Continuazione tra Reati: Quando i Crimini Restano Separati
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una speranza per molti imputati, poiché consente di unificare più condanne sotto un unico disegno criminoso, ottenendo una pena complessivamente più lieve. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che i criteri per il suo riconoscimento sono rigorosi. Analizziamo una decisione che ha dichiarato inammissibile un ricorso, chiarendo quando episodi criminali, seppur simili e ravvicinati, non possono essere considerati parte di un medesimo piano.
I Fatti del Caso: Una Serie di Reati in Tutta Italia
Il caso esaminato riguarda un individuo condannato con cinque sentenze diverse per episodi di commercio di prodotti con segni falsi (ai sensi dell’art. 474 del codice penale) e ricettazione. Questi reati erano stati commessi in varie località d’Italia nell’arco di circa quattro mesi, tra giugno e ottobre 2015.
L’imputato ha presentato ricorso al Giudice dell’Esecuzione chiedendo che tutti questi reati venissero riconosciuti come legati dal vincolo della continuazione. A suo avviso, la natura omogenea dei crimini e il breve periodo in cui erano stati perpetrati dimostravano l’esistenza di un’unica programmazione criminale. Tuttavia, il Giudice dell’Esecuzione ha respinto la richiesta, ritenendo insussistenti gli elementi per affermare l’unitarietà del disegno criminoso. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.
La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha stabilito che gli argomenti presentati dal ricorrente erano manifestamente infondati e, soprattutto, miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. Di conseguenza, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le motivazioni della Cassazione sulla continuazione tra reati
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali.
In primo luogo, ha evidenziato che la motivazione del giudice di merito non era affatto illogica. Il giudice aveva correttamente osservato che, nonostante l’omogeneità delle norme violate e la vicinanza temporale, mancava la prova cruciale: quella di un unico piano criminoso preordinato. Non era emerso che le diverse condotte criminose fossero state collegate e prefigurate dall’imputato sin dall’inizio.
In secondo luogo, e in modo decisivo, la Cassazione ha sottolineato che le censure del ricorrente erano tutte relative al merito della vicenda. Il ricorso non contestava una violazione di legge o un vizio di motivazione evidente, ma invocava, in sostanza, una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto. Questo tipo di richiesta non è consentita in sede di legittimità, dove il ruolo della Corte è quello di controllare la corretta applicazione della legge, non di riesaminare le prove come un terzo grado di giudizio.
Conclusioni: L’Importanza di Provare il Disegno Criminoso Unitario
Questa ordinanza riafferma un principio cardine in materia di continuazione tra reati: la prova dell’esistenza di un disegno criminoso unitario è un onere che grava su chi la invoca. Non è sufficiente dimostrare di aver commesso reati simili in un breve arco temporale. È necessario fornire elementi concreti da cui si possa desumere che tutti gli episodi delittuosi fossero parte di un programma deliberato e concepito fin dal principio. In assenza di tale prova, i reati rimangono distinti e le pene vengono applicate separatamente, senza il beneficio del cumulo giuridico. La decisione serve quindi come un chiaro monito: il giudizio di Cassazione non è la sede per tentare di rimettere in discussione le valutazioni di fatto operate dai giudici di merito.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso sulla continuazione tra reati?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate dal ricorrente riguardavano una rivalutazione dei fatti, un’attività non consentita in sede di legittimità. La Corte ha ritenuto che il ricorso non contestasse vizi di legge, ma tentasse di ottenere un nuovo giudizio sul merito della vicenda.
Commettere reati simili in un breve periodo di tempo è sufficiente per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. Secondo l’ordinanza, l’omogeneità dei reati (in questo caso, commercio di prodotti falsi e ricettazione) e la vicinanza temporale tra gli episodi non sono, da sole, sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’unica programmazione criminosa.
Cosa ha stabilito la Corte riguardo alla prova di un’unica programmazione criminosa?
La Corte ha ribadito che per ritenere l’unitarietà della programmazione criminosa è necessario che le condotte criminose siano collegate e prefigurabili dall’agente sin dall’inizio. Nel caso specifico, il giudice di merito aveva correttamente escluso, con motivazione non illogica, la presenza di elementi sufficienti a provare tale collegamento e prefigurabilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27022 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27022 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/03/2024 del TRIBUNALE di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 – 01 ), atteso che, con motivazione affatto illogica, il G.E. ha ritenuto insussistenti gli elementi per ritener l’unitarietà della programmazione criminosa tra i fatti giudicati con le cinque sentenze in istanza specificate, ed ha osservato che, nonostante l’omogeneità delle norme incriminatrici violate (commercio di prodotti con segno falsi ex art. 474 cod. pen. e ricettazione), trattandosi di episodi commessi dal COGNOME in varie parti di Italia nel periodo intercorrente tra il 22/06/2015 ed il 23/10/2015, le condotte criminose non fossero tra loro collegate e prefigurabili dal COGNOME, neppure astrattamente.
Osservato che le censure attengono tutte al merito e invocano, sostanzialmente, una nuova valutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.