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Continuazione tra reati: Cassazione annulla diniego

Un condannato per associazione mafiosa e altri delitti si è visto negare la continuazione tra reati dal giudice dell’esecuzione. La Cassazione ha annullato la decisione per motivazione carente e contraddittoria, non avendo il giudice considerato prove cruciali dalle sentenze di condanna che indicavano un disegno criminoso unitario.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione annulla un diniego per motivazione contraddittoria

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un pilastro per la determinazione di una pena equa quando un soggetto compie più violazioni di legge in esecuzione di un unico progetto. Con la sentenza n. 43217 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta per ribadire i principi che guidano la sua applicazione in fase esecutiva, annullando un’ordinanza che aveva negato il beneficio a causa di una motivazione carente e palesemente contraddittoria.

I Fatti del Caso

Il ricorrente, già condannato con diverse sentenze per gravi reati tra cui associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), tentati omicidi, violazioni in materia di armi e ricettazione, aveva presentato un’istanza al Giudice dell’esecuzione. La richiesta mirava a ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati per i fatti giudicati nei diversi procedimenti, sostenendo che fossero tutti riconducibili a un medesimo disegno criminoso.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza. Pur riconoscendo una “coincidenza dei luoghi e di tempi di commissione dei reati”, il giudice aveva escluso l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso”. La motivazione si basava sull’assunto che la condotta di partecipazione all’associazione mafiosa fosse cessata nel luglio 2011, mentre gli altri delitti (tentati omicidi e reati in materia di armi) erano stati commessi in epoca successiva. Di conseguenza, questi ultimi venivano qualificati come frutto di “determinazioni criminali occasionali e non prevedibili” al momento dell’adesione al sodalizio.

Il Ricorso in Cassazione e l’analisi della continuazione tra reati

L’imputato, tramite i suoi difensori, ha impugnato l’ordinanza dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. Secondo la difesa, il giudice dell’esecuzione si era limitato a un’analisi superficiale dei soli titoli di reato, senza esaminare approfonditamente il contenuto delle sentenze di condanna.

In particolare, il ricorso evidenziava come le stesse sentenze di merito avessero smentito la tesi della cessazione del vincolo associativo nel 2011. Anzi, proprio in uno dei procedimenti, un reato in materia di armi commesso nel 2014 era stato ritenuto in continuazione con il delitto associativo, essendo considerato sintomatico del suo persistente ruolo di “armiere” della cosca. Il giudice dell’esecuzione aveva ignorato queste risultanze, fornendo una motivazione carente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio per un nuovo giudizio. Le motivazioni della Suprema Corte sono nette e si concentrano sulle plurime carenze logiche e motivazionali del provvedimento.

In primo luogo, la Cassazione ha censurato il giudice dell’esecuzione per non essersi confrontato con le precise indicazioni provenienti dalle sentenze di merito, che contraddicevano l’assunto della cessazione del rapporto associativo. Il giudice ha dato per certa una circostanza (la cessazione del vincolo nel 2011) che era stata smentita in sede di cognizione.

In secondo luogo, è stata evidenziata una palese contraddittorietà nella motivazione. L’ordinanza, da un lato, definiva i reati-fine come “frutto di determinazioni criminali occasionali e non prevedibili”, ma, dall’altro, riconosceva che gli stessi rientravano “nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso” ed erano “finalizzati al rafforzamento dello stesso”. Questa frizione logica è stata giudicata insanabile dalla Corte, poiché non si può affermare contemporaneamente che un reato sia occasionale e, al contempo, funzionale al programma di un’associazione criminale.

La Corte ha ribadito che il riconoscimento della continuazione tra reati richiede una verifica approfondita di indicatori concreti, come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spaziotemporale e le modalità della condotta. Il giudice dell’esecuzione, se intende discostarsi da una valutazione già compiuta in sede di cognizione (come nel caso del reato di armi del 2014), ha l’onere di fornire una motivazione rafforzata e non meramente assertiva.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per i giudici dell’esecuzione. La valutazione sulla sussistenza di un medesimo disegno criminoso non può essere superficiale o basata su affermazioni generiche. È necessario un esame approfondito e radicato nel contenuto delle sentenze di condanna, che verifichi la reale proiezione dei reati-fine rispetto al programma del sodalizio criminale.

L’annullamento con rinvio impone al nuovo giudice di procedere a una nuova e più completa valutazione, analizzando tutte le risultanze processuali per stabilire se, al momento dell’adesione all’associazione, la serie di reati successivi fosse stata programmata, almeno nelle sue linee essenziali. La decisione finale dovrà essere libera nell’esito, ma ancorata a una motivazione logica, coerente e non contraddittoria.

Quando è possibile applicare la continuazione tra un reato associativo e i reati-fine?
È configurabile quando i reati-fine siano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio criminale. Non è invece applicabile se i reati-fine non erano programmabili ‘ab origine’ perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del giudice dell’esecuzione?
La Corte ha annullato l’ordinanza a causa di plurime carenze motivazionali. In particolare, il giudice non si è confrontato con le risultanze delle sentenze di condanna che smentivano la data di cessazione del reato associativo e ha fornito una motivazione contraddittoria, definendo i reati-fine sia come ‘occasionali’ sia come ‘finalizzati al rafforzamento’ dell’associazione.

Il giudice dell’esecuzione può ignorare una valutazione sulla continuazione già fatta in un processo di cognizione?
No, non può semplicemente ignorarla. Sebbene non sia vincolato in senso assoluto, qualora intenda discostarsi da una valutazione già compiuta dal giudice della cognizione (ad esempio, il riconoscimento della continuazione tra alcuni dei reati), è tenuto a motivare in modo particolarmente approfondito la sua decisione, spiegando le ragioni del dissenso sulla base del quadro complessivo delle risultanze fattuali e giuridiche.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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