Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38467 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38467 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SIDERNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/03/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Reggio Calabria – in veste di giudice dell’esecuzione – ha rigettato l’istanza presentata da NOME COGNOME, volta all’unificazione ex art. 671 cod. proc. pen., fra i reati giudicati:
con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 16/07/2015 (pronuncia emessa in riforma della sentenza del Tribunale di Locri del 19/07/2013, divenuta irrevocabile il 18/05/2017), che lo aveva condannato alla pena di anni undici di reclusione, avendolo ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 416-bi cod. pen., commesso in Reggio Calabria e altrove fino al 21/03/2011, reato già unificato sotto il vincolo della continuazione ai fatti giudicati con la sentenza del Corte di appello di Reggio Calabria del 16/02/2018 (pronuncia emessa in riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Reggio Calabria del 20/01/2016, passata in giudicato in data 11/07/2019), che lo aveva condannato alla pena di anni dieci di reclusione, avendolo riconosciuto colpevole di quattro episodi di estorsione aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., commessi in Siderno in data prossima al 13/10/2009, condanne già unificate tra loro in continuazione, con rideterminazione della pena complessiva in anni sedici, mesi due e giorni venti di reclusione;
con la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 01/07/2016 (pronuncia emessa in riforma della sentenza del Tribunale di Locri del 07/07/2014, passata in giudicato il 04/05/2018), che lo ha condannato alla pena di anni tredici di reclusione, avendolo riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 74 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, commesso in Siderno in data antecedente al 2006 e con condotta in atto, nonché di due ipotesi di reato ex artt. 110 cod. pen. e 73-80 T.U. stup., perpetrati in Siderno e altrove fino al 17/06/2009 e del reato di cui agli ar 110, 624 e 625 nn. 2 e 7 cod. pen., commesso in Siderno fino al 17/06/2009.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, deducendo tre motivi di ricorso, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 125 e 671 cod. proc. pen., nonché 81 cod. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen. L’ordinanza è carente, in alcuni punti, mentre è solo apparente in altri passaggi, soffermandosi essa esclusivamente sulla pagina numero undici dell’istanza e, complessivamente, mancando di confrontarsi con le prove addotte e con le argomentazioni difensive.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. b), in riferimento agli artt. 125 e 671 cod. proc. pen., oltr che 81 cod. pen. e 187 disp. att. cod. proc. pen., per travisamento di prove presenti nel giudizio e ritenute inesistenti, nonché a causa della omessa valutazione di prove prodotte in atti.
2.3. Con il terzo motivo, ci si duole della violazione di legge penale, per mancata valutazione di prove difensive, deducendosi nullità assoluta e vizio ex art. 606, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., nonché 125 e 178 cod. proc. pen. Non risponde al vero che gli elementi addotti nel presente procedimento siano stati già valutati in precedenza.
Con tempestivi motivi nuovi, la difesa ha lamentato violazione della legge penale e mancanza assoluta di motivazione. Nell’ordinanza si definisce generica l’istanza, mentre in realtà non la si è letta e, quindi, si adotta una motivazion apparente.
I giudici dell’esecuzione non hanno considerato, infatti, trattarsi di condotte di omologa tipologia e che tale equivalenza atteneva, in particolare, alle condotte tenute dall’odierno ricorrente e da NOME COGNOME. È stato ignorato il dato della nnedesimezza dell’area geografica di coltivazione della sostanza stupefacente, così come non si è tenuto conto della contestualità temporale, oggettivamente sussistente tra i fatti, nonché della identità dei soggetti coinvolti. Né si è valut come le condotte fossero volte al raggiungimento dei medesimi obiettivi, ad opera di un gruppo coeso di soggetti, anche parenti del ricorrente. Ignorato, infine, è stato il ruolo ricoperto dal COGNOME.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Integrando brevemente quanto già sintetizzato in parte narrativa, può precisarsi come si tratti dell’incidente dell’esecuzione instaurato a seguito della presentazione di istanza nell’interesse di NOME COGNOME, finalizzata al riconoscimento del vincolo della continuazione fra due gruppi di reati:
un primo insieme di fatti è relativo al delitto di cui all’art. 416-bis cod. p posto in essere fino al 21/3/2011 e già unificato a quattro episodi estorsivi risalent al 2009;
una seconda sentenza inerisce alla violazione dell’art. 74 T.U. stup., commessa
in data antecedente al 2006 e con permanenza al 2014, nonché a due violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, collocabili nell’anno 2009 e, infine, a un furt perpetrato nel 2009.
L’istanza invoca l’unificazione in continuazione, tra i reati facenti parte del primo gruppo sopra detto e quelli giudicati mediante la seconda condanna, rappresentando come analoga istanza sia stata già disattesa nel 2019 e che questa Corte abbia poi respinto il relativo ricorso.
