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Continuazione tra reati: appello inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La decisione si basa sulla genericità delle censure e sulla corretta valutazione del giudice di merito, che aveva escluso un’unica programmazione criminale a causa del notevole lasso di tempo trascorso tra i fatti (circa 10 anni), della diversità delle modalità esecutive e dell’assenza di prove di un disegno criminoso unitario.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Ricorso è Generico e Inammissibile

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, permette di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Recentemente, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 38309/2024, ha ribadito i confini e i requisiti per l’ammissibilità di un ricorso che ne chiede il riconoscimento, sottolineando l’importanza di argomentazioni specifiche e non generiche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto avverso l’ordinanza di una Corte d’Appello che aveva negato l’applicazione della disciplina della continuazione. Il ricorrente chiedeva di unificare diverse condanne, sostenendo che i reati commessi fossero parte di un unico progetto criminale. Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva respinto la richiesta, evidenziando una serie di elementi ostativi.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Continuazione tra Reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice di merito. Secondo gli Ermellini, le censure presentate dal ricorrente erano generiche e si limitavano a sollecitare un riesame dei fatti, attività non consentita in sede di legittimità. Il ricorso, infatti, non opponeva elementi concreti e specifici in grado di confutare il ragionamento, logico e corretto, del provvedimento impugnato.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su una rigorosa analisi delle motivazioni addotte dal giudice dell’esecuzione. Quest’ultimo aveva correttamente escluso la continuazione tra reati basandosi su tre pilastri fondamentali:

1. Il notevole lasso di tempo: Era trascorso un periodo di circa dieci anni tra la commissione dei diversi reati. Sebbene non sia un elemento di per sé decisivo, una tale distanza cronologica rappresenta un forte indice probatorio contro l’esistenza di un’unica programmazione criminosa. Diventa un limite logico alla possibilità di ravvisare un disegno unitario tanto più i fatti sono lontani nel tempo.

2. La diversità delle modalità esecutive: I reati erano stati commessi con modalità diverse e in contesti territoriali differenti, suggerendo che la spinta criminale fosse occasionale e personale, piuttosto che parte di un piano prestabilito.

3. L’assenza di un medesimo disegno criminoso: Non vi erano circostanze dalle quali desumere che il condannato, sin dalla commissione del primo reato, avesse programmato anche i successivi. In particolare, il reato più recente (violazione dell’art. 416-ter c.p.) era stato considerato espressione di un impulso criminale estemporaneo.

Il ricorso si limitava a contestare astrattamente queste conclusioni, senza fornire prove o argomenti specifici capaci di dimostrare il contrario. Questa genericità ha reso l’impugnazione inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: chi intende ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati non può limitarsi a una critica generica della decisione del giudice di merito. È indispensabile articolare un ricorso fondato su elementi concreti e specifici che dimostrino, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di un’unica programmazione criminale fin dall’inizio. La sola distanza temporale, pur non essendo un ostacolo assoluto, costituisce un indice probatorio di peso che deve essere superato con argomentazioni solide. In assenza di tali elementi, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Perché il ricorso per la continuazione tra reati è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché le censure erano generiche, non contestavano con elementi concreti e specifici le motivazioni del giudice, e si limitavano a sollecitare un riesame dei fatti, non consentito in sede di Cassazione.

Quali elementi ha considerato il giudice per negare la continuazione tra i reati?
Il giudice ha considerato principalmente tre elementi: il lungo lasso di tempo tra i fatti (circa 10 anni), la diversità delle modalità esecutive dei reati e l’assenza di circostanze che provassero un’unica e preordinata programmazione criminale.

Il solo passare del tempo è sufficiente a escludere la continuazione tra reati?
No, il fattore temporale da solo non è decisivo, ma è un indice probatorio molto importante. Secondo la Corte, una notevole distanza cronologica tra i reati rappresenta un limite logico alla possibilità di ravvisare un’unica programmazione, e il suo peso è tanto maggiore quanto più i fatti sono lontani nel tempo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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