Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31756 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME PasqualeCOGNOME nato a Napoli il 17/03/1968
COGNOME NOME nata a Bari il 21/10/1967
avverso la sentenza del 15/01/2024 della Corte di appello di Bari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso di NOME COGNOME e di annullare con o senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto a NOME COGNOME rigettando nel resto il ricorso di quest’ultimo; uditi l’Avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME difensor e NOME COGNOME difensori di di NOME COGNOME e gli Avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 15 gennaio 2024 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia emessa il 5 dicembre 2023 dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME dai reati loro rispettivamente ascritti ai capi I), M), P), Z) e Z-1), perché estinti per intervenuta prescrizione; ha determinato in anni due e mesi quattro di reclusione la pena quanto alla residua imputazione di cui al capo A) nei confronti di NOME COGNOME ha escluso l’aggravante di cui all’art. 4 L. n. 146/2006, confermando nel resto la condanna di NOME COGNOME
Avverso la sentenza di appello i difensori di NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorsi per cassazione.
Il difensore di NOME COGNOME ha dedotto i motivi di seguito indicati.
3.1. Con il primo motivo ha censurato la violazione dell’art. 721 cod. proc. pen. e dell’art. 14, comma 1, della Convenzione europea di estradizione, nonché degli artt. 179, 178, lett. b) e c), cod. proc. pen., non essendo stata dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale nei confronti del ricorrente. L’estensione dell’estradizione al presente procedimento sarebbe intervenuta solo successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio e al successivo decreto, con conseguente nullità di tali atti. L’imputato, assente nel corso dell’udienza preliminare, perché non processabile, non avrebbe nemmeno avuto la possibilità di esercitare le facoltà riconosciute dal codice di procedura per la scelta del rito.
3.2. Con il secondo motivo ha denunciato la mancanza di motivazione rispetto ai motivi di gravame, con cui era stata censurata la valenza delle intercettazioni, in quanto generiche, al fine di provare la condotta partecipativa del ricorrente, contestata al capo A). La Corte di appello non avrebbe riscontrato alcuna delle dedotte circostanze contrarie alla ricostruzione investigativa sposata, avendo ritenuto tali questioni assorbite dalla chiamata in correità della collaboratrice di giustizia NOME COGNOME. Le dichiarazioni di questa, però, non sarebbero state correttamente valutate, essendosi i giudici del merito limitati a un generico giudizio di attendibilità soggettiva, senza indicare quali fossero i riscontri di tali dichiarazioni.
3.3. Con il terzo motivo ha dedotto l’errata applicazione dell’art. 74 d.P.R. n. 309/90 e motivazione solo apparente in relazione alle circostanze di fatto dedotte con l’appello, rilevanti per escludere la consapevole, cosciente volontà del ricorrente di partecipare alle condotte del gruppo. Risulterebbe provata
un’unica fornitura, emersa dalle captazioni di giugno/luglio 2009, che, però, sarebbe espressione, al più, di un concorso nel reato tra più persone, in difetto di prova sulla continuatività delle forniture. Oltre a quelle intercettazioni, sarebbero solo alcuni sms di ottobre 2009, i cui contenuti equivoci non sarebbero dimostrativi di ulteriori traffici illeciti. Dalle risultanze probatorie emergerebbe al massimo la disponibilità del ricorrente di fornire lo stupefacente, peraltro in un’unica, eventualmente provata, circostanza, ma per esservi adesione all’associazione sono necessarie la coscienza e la volontà di aderire agli scopi del gruppo. Del resto, dall’analisi dei reati fine, non contestati al ricorrent emergerebbe l’autonomia operativa dei coimputati, che prescindevano dal ricorrente sia per la fornitura che per la collocazione sul mercato finale.
