente, infatti, si finirebbe per far dipendere la sussistenza o meno della continuazione tra associazione criminosa e reato-fine dalla tipologia del reato-fine, in contrasto con la sistematica della giurisprudenza di legittimità che ritiene che l’unico disegno criminoso possa sussistere soltanto quando lo specifico reato commesso per secondo, e non un mero comportamento criminale di una certa tipologia, sia stato programmato ‘nelle sue linee essenziali’ (v. sempre sentenza COGNOME sopra citata) al momento di commissione del primo.
Il secondo motivo del ricorso originario, ed il primo motivo del ricorso per motivi nuovi pongono la questione della mancata individuazione di una volizione unitaria tra le due associazioni mafiose per cui Ł stato condannato il ricorrente.
Il ricorso deduce, in particolare, che, a differenza di quanto sostenuto nella ordinanza impugnata, non vi era una cesura di tipo ideativo tra l’appartenenza al clan COGNOME e la appartenenza al clan COGNOME , perchØ tra le due associazioni criminali esisteva una continuità, atteso che la seconda era nata dalle ceneri della prima.
L’argomento Ł manifestamente infondato. La stessa prospettazione del ricorso (la seconda associazione Ł nata dalle ceneri della prima) induce a ritenere non sussistente una volizione criminale unitaria tra la partecipazione alla prima ed alla seconda associazione criminale, perchØ la nascita di una associazione criminale dalle ceneri di un’altra presuppone che la prima in ordine temporale si dissolva, dissoluzione che Ł contrario ad ogni regola logica assumere che possa essere stata prevista e voluta in occasione dell’adesione alla stessa.
Al contrario, l’ordinanza impugnata spiega, in modo non manifestamente illogico, appoggiandosi alle conclusioni cui sono pervenute le sentenze di cognizione, che COGNOME ha approfittato della polverizzazione del clan Sarno, che Ł stata conseguenza degli arresti dei capiclan, ed ha cercato di riempire il vuoto di potere lasciato sul territorio dalla decapitazione del clan mediante la prosecuzione dell’attività criminale in proprio.
Il ricorso deduce che la famiglia COGNOME era sempre stata un sottogruppo del clan Sarno ed aggiunge nei motivi nuovi che anche dalle sentenze di cognizione emerge che la famiglia COGNOME aveva sempre cercato di ritagliarsi un proprio spazio nel clan Sarno.
L’argomento Ł infondato. Una prospettazione di questo tipo, infatti, non permette di individuare una volizione unitaria tra i due reati, perchØ nulla dice sull’atteggiamento soggettivo di COGNOME nel momento in cui Ł entrato nel clan Sarno e sulla sua previsione e volontà, già da quel momento, di rendersi autonomo; anzi, la stessa affermazione del ricorso che gli spazi di autonomia del gruppo familiare facente capo a COGNOME all’interno del clan Sarno sono stati ritagliati progressivamente, ed anche con sforzo, induce a ritenere che la decisione di costituzione della seconda organizzazione criminale sia conseguenza del progressivo incremento di potere acquisito da COGNOME all’interno del clan COGNOME, che, unita alla già citata polverizzazione del clan in conseguenza delle operazioni di polizia che avevano colpito i vertici dello stesso, ha portato alla nascita della nuova organizzazione criminale.
Il ricorso deduce che l’attività criminale svolta in concreto da COGNOME Ł rimasta la stessa (il traffico di stupefacenti) ed identici sono stati i luoghi in cui essa si volgeva (il rione INDIRIZZO).
L’argomento Ł infondato. La giurisprudenza di legittimità evidenzia, infatti, che, per individuare la volizione unitaria, ‘non Ł sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione’ (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375). Pertanto, la deduzione contenuta in ricorso secondo cui COGNOME sempre di traffico di stupefacenti si Ł nella sostanza occupato, e sempre negli stessi luoghi, si rivela inconferente perchØ si spende nell’evidenziare modalità di condotta sempre uguali che, però, non sono sufficienti ad evidenziare l’unicità del momento deliberativo, che anzi Ł stata, non illogicamente, esclusa nell’ordinanza impugnata dallo sviluppo concreto degli eventi, ed in particolare dalla non prevedibilità della futura polverizzazione del clan Sarno nel momento di adesione a tale associazione.
E’ infondato anche il terzo motivo, dedicato alla rideterminazione della pena in conseguenza dell’accoglimento parziale dell’istanza di continuazione.
In una situazione in cui la pena base Ł stata individuata in forza di un reato piø grave giudicato con la sentenza n. 1), il principio di legalità nella determinazione della pena impone che i passaggi successivi del calcolo siano l’applicazione dell’aumento per la continuazione interna ai reati satellite della sentenza n. 1) e poi di quello per la continuazione esterna con il reato, divenuto satellite, della sentenza n. 4), che Ł esattamente ciò che ha fatto il giudice dell’esecuzione nel caso in esame, quantificando l’aumento per la continuazione esterna con il reato della sentenza n. 4) sulla pena finale della sentenza n. 1).
Il ricorso deduce che l’aumento inflitto per la continuazione esterna con il reato satellite della sentenza n. 4 non Ł proporzionato rispetto all’aumento che era già stato inflitto in sede di cognizione per la continuazione interna con i reati satellite della sentenza n. 1, astrattamente piø gravi di quello di cui alla sentenza n. 4.
L’argomento Ł infondato. L’aumento di pena derivante dal riconoscimento della continuazione deve essere determinato in concreto in relazione al singolo fatto storico, e non al titolo di reato, e dipende dal valore ponderale che il giudice attribuisce a ciascun reato satellite posto in continuazione (cfr. Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021, COGNOME, Rv. 282269, in motivazione). Nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha effettuato questa operazione di attribuzione del valore
ponderale perchØ ha spiegato nella motivazione dell’ordinanza impugnata che il reato di porto d’arma da sparo di cui alla sentenza n. 4 era in concreto un fatto molto grave in quanto ‘il prevenuto componeva il gruppo di scorta del boss che arrivava con protervia a puntare una mitraglietta nei confronti di agenti di Polizia di Stato’, motivazione congrua, idonea a reggere, mediante le espressioni concise caratteristiche dei provvedimenti esecutivi (cfr. Sez. 1, n. 23041 del 14/05/2009, COGNOME, Rv. 244115), l’aumento di pena inflitto, e che non presenta tratti di manifesta illogicità.
In definitiva, il ricorso Ł infondato. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 04/12/2024
Il Consigliere estensore
CARMINE RUSSO
Il Presidente NOME COGNOME