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Continuazione tra reati associativi: la Cassazione

La Cassazione ha stabilito che la ‘continuazione tra reati associativi’ può essere riconosciuta anche se i reati sono separati da un lungo periodo. La semplice distanza temporale o la variazione dei membri del clan non sono sufficienti per escludere un unico disegno criminoso, specialmente in contesti di criminalità organizzata. La Corte ha annullato la decisione di merito che negava la continuazione tra due condanne per associazione mafiosa, rinviando per un nuovo esame.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati associativi: quando l’appartenenza al clan non si spezza

Il concetto di continuazione tra reati associativi è un tema complesso e di grande rilevanza pratica nel diritto penale, specialmente quando si tratta di criminalità organizzata. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 23816/2025) ha fornito chiarimenti cruciali su come valutare l’unicità del disegno criminoso in caso di condanne per associazione di tipo mafioso pronunciate a distanza di molti anni. La Corte ha stabilito che la mera distanza temporale e le fisiologiche evoluzioni del clan non sono, da sole, sufficienti a escludere la continuazione.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda un individuo condannato con tre sentenze definitive. Le prime due riguardavano la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso dal 1990 al 1992 e un tentato omicidio commesso nel 1991. La terza sentenza lo condannava nuovamente per lo stesso reato associativo, ma per un periodo successivo, a partire dal 2007. L’imputato, in sede di esecuzione, aveva chiesto il riconoscimento della continuazione tra tutti i reati, sostenendo che essi fossero parte di un unico programma criminale.

La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta. Per quanto riguarda i due reati associativi, aveva evidenziato la ‘notevolissima distanza temporale’ e le modifiche nella composizione del clan, dovute anche a faide interne, ritenendole prove dell’assenza di un’unica ideazione criminosa. Riguardo al tentato omicidio, lo aveva qualificato come un episodio estemporaneo, una reazione a un precedente agguato subito per questioni di droga, e quindi non programmato nell’ambito del sodalizio.

La Decisione della Corte sulla continuazione tra reati associativi

La Corte di Cassazione ha parzialmente riformato la decisione di merito, accogliendo il ricorso limitatamente alla continuazione tra i due reati associativi. Ha invece confermato il rigetto per quanto concerne il legame con il tentato omicidio.

La distinzione tra reati associativi e reati-fine

La Suprema Corte ha confermato che il tentato omicidio non poteva essere considerato parte dello stesso disegno criminoso. La sua natura ‘estemporanea’, essendo una reazione immediata a un evento specifico (un agguato subito per un debito di droga), lo escludeva da una programmazione unitaria. Per riconoscere la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine (omicidi, estorsioni, ecc.), è necessario dimostrare che questi ultimi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, sin dal momento dell’adesione al sodalizio, e non che siano frutto di decisioni occasionali o contingenti.

La persistenza del vincolo associativo

Il punto cruciale della sentenza riguarda però i criteri per valutare la continuazione tra reati associativi. La Cassazione ha censurato la motivazione della Corte d’Appello, ritenendola fondata su elementi insufficienti. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: in tema di associazioni di tipo mafioso, la condotta criminosa si considera unitaria e cessa solo con lo scioglimento del sodalizio o con il recesso volontario e provato del partecipe.

Eventi come la detenzione, le condanne o anche le faide interne, che possono modificare la composizione o l’operatività del clan, non comportano automaticamente una ‘soluzione di continuità’. Questi eventi sono considerati ‘prevedibili eventualità’ nella ‘carriera’ di un affiliato. Pertanto, se la successiva condotta associativa trova la sua spinta psicologica nel pregresso accordo e non emerge la prova di una definitiva disarticolazione del gruppo, il vincolo della continuazione non può essere escluso a priori.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si basano sulla natura peculiare del reato di cui all’art. 416 bis c.p. A differenza dei reati comuni, l’appartenenza a un’associazione mafiosa è una condotta permanente che si fonda su un ‘pactum sceleris’ duraturo. Il giudice dell’esecuzione non può limitarsi a constatare la distanza temporale o la ‘diversa composizione del clan’, ma deve condurre un’indagine approfondita per verificare se il sodalizio originario si sia effettivamente sciolto o se l’imputato ne sia uscito. Nel caso di specie, la parziale sovrapposizione della compagine sociale e degli scopi tra le due associazioni contestate, in assenza di prove di una rottura definitiva, avrebbe dovuto indurre il giudice a una valutazione più attenta sulla sussistenza di un’unica adesione al consorzio criminale, seppur evolutosi nel tempo.

Conclusioni

Questa sentenza rafforza un importante orientamento giurisprudenziale: la valutazione della continuazione tra reati associativi richiede un’analisi più profonda rispetto ai reati comuni. Non basta guardare al calendario o ai cambiamenti fisiologici di un’organizzazione criminale. È necessario accertare se il vincolo originario di appartenenza si sia realmente spezzato. In assenza di una prova chiara di scioglimento del clan o di recesso del singolo, la presunzione di continuità del disegno criminoso associativo rimane forte, con importanti conseguenze sul trattamento sanzionatorio in fase esecutiva.

Quando si può riconoscere la continuazione tra due reati associativi di stampo mafioso commessi a distanza di molti anni?
La continuazione può essere riconosciuta se, nonostante la distanza temporale e le variazioni nella composizione del gruppo, non vi è prova che il sodalizio criminale originario si sia sciolto o che il condannato abbia volontariamente receduto. La condotta successiva deve trovare la sua spinta psicologica nell’accordo pregresso.

La detenzione o una condanna interrompono automaticamente la continuità di un reato associativo?
No. Secondo la Corte, la detenzione e le condanne sono considerate eventualità prevedibili nella vita di un’associazione mafiosa e, di per sé, non sono sufficienti a escludere l’identità del disegno criminoso o a interrompere la permanenza nel reato.

È possibile riconoscere la continuazione tra un reato associativo e un reato-fine come il tentato omicidio?
Sì, ma solo a condizione che il reato-fine fosse stato programmato ‘ab origine’, almeno nelle sue linee essenziali, al momento dell’adesione al sodalizio. Non può essere riconosciuta se il reato-fine risulta essere frutto di una determinazione estemporanea, legato a circostanze occasionali e non immaginabili al momento iniziale dell’associazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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