3.4. Con il quarto motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 74, comma 1, d.P.R. n. 309/90, in luogo delle ipotesi di cui all’art. 74, comma 2, d.P.R. cit., e motivazione apparente in ordine al ruolo di promotore e organizzatore del traffico di stupefacente dalla Spagna all’Italia, in quanto la Corte di appello avrebbe valorizzato circostanze non caratterizzanti tali specifiche figure. Il potere deliberativo del ricorrente si sarebbe manifestato in un’unica circostanza e ciò non consentirebbe di riconoscere il ruolo verticistico per difetto della natura stabile del contributo. Sul territorio nazionale il ricorrente no avrebbe avuto alcuna influenza, in termini organizzativi, sulla destinazione dello stupefacente, sulla collocazione sul mercato e su altro. Quanto alle capacità operative sul territorio spagnolo, ritenute espressione della figura verticistica organizzativa del ricorrente per la capacità di reperire lo stupefacent la sentenza sarebbe incorsa in contraddizione, poiché, da un lato, ha affermato che il ricorrente in Spagna si sarebbe servito per la collaborazione di stabili fornitor oltre che di un proprio funzionale apparato organizzativo, dall’altro, ha escluso l’aggravante della transnazionalità, avendo ritenuto che difettasse la prova della presenza sul territorio spagnolo di un’associazione a sé stante, dedita al narcotraffico. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.5. Con il quinto motivo ha dedotto la mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio che, in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante della transnazionalità, doveva essere rideterminato in senso favorevole all’imputato o confermato con congrua motivazione. La Corte di appello ha affermato che, «escludendo l’aggravante, la pena inflitta non poteva subire alcuna ulteriore riduzione, essendo già stata operata la stessa, con applicazione delle attenuanti generiche prevalenti su tutte le contestate aggravanti». Così argomentando, però, la Corte di appello non avrebbe considerato che le attenuanti generiche sono state riconosciute con prevalenza su tale unica
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aggravante, che, quindi, ha inciso nel complessivo trattamento sanzionatorio, determinando una riduzione non estesa nel massimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è fondato limitatamente alle censure concernenti la determinazione della pena, mentre va rigettato nel resto. Va rigettato anche il ricorso di NOME COGNOME.
2. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Come sottolineato nella sentenza impugnata, nel caso in esame, era stato acquisito il provvedimento datato 2 luglio 2013, con il quale l’Audiencia Nacional spagnola, aveva accordato, su esplicita richiesta, l’estensione dell’estradizione per il presente procedimento, così rispettandosi quanto previsto dall’art. 721 cod. proc. pen. riguardo al principio di specialità.
Va in proposito ricordato che, secondo il consolidato orientamento di legittimità, in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, disposizione di cui all’art. 14.1 della Convenzione europea di estradizione, resa esecutiva in Italia con la L. 30 gennaio 1963, n. 300 – secondo cui la persona estradata non può essere perseguita, giudicata o arrestata in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né sottoposta a qualunque altra restrizione della sua libertà personale per un qualsiasi fatto, anteriore alla consegna, diverso da quello che ha dato luogo all’estradizione deve essere intesa nel senso che per i fatti diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione, commessi prima della consegna, è inibito l’esercizio dell’azione penale, salvo che sia sopravvenuta l’estradizione suppletiva disciplinata dagli artt. 12 e 14.1, lett. a), ovvero si sia verificata una delle cau di estinzione dell’estradizione previste dall’art. 14.1, lett. b), della Convenzion predetta. La clausola di specialità, infatti, si configura come introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale nelle forme tipiche fissate dall’art. 405 cod. proc. pen., anche se non impedisce il compimento degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova, eventualmente mediante il ricorso all’incidente probatorio (art. 346 cod. proc. pen.), l’esercizio dei poter interruttivi della prescrizione, purché compatibili con la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, nonché l’archiviazione della notizia di reato, che per sua natura resta estranea alla fase processuale (Sez. U, n. 8 del 28/02/2001, Ferrarese, Rv. 218767 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel caso in esame, con ordinanza del 2 luglio 2013 è stata autorizzata l’estensione della consegna alle autorità della Repubblica italiana del cittadino italiano NOME COGNOME in virtù dell’estensione del mandato di arresto europeo emesso in relazione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Bari il 5 dicembre 2011, per essere sottoposto a giudizio per i fatti oggetto dell’ordinanza di custodia cautelare, nonché «per il delitto d traffico di droga nell’ambito di una organizzazione criminale». Ne consegue che la nullità degli atti, dedotta dal ricorrente, non può essere fatta valere in questa
sede, atteso che, per effetto di questa vicenda, è venuta meno l’attualità del vizio.
