Continuazione tra reati: i poteri del giudice d’appello nel calcolo della pena
L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un pilastro del sistema sanzionatorio italiano, volto a mitigare la pena per chi commette più reati in esecuzione di un unico disegno criminoso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Sez. 7 Penale, n. 30500/2024) offre importanti chiarimenti sui poteri del giudice d’appello nel determinare gli aumenti di pena in questo contesto, soprattutto quando si confronta con la decisione del giudice di primo grado. Analizziamo il caso e la decisione dei giudici di legittimità.
I Fatti del Caso
Il ricorrente era stato condannato dalla Corte d’Appello per il reato associativo previsto dall’art. 74 del DPR 309/1990 (Testo Unico Stupefacenti) e altri reati satellite. La sua posizione era complessa, in quanto era già stato condannato con una sentenza divenuta irrevocabile per un altro reato in materia di stupefacenti (art. 73 DPR 309/1990). La Corte d’Appello aveva riconosciuto il vincolo della continuazione tra tutti questi episodi delittuosi.
Tuttavia, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge. A suo dire, la Corte territoriale, pur avendo comminato una pena complessiva inferiore rispetto al primo grado, avrebbe illegittimamente determinato gli aumenti per la continuazione tra reati in misura superiore a quelli stabiliti dal Tribunale. Inoltre, contestava una carenza di motivazione riguardo all’aumento applicato per il reato già coperto da sentenza irrevocabile.
La Valutazione della Corte sulla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici supremi hanno smontato la tesi difensiva attraverso un’analisi puntuale dei calcoli effettuati nei diversi gradi di giudizio.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di Appello non aveva affatto applicato aumenti di pena superiori. La Cassazione ha chiarito che gli aumenti per il reato già giudicato con sentenza precedente e per gli altri reati contestati nel procedimento erano stati quantificati in misura inferiore o, al più, uguale a quella decisa dal Tribunale in primo grado. Pertanto, la doglianza su questo punto era palesemente priva di fondamento.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha inoltre ritenuto adeguata (“congrua”) la motivazione fornita dalla Corte d’Appello per l’aumento di pena di tre anni, relativo al reato già giudicato con la sentenza irrevocabile del 2018. I giudici di merito avevano correttamente giustificato tale aumento sulla base di due elementi chiave: la “notevole gravità dei reati satellite” e la “allarmante personalità dell’imputato”. Questa motivazione, seppur sintetica, è stata considerata sufficiente a dar conto delle ragioni della decisione sanzionatoria, rispettando i criteri di legge.
Infine, in applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale, l’inammissibilità del ricorso ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende. La Corte ha infatti escluso la presenza di una “assenza di colpa” nella determinazione della causa di inammissibilità, come specificato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
Le Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nel giudizio d’appello, la valutazione sulla congruità della pena e dei relativi aumenti per la continuazione tra reati gode di un’ampia discrezionalità del giudice di merito, purché la decisione sia logicamente e adeguatamente motivata. Il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della quantificazione della pena, ma deve limitarsi a censurare eventuali violazioni di legge o vizi manifesti della motivazione. La decisione sottolinea l’importanza per la difesa di articolare doglianze precise e fondate, pena l’inammissibilità del ricorso e le conseguenti sanzioni economiche.
Può la Corte d’Appello, pur diminuendo la pena complessiva, aumentare gli incrementi di pena per la continuazione stabiliti in primo grado?
No, in questo caso specifico la Corte di Cassazione ha verificato che la Corte d’Appello non aveva aumentato gli incrementi di pena, ma li aveva anzi quantificati in misura inferiore o uguale a quella del primo grado. La doglianza del ricorrente è stata ritenuta infondata.
Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione dichiarato inammissibile?
Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è dichiarato inammissibile e non vi è assenza di colpa da parte del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Come deve essere motivato un aumento di pena per un reato in continuazione con una precedente condanna irrevocabile?
La motivazione può essere considerata congrua se fa riferimento a elementi concreti come la notevole gravità dei reati satellite e l’allarmante personalità dell’imputato. La Corte di Cassazione ha ritenuto sufficiente tale motivazione per giustificare l’aumento di pena applicato dalla Corte d’Appello.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30500 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30500 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/07/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Il ricorrente in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli indicata in epigrafe che lo ha condannato per il reato di cui all’art. 74 DPR 309/1990 e altri reati satellite, uniti dal vincolo della continuazione. Era stata inoltre riconosciuta la continuazione con il reato di cui all’art. 73 DPR 209/1990 per cui era stato condannato con un’altra sentenza della Corte d’appello di Napoli, divenuta irrevocabile il 15 novembre 2018.
L’esponente lamenta vizio di violazione di legge in quanto la Corte territoriale pur comminando una pena complessivamente inferiore a quella del primo giudice aveva determinato gli aumenti per la continuazione in misura superiore a quelli determinati dal Tribunale. Non aveva inoltre motivato in ordine all’aumento fissato per la continuazione con il reato giudicato con la sentenza divenuta irrevocabile il 15 novembre 2018.
Il ricorso è manifestamente infondato. Gli aumenti determinati dal primo giudice ex art. 81 cpv ( reato già giudicato con una precedente sentenza e reato sub 2) contestatogli nel presente procedimento). sono stati fissati rispettivamente, dal primo giudice, in 5 anni e 4 mesi ed in sei mesi. La Corte di appello ha quantificato gli aumenti in 5 anni, per il reato giudicato con una precedente sentenza, ed in sei mesi per il reato sub 2), in misura, dunque, inferiore ed uguale rispetto dal giudizio di primo grado. Congrua risulta la motivazione in relazione all’ulteriore reato già giudicato con la sentenza divenuta irrevocabile il 15 novembre 2018, stabilito nella misura di tre anni in relazione alla notevole gravità dei reati satellite e a allarmante personalità dell’imputato.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il Consigliere estensore
Il Pre ‘dente
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2024