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Continuazione tra reati: i criteri della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso sulla continuazione tra reati. Ha stabilito che per riconoscere un unico disegno criminoso non basta la somiglianza dei reati (rissa e lesioni), ma serve la prova che i reati successivi fossero programmati fin dal primo. Un intervallo di nove mesi e la natura impulsiva dei delitti escludono tale programmazione.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Non Basta la Somiglianza, Serve un Piano Iniziale

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del diritto penale, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un “medesimo disegno criminoso”. Tuttavia, quando si può dire che esiste davvero un piano unitario? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4103 del 2024, torna a fare chiarezza sui criteri, sottolineando che la semplice somiglianza dei reati o la loro natura non sono sufficienti. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo contro una decisione del Tribunale che aveva negato il riconoscimento della continuazione tra due diversi reati, entrambi caratterizzati da episodi di rissa e lesioni volontarie. Tra il primo e il secondo fatto era intercorso un periodo di tempo significativo: circa nove mesi. L’imputato sosteneva che, data la natura simile dei reati, questi dovessero essere considerati parte di un unico progetto criminale, con conseguente applicazione di una pena più favorevole. Il giudice di merito, tuttavia, aveva respinto la richiesta, e la questione è così giunta all’esame della Suprema Corte.

I Criteri Guida per la Continuazione tra Reati

La Cassazione, nel dichiarare il ricorso manifestamente infondato, ha ribadito i principi già consolidati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (sentenza n. 28659/2017). Per riconoscere una continuazione tra reati, non basta un’analisi superficiale, ma è necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti. Questi includono:

* Omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* Contiguità spazio-temporale tra i fatti.
* Modalità della condotta e causali.
* Sistematicità e abitudini di vita del reo.

Il criterio fondamentale, però, è un altro: è indispensabile dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. La sola presenza di alcuni degli indicatori sopra elencati non è sufficiente se emerge che i reati successivi sono stati frutto di una decisione estemporanea.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Applicando questi principi al caso specifico, la Corte ha ritenuto la decisione del Tribunale del tutto logica e corretta. I giudici hanno evidenziato due elementi decisivi che escludevano la sussistenza di un’unica “volizione unitaria”:

1. La distanza temporale: Un intervallo di nove mesi tra i due episodi è stato considerato un fattore rilevante che indebolisce l’ipotesi di un piano unitario concepito fin dall’inizio.
2. La natura dei reati: I delitti di rissa e lesioni volontarie sono tipicamente caratterizzati da estemporaneità e dolo d’impeto. Nascono cioè da decisioni impulsive e momentanee, non da una fredda programmazione. È quindi illogico pensare che il secondo episodio di violenza fosse già stato pianificato, neppure nelle sue linee essenziali, quando fu commesso il primo.

Di conseguenza, la Corte ha concluso che il giudice di merito ha correttamente escluso che il secondo reato potesse essere stato programmato al momento del primo, rendendo impossibile applicare la disciplina della continuazione.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: la continuazione tra reati è un istituto che presuppone una programmazione iniziale. Non può essere invocata semplicemente perché i reati commessi sono simili o appartengono alla stessa tipologia. L’intervallo di tempo e, soprattutto, la natura impulsiva dei delitti possono costituire prove decisive contro l’esistenza di un disegno criminoso unitario. La decisione sottolinea l’importanza di un’analisi fattuale rigorosa da parte dei giudici, che devono andare oltre le apparenze per accertare la reale intenzione del reo al momento della prima azione illecita.

Quali sono i criteri principali per riconoscere la continuazione tra reati?
Per riconoscere la continuazione, è necessaria una verifica approfondita di indicatori come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità di tempo e luogo, le modalità della condotta e la sistematicità. Il requisito fondamentale è che, al momento del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali.

Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude sempre la continuazione?
Non necessariamente, ma un notevole lasso di tempo (nel caso specifico, nove mesi) è un forte indizio contrario all’esistenza di un piano unitario. Il criterio temporale, valutato insieme ad altri elementi come la natura del reato, può rendere illogica l’ipotesi di una programmazione iniziale.

Perché reati come la rissa e le lesioni volontarie difficilmente rientrano nella continuazione?
Perché sono reati tipicamente caratterizzati da “estemporaneità” e “dolo di impeto”, ovvero nascono da una decisione improvvisa e impulsiva. Questa natura contrasta con il presupposto della continuazione, che richiede una programmazione e una volontà unitaria che preesiste alla commissione dei singoli reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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