Va ricordato che questa Corte ha già avuto modo di affermare, anche nella materia del mandato d’arresto europeo, che la violazione del principio di specialità, che vieta di sottoporre la persona consegnata a procedimento penale o a misura privativa della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale la stessa è stata concessa, non può essere dedotta dopo che le autorità dello Stato estero hanno prestato assenso all’estensione della consegna per i fatti ulteriori, in quanto tale estensione fa venir meno l’attualità del vizio (Sez. 1, n. 3791 del 7/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259163 – 01).
Si è anche precisato che non sono impugnabili nell’ordinamento interno, neanche ai sensi degli artt. 111, comma settimo, Cost. e 568, comma 2, cod. proc. pen., il mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria italiana nella procedura attiva di consegna (artt. 28, 29 e 30 della L. 22 aprile 2005, n. 69) e il provvedimento emesso (eventualmente in forma di m.a.e.) dalla stessa autorità nella procedura di estensione attiva della consegna di cui agli artt. 32 e 26 della legge sopra citata, potendo i loro eventuali vizi essere dedotti solo nello Stato richiesto, qualora incidano sulla procedura di sua pertinenza, e secondo le regole, le forme e i tempi previsti nel relativo ordinamento (Sez. U, n. 30769 del 21/06/2012, GLYPH COGNOME, GLYPH Rv. 252891 GLYPH 01; Sez. 6, n. 27098 del 30/03/2017, Santafede, Rv. 270402 – 01).
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME è privo di specificità.
La Corte di appello ha affermato che le captazioni intercettate erano «chiare e nitide» e, per di più, le «parole inequivocabili» di NOME COGNOME, la cui attendibilità non era stata posta in discussione, erano in linea con il significat attribuito alle conversazioni intercettate. La collaboratrice di giustizia, infa aveva dato conferma sia della qualità dello stupefacente trattato (hashish), così riscontrando l’ipotesi investigativa fondata sul prezzo ricavabile dalle intercettazioni, sia delle modalità di trasporto e della provenienza spagnola e, specificamente, da NOME COGNOME, della merce.
A tal proposito, la dichiarante aveva riferito che i “napoletani” si recavano spesso in Spagna da NOME COGNOME per portare i soldi e contrattare i carichi da mandare in Italia, proprio come effettivamente emerso dalle intercettazioni in tal senso interpretate dalla Polizia giudiziaria.
Alla luce di quanto precede non è superfluo richiamare la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
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costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità della irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. U., n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 267650 – 01). Inoltre, il contenuto di intercettazioni captate fra terzi dalle quali emergano elementi di accusa nei confronti dell’imputato, può costituire fonte diretta di prova della sua colpevolezza, senza necessità dei riscontri previsti dalla norma citata, fatto salvo l’obbligo del giudice di valutare significato delle conversazioni intercettate secondo criteri di linearità logica (Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, COGNOME, Rv. 268414 – 01; Sez. 5, n. 4572 del 17/07/2015, COGNOME, Rv. 265747 – 01; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME, Rv. 260842 – 01; Sez. 2, n. 47028 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257519 -01; Sez. 4, n. 31260 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256739 – 01).
Criteri, questi, di cui il Collegio del merito ha fatto corretta applicazione mentre il ricorrente si è limitato a ribadire che le intercettazioni erano generiche e a porre in discussione l’attendibilità della collaboratrice di giustizia, che, per non è stata dedotta con l’atto di appello e, pertanto, non è più censurabile in questa sede. Per di più, come detto, le intercettazioni possono costituire fonte diretta di prova della colpevolezza, senza necessità di riscontri.
Il terzo e il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME concernenti la partecipazione del ricorrente all’associazione dedita al narcotraffico e al suo ruolo direttivo, non sono consentiti.
