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Continuazione tra reati associativi: quando si applica?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31756/2025, si è pronunciata su due ricorsi in materia di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. Ha rigettato la richiesta di applicazione della continuazione tra reati per un’imputata, chiarendo che la partecipazione a diversi sodalizi criminali, anche se per lo stesso fine di guadagno, non integra un medesimo disegno criminoso ma un’abitualità a delinquere. Per un altro imputato, ha annullato la sentenza limitatamente alla pena, ritenendo insufficiente la motivazione della Corte d’Appello dopo l’esclusione di un’aggravante, pur confermando la sua responsabilità e il ruolo direttivo nell’organizzazione.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati Associativi: Quando si Applica?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 31756/2025 offre importanti chiarimenti sui presupposti per l’applicazione della continuazione tra reati, specialmente in contesti complessi come le associazioni a delinquere. La pronuncia distingue nettamente tra un ‘medesimo disegno criminoso’, requisito essenziale per il trattamento sanzionatorio di favore, e la mera ‘abitualità a delinquere’, che non gode dello stesso beneficio. La Corte ha esaminato due distinti ricorsi, giungendo a conclusioni diverse ma ugualmente significative per la prassi giudiziaria.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Bari che condannava due soggetti per la loro partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti.

Una prima imputata ricorreva in Cassazione chiedendo il riconoscimento della continuazione tra reati tra la condanna in esame e una precedente, relativa alla partecipazione a un’altra associazione criminale. Sosteneva che entrambe le condotte fossero espressione di un unico disegno criminoso volto al conseguimento di illeciti guadagni.

Un secondo imputato, considerato figura di vertice dell’organizzazione operante dalla Spagna, sollevava diverse questioni, tra cui:
1. La violazione del principio di specialità in materia di estradizione.
2. L’inattendibilità delle prove (intercettazioni e dichiarazioni di una collaboratrice di giustizia).
3. L’errata qualificazione del suo ruolo come promotore e organizzatore.
4. La mancata riduzione della pena a seguito dell’esclusione dell’aggravante della transnazionalità.

La Decisione sulla Continuazione tra Reati Associativi

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della prima imputata, fornendo una motivazione dettagliata sulla non applicabilità della continuazione tra reati. I giudici hanno ribadito che, per poter usufruire di tale istituto, è necessario dimostrare che l’agente, prima di dare inizio alla serie criminosa, abbia avuto una rappresentazione unitaria e programmata dei reati da commettere, ispirati da una finalità comune.

Nel caso specifico, la Corte territoriale aveva correttamente escluso tale vincolo, evidenziando come le due associazioni a delinquere avessero componenti solo parzialmente coincidenti. Questo elemento, secondo i giudici, indicava non un unico piano, ma piuttosto una ‘abitualità’ dell’imputata a far parte di diversi sodalizi per conseguire guadagni illeciti. L’inclinazione a delinquere, anche se costante, non si traduce automaticamente in un medesimo disegno criminoso.

L’Annullamento Parziale per Vizio di Motivazione sulla Pena

Per quanto riguarda il secondo ricorrente, la Cassazione ha respinto quasi tutte le censure, confermando la sua responsabilità e il ruolo direttivo. Ha ritenuto infondata la questione sull’estradizione, poiché l’assenso dello Stato estero (Spagna) all’estensione del mandato di arresto europeo aveva sanato ogni potenziale vizio procedurale. Anche le doglianze sulle prove sono state respinte, riconoscendo la correttezza della valutazione operata dai giudici di merito.

Tuttavia, la Corte ha accolto il motivo relativo al trattamento sanzionatorio. La Corte d’Appello aveva escluso l’aggravante della transnazionalità ma non aveva adeguatamente motivato perché la pena non fosse stata ulteriormente ridotta. Affermare che la pena fosse già mitigata dall’applicazione delle attenuanti generiche prevalenti non è stato ritenuto un onere motivazionale sufficiente. Di conseguenza, la sentenza è stata annullata su questo specifico punto, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello per la rideterminazione della pena, mentre l’accertamento della responsabilità è divenuto definitivo.

Le Motivazioni

La motivazione della sentenza si fonda su principi consolidati. Per la continuazione tra reati, la Corte sottolinea la necessità di un’indagine sull’interiorità psichica del soggetto, da ricavare da indici esteriori significativi. La semplice identità del fine (il guadagno) non basta se le condotte si inseriscono in contesti associativi diversi e non pianificati sin dall’origine come un’unica sequenza. La decisione rafforza una visione rigorosa dell’istituto, inteso a premiare una minore capacità a delinquere di chi agisce sotto un singolo impulso programmatico, e non chi reitera scelte criminali indipendenti.

Per l’annullamento sulla pena, la motivazione risiede nel dovere del giudice di dare conto in modo logico e completo del proprio percorso decisionale. L’esclusione di un’aggravante, specialmente una così rilevante, incide sul giudizio di bilanciamento con le attenuanti e richiede una specifica spiegazione sul perché la riduzione della pena applicata sia ritenuta congrua. La mancanza di tale spiegazione costituisce un vizio di motivazione che impone l’annullamento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma che l’istituto della continuazione tra reati non è uno strumento per mitigare la pena a chi dimostra una generica propensione al crimine, ma richiede la prova rigorosa di un’unica programmazione iniziale. In secondo luogo, ribadisce un principio fondamentale del processo penale: ogni decisione sulla pena deve essere supportata da una motivazione trasparente e completa, a garanzia dei diritti dell’imputato e della legalità della sanzione.

Cosa si intende per ‘medesimo disegno criminoso’ ai fini della continuazione tra reati?
Significa che l’agente, prima di commettere il primo reato, deve aver pianificato, almeno a grandi linee, la serie di violazioni della legge da compiere come parte di un unico progetto. Non è sufficiente avere un generico scopo di guadagno o un’abitudine a delinquere.

Se un’aggravante viene esclusa in appello, la pena deve essere sempre ridotta?
Non automaticamente, ma il giudice ha l’obbligo di motivare specificamente perché la pena inflitta resta congrua nonostante l’esclusione dell’aggravante. Deve spiegare le ragioni della sufficienza della riduzione già operata o del perché non sia necessaria un’ulteriore diminuzione. La mancanza di questa motivazione può portare all’annullamento della sentenza sul punto.

La violazione del principio di specialità nell’estradizione può essere sanata?
Sì. Secondo la Corte, se le autorità dello Stato estero che ha concesso l’estradizione prestano successivamente l’assenso a procedere anche per reati diversi da quelli inizialmente indicati, l’eventuale vizio procedurale viene meno, poiché scompare l’attualità della violazione del principio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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