Il rilievo preliminare formulato dalla Corte territoriale, pertanto, attien alla pacifica preesistenza di tale istanza similare, già proposta e disattesa. Risulta versato nell’incarto processuale, infatti, il provvedimento assunto in executivis il 17/04/2019, vertente su temi praticamente sovrapponibili a quelli oggetto del presente procedimento. La Corte territoriale si diffonde, allora, nell’esame della sussistenza di possibili elementi di novità della attuale richiesta, rispetto contenuto della precedente istanza.
3.1. Il primo di tali profili nuovi, indicati dalla difesa, è costituit mutamento che si assume essere intervenuto, in seno alla giurisprudenza di legittimità, riguardo al tema della configurabilità della continuazione fra reat associativi.
In realtà, il principio di diritto che governa la materia è nel senso che – in tema di novum rappresentato dal mutamento della giurisprudenza di legittimità possa attribuirsi rilevanza esclusivamente al variato orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (si veda quanto affermato da Sez. U, n. 18288 del 21/01/2010, COGNOME, rv. 246651; nello stesso senso si è espressa Sez. 1, n. 30569 del 07/03/2019, COGNOME, rv. 276604, a mente della quale: «Il mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni Unite, adottata sulla base di un’interpretazione conforme a principi costituzionali o sovranazionali, integra un “nuovo elemento” di diritto idoneo a superare la preclusione del c.d. giudicato esecutivo»). La Corte di appello, comunque, afferma non essere emersa alcuna nuova posizione, nella giurisprudenza di legittimità, ricordando anche la natura non vincolante dei precedenti provvedimenti di merito.
3.2. Sottolinea la difesa, poi, la valenza da riconnettere alla decisione di riconoscere la continuazione, in riferimento alle posizioni dei due coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME. La difesa, però, elude il tema principale della questione, mancando di specificare le ragioni della ritenuta reciproca influenza, esistente fra le diverse posizioni.
3.3. Viene richiamata, infine, la ineccepibile condotta penitenziaria serbata dal soggetto, in tal modo adducendosi una argomentazione palesemente eccentrica, rispetto al thema decidendum.
3.4. Tali essendo gli elementi di valutazione e conoscenza presenti in atti, l’istanza in esame non può che essere ritenuta la pedissequa reiterazione della precedente, già disattesa dal Giudice dell’esecuzione nell’anno 2019; del tutto corretto, quindi, è il percorso concettuale al quale si è attenuto il provvedimento impugnato, che ha posto alla base di ogni valutazione l’integrale richiamo al contenuto della precedente decisione.
Con il primo motivo si lamenta la omessa considerazione delle prospettazioni contenute nell’istanza. Afferma la difesa, infatti, esser state proposte prove nuove, non rappresentate nella prima istanza rigettata, dipanando poi ampie deduzioni circa la natura dei reati associativi e circa la sussistenza della continuazione, riconosciuta in favore di altri coimputati.
4.1. La difesa insomma – in questa doglianza e nei motivi nuovi sostanzialmente auspica il riconoscimento della continuazione, richiamando elementi quali la collocazione geografica delle vicende, la medesimezza ontologica e strutturale dei reati e la componente soggettiva delle diverse compagini associative. In ordine alla sussistenza di tali elementi – e, soprattutto, quanto all valenza da riconnettere agli stessi, ai fini che ora rilevano – la Corte territoria opera giustamente un integrale rinvio alla dettagliata, coerente ed esaustiva analisi già contenuta nell’ordinanza del 17/04/2019, limitandosi ora alla valutazione dei soli profili di asserita novità.
4.2. Nel caso di specie, il ricorrente si limita a spendere argomenti di tipo fattuale e di merito, che esulano dal perimetro assegnato al giudizio di legittimità. Eccede, invero, dalla competenza della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi valutativi e di fatto, trattandosi di accertamenti rientranti nell’alv dei compiti esclusivi del giudice di merito.
E infatti, il controllo sulla motivazione, ad opera del giudice di legittimità, circoscritto – ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. – alla verif di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione insindacabile e, pertanto, intangibile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili, che l’hanno determinata; 2) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza delle argomentazioni esposte, rispetto al fine da cui sono state determinate; 3) la non emersione di alcuno dei predetti vizi dal testo dell’atto impugnato, ovvero da altri atti del processo, se specificamente indicati nei motivi di gravame (fra tante, si vedano Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., rv. 280601; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, rv. 265482 e Sez. 6, n. 5334 del 22/04/1992, dep. 1993, COGNOME, rv. 194203).
La difesa, al contrario, si limita alla mera contestazione della valutazione effettuata dal Giudice dell’esecuzione, esprimendo quindi una critica solo
confutativa e finalizzata alla rivalutazione nel merito. In realtà, l’atto impugnazione contiene la negazione della validità della tesi sussunta nel provvedimento impugnato, nonché l’apodittica affermazione della sussistenza dell’invocata continuazione; non chiarisce, però, da quali elementi possa esser tratta tale convinzione. Ne consegue che il motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, è stato proposto fuori dai casi consentiti ed è, quindi, inammissibile.