Premesso che l’esistenza dell’associazione è stata riconosciuta nella sentenza irrevocabile emessa nei confronti dei correi del ricorrente, la Corte territoriale ha rilevato che il ruolo direttivo dell’appellante era emerso da una serie di elementi significativi, tra cui: 1) la capacità di disporre in propri Spagna di elevati quantitativi di stupefacenti da inviare ripetutamente in Italia; 2) l’uso di schede telefoniche dedicate, che cambiava con frequenza, imponendo comunque, in alternativa, l’uso di cabine pubbliche; 3) il servirsi del cugino NOME o dell’altro sodale NOME COGNOME per il recupero delle somme pattuite per la compravendita illecita, affrontando le questioni inerenti al prezzo con particolare autorità rispetto ai due sodali al punto da imporre loro le parole da usare con gli acquirenti; 4) il comportamento dichiaratamente sottomesso degli altri due, il cugino NOME e COGNOME, nei suoi confronti, i quali accettavano supinamente le sue imposizioni, quali quella di disfarsi del cellulare
impropriamente utilizzato o di recarsi a contrattare di nuovo con gli acquirenti per ottenere il prezzo pattuito.
Va ricordato che, secondo l’orientamento costante di questa Corte, in tema di associazione per delinquere, la qualifica di organizzatore spetta a colui che, in autonomia, cura il coordinamento e l’impiego delle strutture e delle risorse associative nonché reperisce i mezzi necessari alla realizzazione del programma criminoso, ponendo in essere un’attività che assume i caratteri dell’essenzialità e dell’infungibilità, non essendo, invece, necessario che lo stesso soggetto sia anche investito di compiti di coordinamento e di direzione dell’attività di altr soggetti (Sez. 3 , n. 2039 del 02/02/2018, dep.2019, PG c/ Papini, Rv. 274816 03).
Nel caso di specie, il ruolo di organizzatore e anche direttivo del ricorrente risulta correttamente ancorato all’infungibilità della sua posizione autonoma, in grado di offrire un contributo insostituibile per la realizzazione del programma illecito, come attestato dalle risultanze emerse.
Al contrario, il ricorrente ha sollecitato una diversa e non consentita rivalutazione delle risultanze probatorie acquisite. Non è superfluo ricordare che, in tema di sindacato del vizio di motivazione, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella operata dai giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se qu ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni, che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, COGNOME, Rv. 244623 – 01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215 -01).
Va aggiunto che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, non si ravvisa alcuna contraddizione tra le affermazioni della Corte di appello secondo cui il ricorrente si riforniva in Spagna di hashish e l’esclusione dell’aggravante della transnazionalità.
La Corte territoriale, nell’escludere l’anzidetta aggravante, ha affermato che non era emersa la prova della presenza su territorio spagnolo di una associazione a sé stante dedita al narcotraffico. Ciò non toglie, però, che il ricorrente potesse avere dei fornitori di sostanza stupefacente in Spagna.
5. Il quinto motivo del ricorso di NOME COGNOME è fondato.
Il ricorrente ha censurato la mancanza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non rideterminato in senso favorevole all’imputato o
confermato con congrua GLYPH motivazione, GLYPH pur a seguito dell’esclusione dell’aggravante della transnazionalità.
La Corte di appello ha affermato che, a fronte dell’esclusione dell’aggravante della transnazionalità, la pena inflitta non poteva «subire alcuna ulteriore riduzione, essendo già stata operata la stessa con applicazione delle attenuanti generiche prevalenti su tutte le contestate aggravanti».
Tale valutazione non resiste alle censure del ricorrente.
La Corte territoriale ha rilevato che le attenuanti generiche erano state ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti, ma non ha considerato sia che l’aggravante contestata era solo quella della transnazionalità, che ha escluso, sia che la riduzione operata per effetto della concessione delle menzionate attenuanti non era stata massima. L’aggravante della transnazionalità, pur ritenuta subvalente, aveva inciso, quindi, nel giudizio di bilanciamento, costituendo la ragione di una diminuzione della pena non estesa nel massimo.
