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Continuazione tra reati e patteggiamento: l’accordo

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che unificava due sentenze di patteggiamento per spaccio di stupefacenti. La Corte ha chiarito che, in questi casi, è obbligatorio seguire la procedura speciale che prevede un accordo preventivo tra condannato e Pubblico Ministero sulla pena finale. Il giudice dell’esecuzione non può calcolare autonomamente la pena, ma deve limitarsi a ratificare l’accordo. La decisione sottolinea la specificità della procedura per la continuazione tra reati definiti con patteggiamento.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati e patteggiamento: quando l’accordo con il PM è indispensabile

La gestione delle pene derivanti da più sentenze è un tema complesso nel diritto penale esecutivo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale riguardo la continuazione tra reati quando le condanne originarie derivano da sentenze di patteggiamento. In questi casi, non si applica la procedura ordinaria, ma una speciale che richiede un accordo preventivo tra condannato e Pubblico Ministero. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso: Due Patteggiamenti e la Richiesta di Unificazione

Un soggetto, condannato con due distinte sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) per reati legati al traffico di sostanze stupefacenti, si rivolgeva al Giudice dell’esecuzione. La sua richiesta era di unificare le due pene sotto il vincolo della continuazione, un istituto che permette di considerare più reati come parte di un unico disegno criminoso, con un conseguente trattamento sanzionatorio più mite.

Il Giudice dell’esecuzione accoglieva la richiesta, procedendo a ricalcolare la pena complessiva e fissandola in sei anni di reclusione e 28.000 euro di multa.

Il Ricorso del Pubblico Ministero e la questione sulla continuazione tra reati

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso era di natura prettamente procedurale. Secondo il PM, il Giudice dell’esecuzione aveva errato non applicando la norma specifica prevista per questa situazione, ovvero l’articolo 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

Questa norma stabilisce che, per ottenere la continuazione tra reati giudicati con patteggiamento, è necessario un preventivo accordo tra il condannato e il Pubblico Ministero sull’entità della pena finale. Inoltre, il PM lamentava che la pena ricalcolata dal giudice superava il limite di cinque anni previsto dalla stessa disposizione normativa come soglia massima per poter accedere a tale accordo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso del Pubblico Ministero, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata. I giudici di legittimità hanno chiarito che la procedura per il riconoscimento della continuazione tra reati definiti con patteggiamento è speciale e si discosta da quella generale prevista dall’art. 671 cod. proc. pen.

L’articolo 188 disp. att. cod. proc. pen. delinea uno schema che ricalca quello del patteggiamento stesso: le parti devono negoziare e concordare la pena finale. Solo dopo aver raggiunto un accordo, possono presentare la richiesta congiunta al giudice dell’esecuzione. Il ruolo del giudice, in questo contesto, non è quello di determinare autonomamente la sanzione, ma di ratificare l’accordo raggiunto, oppure di respingerlo se ritiene ingiustificato il dissenso del PM.

Nel caso di specie, mancava totalmente questo passaggio fondamentale: non vi era stato alcun accordo tra le parti sulla pena. Il giudice aveva invece proceduto autonomamente al calcolo, esercitando poteri valutativi che, in questa specifica procedura, non gli competono. Il fatto che il PM avesse dato un generico parere favorevole all’unificazione non poteva sostituire l’accordo formale sulla quantificazione della pena, che è il cuore della procedura speciale.

Conclusioni

La sentenza riafferma un principio procedurale di grande importanza pratica. Chi intende chiedere l’applicazione della continuazione tra reati oggetto di precedenti patteggiamenti non può limitarsi a presentare un’istanza generica al giudice dell’esecuzione. È indispensabile avviare preventivamente un’interlocuzione con l’ufficio del Pubblico Ministero per negoziare e definire l’entità della pena complessiva. L’istanza da presentare al giudice deve essere il risultato di questo accordo. In assenza di tale pattuizione, la richiesta è destinata a essere respinta o, se erroneamente accolta, ad essere annullata, come avvenuto nel caso in esame.

È possibile chiedere l’applicazione della continuazione tra reati giudicati con diverse sentenze di patteggiamento?
Sì, è possibile, ma è necessario seguire la procedura speciale prevista dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., che richiede un accordo preventivo tra il condannato e il Pubblico Ministero sull’entità della pena finale.

Il giudice dell’esecuzione può determinare autonomamente la pena in caso di continuazione tra patteggiamenti?
No. Secondo la sentenza, il giudice non può esercitare i suoi ordinari poteri valutativi e calcolare la pena. Il suo ruolo è limitato a ratificare l’accordo raggiunto tra le parti o a respingerlo, salvo il caso di dissenso ingiustificato del Pubblico Ministero.

Cosa succede se si chiede la continuazione tra patteggiamenti senza un accordo con il Pubblico Ministero?
La richiesta è proceduralmente scorretta. Come nel caso di specie, il provvedimento del giudice che accoglie tale richiesta è illegittimo e può essere annullato dalla Corte di Cassazione, poiché non rispetta lo schema procedurale specifico dettato dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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