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Continuazione tra reati: errore di fatto e annullamento

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza del Tribunale di Napoli che negava la continuazione tra reati a un condannato. Il giudice di merito aveva erroneamente basato la sua decisione su una distanza temporale inesistente tra i fatti, commettendo un ‘travisamento del fatto’. La Corte ha chiarito che la valutazione deve basarsi su dati corretti, considerando l’omogeneità dei reati, il tempo, il luogo e le modalità, rimandando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: L’Importanza della Corretta Valutazione dei Fatti

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro fondamentale del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale: la decisione del giudice deve fondarsi su un’analisi accurata e non viziata da errori fattuali. Il caso in esame dimostra come un ‘travisamento del fatto’ possa portare all’annullamento di un provvedimento e alla necessità di un nuovo giudizio.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato con due distinte sentenze, divenute definitive, per delitti contro il patrimonio commessi in un arco temporale ristretto (tra febbraio e maggio 2013), presentava istanza al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione.

Il Tribunale rigettava la richiesta, motivando la decisione sulla base di due elementi: la notevole distanza temporale tra i fatti, indicati come commessi nel 2013 e nel 2018, e la presunta eterogeneità degli stessi.

L’interessato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, evidenziando un palese errore del giudice. In primo luogo, l’istanza non aveva mai riguardato una terza sentenza del 2019, né reati commessi nel 2018. La richiesta di continuazione tra reati si riferiva esclusivamente a delitti della stessa natura (furti aggravati), perpetrati in concorso con le medesime persone e nello stesso contesto associativo, tutti concentrati nell’anno 2013. Il riferimento al 2018 era, quindi, frutto di un’errata lettura degli atti processuali.

La Decisione della Corte sulla Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. Gli Ermellini hanno constatato che il giudice dell’esecuzione aveva effettivamente travisato il contenuto delle decisioni e dell’istanza sottoposta al suo esame.

La decisione del Tribunale si fondava su una premessa fattuale palesemente errata: la distanza temporale tra il 2013 e il 2018. Questo errore ha viziato l’intera motivazione, impedendo al giudice di compiere una corretta valutazione degli elementi che avrebbero potuto indicare la sussistenza di un medesimo disegno criminoso.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nel concetto di ‘travisamento del fatto’. Il giudice dell’esecuzione, basando il suo diniego su una circostanza – la commissione di un reato nel 2018 – che non corrispondeva alla realtà processuale, ha di fatto omesso di valutare gli elementi concreti portati a sostegno dell’istanza.

La Corte ha sottolineato che il Tribunale non ha considerato l’omogeneità dei reati (tutti delitti contro il patrimonio), l’arco temporale effettivo della loro consumazione (pochi mesi nel 2013), il luogo, le modalità esecutive e la presenza degli stessi coimputati. Questi sono tutti indici sintomatici che, se correttamente analizzati, avrebbero potuto condurre a una diversa conclusione sulla sussistenza della continuazione tra reati. In sostanza, il giudice si è limitato a rilevare una distanza temporale travisata, senza procedere a un esame completo e corretto del merito della richiesta.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: una decisione giudiziaria, per essere valida, deve poggiare su un’accurata e veritiera ricostruzione dei fatti processuali. Un errore percettivo così rilevante, come quello di confondere le date di commissione dei reati, inficia alla radice la logicità e la correttezza della motivazione. Di conseguenza, l’annullamento con rinvio si è reso necessario per consentire a un nuovo giudice di riesaminare l’istanza partendo dai dati corretti, garantendo così all’imputato una valutazione giusta ed equa, nel pieno rispetto dei principi procedurali.

Cosa succede se un giudice basa la sua decisione su un fatto palesemente errato?
La decisione può essere annullata. In questo caso, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza perché il giudice aveva negato la continuazione basandosi su una distanza temporale tra i reati (2013 e 2018) che in realtà non esisteva, commettendo un ‘travisamento del fatto’.

Quali elementi deve valutare un giudice per riconoscere la continuazione tra reati?
Il giudice non deve limitarsi alla sola distanza temporale, ma deve compiere una valutazione complessiva che include l’omogeneità dei reati, il tempo e il luogo della loro commissione, le modalità esecutive e l’eventuale presenza degli stessi complici, elementi che possono indicare un unico disegno criminoso.

È possibile chiedere il riconoscimento della continuazione dopo che le sentenze sono diventate definitive?
Sì, la richiesta di riconoscimento della continuazione va presentata proprio in fase esecutiva, cioè dopo che le sentenze sono diventate irrevocabili, al ‘giudice dell’esecuzione’, come avvenuto nel caso analizzato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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