La Corte territoriale, nell’escludere l’unica aggravante bilanciata con le attenuanti generiche, avrebbe dovuto rideterminare la pena in senso favorevole all’appellante oppure illustrare le ragioni della sufficienza della non massima riduzione possibile. Oneri motivazionali, questi, non adempiuti.
Ne discende, pertanto, che la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla determinazione della pena, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Il ricorso va rigettato nel resto e, ai sensi dell’art. 624, comma cod. GLYPH proc. GLYPH pen., va GLYPH dichiarata GLYPH l’irrevocabilità GLYPH dell’accertamento della responsabilità del ricorrente.
7. Il ricorso proposto da NOME COGNOME va rigettato.
Secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, la continuazione a differenza dalla mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, dovuta a una determinata scelta di vita – presuppone l’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti, almeno a grandi linee, nella mente del reo (Sez. 1, n. 15955 del 08/01/2016 Elourriari, Rv. 266615; Sez. 1, n. 39222 del 26/02/2014, B, Rv. 260896).
Esplicita al riguardo risulta anche la sentenza n. 183/2013 della Corte costituzionale, che ha precisato che il riconoscimento della continuazione fra reati richiede di accertare se l’agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione, almeno sommaria, dei reati da commettere e se tali reati siano stati ispirati ad una finalità unitaria.
La prova dell’anzidetta congiunta previsione, che investe l’interiorità psichica del soggetto, va ricavata, di regola, anche in caso di riconoscimento in sede esecutiva, da indici esteriori, significativi, alla luce dell’esperienza, del da progettuale sottostante alle condotte poste in essere. Tali indici hanno un carattere sintomatico e non direttamente dimostrativo, per cui l’accertamento deve assumere il carattere di effettiva dimostrazione logica, non potendo essere affidato a semplici congetture o presunzioni.
L’anticipata e unitaria previsione è ritenuta meritevole di più benevolo trattamento sanzionatorio, attesa la minore capacità a delinquere di chi si determina a commettere gli illeciti in forza di un singolo impulso, anziché di spinte criminose indipendenti e reiterate.
Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto applicazione la Corte territoriale, che, nel caso in esame, ha escluso il vincolo della continuazione tra le condotte ascritte all’imputata in questo procedimento e quelle di cui alla sentenza numero 3582/2013 della Corte di appello di Bari, poiché, «pur trattandosi in entrambi i casi di associazioni a delinquere dedite al narcotraffico, le stesse avevano solo in parte i medesimi componenti, per cui, piuttosto che aversi prova di un medesimo disegno criminoso, si coglieva l’abitualità della Raggi a far parte di diversi sodalizi criminosi, pur di conseguire illeciti guadagni».
A fronte di tali argomentazioni, con cui il Collegio di appello ha enunciato con logicità e completezza gli elementi che costituivano un ostacolo al riconoscimento della richiesta di unificazione dei reati attraverso l’istituto di cu all’art. 81, secondo comma, cod. pen., le obiezioni avanzate con il ricorso sono rivolte a prospettare un’alternativa interpretazione delle risultanze processuali, risolvendosi in censure in punto di fatto, basate sul preteso riconoscimento di un unico fine, riconducibile, però, a un sistema o abitudine di vita delinquenziale correlati al desiderio di guadagni, che non consente di ravvisare il vincolo della continuazione, perché, ai fini di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen., è essenziale che i singoli reati siano tutti previsti, programmati e deliberati, si dall’origine, come momenti di attuazione di un programma unitario.
Deliberazione, questa, che il ricorrente neppure ha dedotto di avere avuto.
8. Al rigetto del ricorso di NOME COGNOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna di tale ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME Pasquale limitatamente alla determinazione della pena e rinvia per nuovo giudizio sul
punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bari. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME Pasquale e, visto l’art. 624, comma 2, cod. proc. pen., dichiara irrevocabile l’accertamento della responsabilità. Rigetta il ricorso di COGNOME Angela e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 luglio 2025.