5. Il secondo e il terzo motivo presentano una matrice comune e ben si prestano, pertanto, a una agevole trattazione unitaria. La difesa deduce, sebbene sotto plurime angolazioni, il vizio di travisamento delle prove, sostenendo essere errata l’affermazione secondo la quale gli elementi addotti a fondamento dell’istanza erano già stati valutati nella precedente ordinanza, atteso che – nel corso di tale incidente di esecuzione – le sentenze richiamate ora dalla difesa erano soltanto allegate.
Con la memoria del 26/4/2023, inoltre, la difesa aveva allegato provvedimenti giurisdizionali che avevano accolto la richiesta di riconoscimento della continuazione, che era stata avanzata nell’interesse di altri coimputati. Tale memoria, in ipotesi difensiva, non sarebbe stata presa in considerazione; nella stessa venivano indicati elementi concernenti la posizione di NOME, nonché elementi nuovi riguardanti il coimputato NOME COGNOME.
5.1. Giova allora ricordare che – a seguito delle modifiche apportate all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della Legge 20 febbraio 2006, n. 46 – non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. È consentito, al contrario, dedurre il vizio cd. di “travisamento della prova”. Tale patologia della decisione giudiziaria, come noto, rientra fra i casi di distonia dell’apparato motivazionale, rispetto al patrimonio conoscitivo processuale.
5.1.1. I vizi della motivazione sussumibili in tale previsione codicistica, dunque, possono essere così brevemente delineati: – la omessa considerazione di una prova decisiva, così realizzandosi il cd. travisamento per omissione; l’utilizzazione, a fini decisionali, di un elemento probatorio in forza della errat ricostruzione del relativo elemento “significante”, così realizzandosi il cd. travisamento delle risultanze probatorie; – l’utilizzazione di un elemento dimostrativo mai entrato nel processo, così realizzandosi il cd. travisamento per invenzione (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370, a mente della quale: «In tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione ne
ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato” atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel meri dell’elemento di prova»; nello stesso senso si erano espresse Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, rv. 273217; Sez. 4, n. 31346 del 18/06/2013, COGNOME, rv. 256287; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, rv. 238215).
5.1.2. Nella vicenda ora sottoposta al vaglio di questo Collegio, l’atto di impugnazione soffre di una marcata connotazione di genericità; la difesa sostiene, infatti, non esser stati considerati dalla Corte territoriale alcuni elementi, ma non chiarisce le ragioni della asserita decisività di quanto contenuto nella memoria difensiva succitata, che si denuncia esser stata pretermessa.
La regola ermeneutica alla quale attenersi, però, è nel senso che l’omesso esame – ad opera del giudice del merito – di una memoria difensiva possa formare oggetto di deduzione in sede di legittimità, assumendo la veste del vizio della motivazione; ciò però a patto che – in ossequio al dovere di specificità dei motivi – venga puntualmente rappresentata, da parte della difesa, quale sia la concreta attitudine scardinante, da riconnettere agli aspetti problematici presenti nello scritto, eppure ignorati nella avversata decisione, essendo anche necessario che venga evidenziato il nesso di interferenza, tra gli aspetti carenti, contraddittori illogici della struttura motivazionale aggredita e il contenuto specifico della memoria difensiva, dotato di efficacia che si pretende disarticolante (Sez. 2, n. 38834 del 07/06/2019, COGNOME, rv. 277220; Sez. 3, n. 36688 del 06/06/2019, COGNOME, rv. 277667; Sez. 5, n. 17798 del 22/03/2019, COGNOME., rv. 276766).
5.2. Come correttamente affermato dall’impugnata ordinanza, l’unico elemento genuinamente dotato di un contenuto di novità, che viene esposto nella memoria del maggio 2023 depositata al giudice dell’esecuzione, è il riconoscimento della continuazione in executivis, in favore di COGNOME (alcun mutamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di continuazione tra reati associativi, è stato ovviamente effettuato dalle Sezioni Unite di questa Corte).
E la Corte di appello di Reggio Calabria prende adeguatamente in considerazione tale novum, ritenendolo però niente affatto decisivo né vincolante. Tale affermazione è corretta, quanto al versante dogmatico e di coerenza del sistema ed è priva della pur minima forma di illogicità: la dedotta novità, infatti, non è costituita da una sentenza che abbia eventualmente accertato la sussistenza di fatti storici e oggettivi (accadimenti esistenti quanto al versante fenomenico, ma in precedenza ignoti al giudice dell’esecuzione, che aveva rigettato l’istanza di riconoscimento del vincolo della continuazione), bensì da un provvedimento, che
si limita ad esprimere la difforme valutazione proveniente da altro un giudice modo ineccepibile, pertanto, la Corte distrettuale ricorda la netta demarcaz esistente, fra il fatto definibile come nuovo e la differente valutazione che a ad accadimenti similari, rispetto a quelli già valutate.
Alla luce delle considerazioni che seguono, si impone il rigetto ricorso; segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso in Roma, 12 luglio 2024.