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Continuazione tra reati: Cassazione rigetta ricorso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati giudicati con tre sentenze definitive, tra cui associazione di tipo mafioso, estorsione e porto d’armi. La Corte ha stabilito che, per applicare la disciplina del reato continuato, non è sufficiente che i reati rientrino nell’attività di un sodalizio criminale, ma è necessario dimostrare che fossero parte di un unico disegno criminoso programmato fin dall’inizio, e non il frutto di decisioni estemporanee o occasionali.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Legame tra i Crimini Non Basta

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 30484/2025, offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della continuazione tra reati, specialmente nel complesso rapporto tra un reato associativo, come quello di stampo mafioso, e i cosiddetti ‘reati fine’. Con questa pronuncia, i giudici supremi ribadiscono un principio fondamentale: l’appartenenza a un sodalizio criminale non implica automaticamente l’esistenza di un unico disegno criminoso che leghi tutti i delitti commessi dal singolo associato. Analizziamo insieme la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti del Caso

Il caso in esame riguarda la richiesta di un condannato di vedere riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto di tre distinte sentenze definitive. Queste condanne riguardavano una serie di gravi delitti:

* Sentenza A: Associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), estorsione, danneggiamento, traffico di stupefacenti.
* Sentenza B: Estorsione (art. 629 c.p.).
* Sentenza C: Resistenza a pubblico ufficiale, minaccia e porto illegale di armi.

Il ricorrente sosteneva che tutte queste condotte fossero riconducibili a un unico programma criminoso, nato con la sua affiliazione al clan. A suo dire, l’omogeneità delle condotte, la vicinanza temporale e la sovrapponibilità dei luoghi di commissione dei reati erano indici sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’unica volontà criminale. La Corte d’appello, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva però rigettato la richiesta, portando il condannato a ricorrere in Cassazione.

L’Analisi della Corte sulla Continuazione tra Reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Il fulcro del ragionamento della Suprema Corte risiede nella distinzione tra un’abitualità criminale e un’effettiva programmazione unitaria. Anche in presenza di indicatori come la contiguità spazio-temporale o l’omogeneità delle condotte, non è possibile riconoscere la continuazione tra reati se i delitti successivi al primo appaiono come il frutto di una determinazione estemporanea e occasionale.

La giurisprudenza consolidata, richiamata nella sentenza (tra cui le Sezioni Unite ‘Gargiulo’ del 2017), stabilisce che il vincolo della continuazione richiede la prova che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. L’onere di fornire tale prova grava sul condannato, che non può limitarsi a invocare la propria appartenenza a un’associazione criminale.

La Distinzione tra Reato Associativo e Reati Fine

Un punto cruciale della decisione riguarda il rapporto tra il reato associativo e i reati fine. La Corte chiarisce che la continuazione non è configurabile per quei reati che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio e finalizzati al suo rafforzamento, non erano concretamente programmabili al momento dell’adesione, in quanto legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali.

Le Motivazioni della Decisione

Scendendo nel dettaglio, la Corte ha smontato gli argomenti del ricorrente con precise motivazioni:

1. Mancanza di collegamento programmatico: Non è emerso alcun elemento per sostenere che i reati delle sentenze B e C fossero stati ideati fin dall’inizio della partecipazione associativa. In particolare, il reato di estorsione della sentenza B risaliva al 2001, mentre il periodo del reato associativo contestato andava dal 2006 al 2007, evidenziando una significativa distanza temporale che indeboliva l’ipotesi di un piano unitario.
2. Natura occasionale dei reati: Il delitto di porto d’armi (sentenza C) è stato ritenuto espressione di una scelta contingente e non di un’azione programmata dall’associazione. Significativo il fatto che il reato fosse stato commesso in concorso con la moglie, risultata estranea ai contesti associativi. Questo, secondo la Corte, dimostra che la condotta era legata allo stile di vita del ricorrente e del suo nucleo familiare, piuttosto che a un’unitaria strategia criminale del clan.
3. Insufficienza degli indizi: La vicinanza temporale e territoriale, pur presente, non è stata ritenuta decisiva. Questi elementi, da soli, possono indicare un’abitualità a delinquere o una scelta di vita criminale, ma non provano l’esistenza di un disegno criminoso unitario che abbracci tutti i reati commessi.

Conclusioni

La sentenza n. 30484/2025 ribadisce con forza un principio cardine in materia di esecuzione penale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta dimostrare di aver commesso più crimini nell’ambito di una carriera delinquenziale, anche se all’interno di un’organizzazione mafiosa. È indispensabile provare, con elementi specifici e concreti, che tutti i reati erano parte di un progetto deliberato e concepito ab origine. In assenza di tale prova, i reati restano entità autonome, da punire separatamente, poiché rappresentano scelte criminali contingenti e non tappe di un unico percorso pianificato.

È sufficiente essere parte di un’associazione a delinquere per ottenere la continuazione tra il reato associativo e i reati fine?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che i reati fine devono essere stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, fin dal momento dell’adesione all’associazione. Non basta che rientrino genericamente nell’ambito delle attività del sodalizio, ma devono essere frutto di un progetto unitario e non di decisioni occasionali.

Quali sono gli indicatori per riconoscere la continuazione tra reati?
Gli indicatori includono l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta e la sistematicità. Tuttavia, la sentenza chiarisce che questi indici da soli non bastano se i reati successivi risultano frutto di una determinazione estemporanea e non di un progetto criminoso unitario preesistente.

A chi spetta l’onere di provare l’esistenza di un unico disegno criminoso?
L’onere di allegare elementi specifici e concreti a sostegno della richiesta di continuazione grava sul condannato che la invoca. Un semplice riferimento alla contiguità cronologica o alla tipologia dei reati non è sufficiente, poiché potrebbe indicare solo un’abitualità criminale e non un piano unitario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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