Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3813 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3813 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/09/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CALTAGIRONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/03/2023 del TRIBUNALE di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Considerato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza in preambolo con la quale il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza intesa, in via principale, alla rideterminazione della pena ai sensi dell’art. 78 cod. pen. e, in via subordinata, al riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati separatamente giudicati in sede di cognizione;
ritenuto che il ricorso risulta complessivamente manifestamente infondato, in quanto a-specifico e non correlato con la motivazione posta a fondamento del provvedimento di diniego;
ribadito, invero, quanto al primo motivo, il principio secondo cui, «In tema di esecuzione delle pene concorrenti inflitte con condanne diverse, il principio dell’unità del rapporto esecutivo, che mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati, è riferibile alle pene comminate per reati commessi prima dell’inizio della detenzione, mentre si deve procedere ad ulteriore cumulo, non più sottoposto alle limitazioni previste dall’art. 78 cod. pen., comprendente, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata alla data del nuovo reato solo qualora durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato» (Sez. 1, n. 17503 del 13/02/2020, COGNOME, Rv. 279182; Sez. 1, n. 13985 del 25/02/2020, COGNOME, Rv. 278939; Sez. 1, n. 32896 del 30/06/2014, COGNOME, Rv. 261197);
ritenuto che tale principio è stato correttamente applicato dal giudice dell’esecuzione, mentre il ricorso denuncia un inesistente errore nell’applicazione della legge, limitandosi genericamente a denunciare la violazione dell’art. 78 cod. pen. e a lamentare il mancato ossequio dei principi di diritto suindicati;
ribadito, quanto al secondo motivo, che il riconoscimento della continuazione necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di un’approfondita e rigorosa verifica, onde riscontrare se effettivamente, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074-01) e che l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, nonché la contiguità spazio-temporale degli illeciti, rappresentano solo alcuni degli indici in tal senso rivelatori, i quali, seppure indicativi di una determinata scelta delinquenziale, non consentono, di per sé soli, di ritenere che gli illeciti stessi siano frutto di determinazioni volit risalenti ad un’unica deliberazione di fondo (Sez. 3, n. 3111 del 20/11/2013,
dep. 2014, P., Rv. 259094-01). Da quest’ultima non si può infatti prescindere, giacché la ratio della disciplina va ravvisata, con riferimento all’aspetto intellettivo, nella iniziale previsione della ricorrenza di più azioni criminose rispondenti a determinate finalità dell’agente e, in relazione al profilo della volontà, nell’elaborazione di un programma di massima, ancorché richiedente, di volta in volta, in sede attuativa, ulteriori specifiche volizioni (Sez. 1, n. 34502 del 02/07/2015, COGNOME, Rv. 264294-01);
rilevato che il giudice dell’esecuzione ha fatto buon governo di detti principi e – diversamente da quanto affermato dal ricorrente – ha posto in risalto che e ai ostacolo a una decisione favorevole la distanza temporale tra i fatti di rapina e i due omicidi, l’estemporaneità delle relative causali, infine la loro consumazione in circostanze assolutamente differenti ed eterogenee (p. 2 del provvedimento impugnato);
ritenuto che con tali argomentazioni il ricorrente non si confronta in modo adeguatamente specifico e che, di contro, la motivazione del Giudice dell’esecuzione si appalesa perfettamente in linea con la giurisprudenza della Corte secondo cui «caso di reati commessi a distanza temporale l’uno dell’altro, si deve presumere, salvo prova contraria, che la commissione d’ulteriori fatti, anche analoghi per modalità e nomen juris, non poteva essere progettata specificamente al momento di commissione del fatto originario, e deve quindi negarsi la sussistenza della continuazione» (Cass. Sez. 4, n. 34756 del 17/052012, COGNOME, Rv. 253664; Sez. 1, 3747 del 16/01/2009, COGNOME Rv. 242537);
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e che a detta declaratoria segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila;
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 settembre 2023
Il Consigliere estensore