Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8087 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8087 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 30 gennaio 2023 la Corte di appello di Napoli, quale giudice dell’esecuzione, ha dichiarato inammissibile l’istanza formulata da NOME COGNOME di riconoscere il vincolo della continuazione tra i reati giudicati con una sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli ed una sentenza emessa dall’autorità giudiziaria spagnola, riconosciuta ai sensi degli artt. 731 e 735 cod.proc.pen. per essere eseguita in Italia.
Secondo la Corte di appello non è applicabile dal giudice dell’esecuzione la continuazione tra un reato giudicato in Italia ed uno giudicato con sentenza straniera, anche se riconosciuta nell’ordinamento italiano, non essendo il vincolo della continuazione ricompreso tra le finalità del riconoscimento delle sentenze penali straniere, stabilite dall’art. 12 cod.pen., richiamato anche dall’art. 3 d.lgs. n. 73/2016.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo con il quale deduce la violazione degli artt. 606, comma 1, lett. b) e c), cod.proc.pen., 671 cod.proc.pen., 12 cod.pen., 3 d.lgs. n. 73/2016 e 16 d.lgs. n. 161/2010.
L’elenco delle finalità del riconoscimento, contenuto nell’art. 12 cod.pen., non può essere considerato tassativo ed esaustivo, essendo notorio che il riconoscimento spiega effetti giuridici anche non previsti da detta norma, come l’applicazione del divieto di bis in idem. Inoltre l’art. 16 d.lgs. n. 161/2010 ha esteso a detto riconoscimento altri effetti, quali l’applicabilità dell’indult dell’amnistia e della grazia. Le norme successive all’art. 12 cod.pen. dimostrano che, con il riconoscimento della sentenza emessa dal giudice straniero, la pena è equiparata a quella inflitta dal giudice italiano, anche quanto al godimento dei benefici penitenziari. Non può quindi escludersi l’applicazione anche dell’istituto della continuazione, in particolare non per ragioni di merito, atteso che con il riconoscimento è stato valutato che il reato ritenuto sussistente in Spagna ha un corrispondente nel diritto penale italiano. Occorre quindi una interpretazione dell’art. 12 cod.pen. costituzionalmente orientata, che affermi la non esclusività dell’elenco delle finalità del riconoscimento contenuto in detta norma.
In alternativa, il ricorrente chiede sollevarsi una questione di legittimità costituzionale della norma stessa, se interpretata nel senso che essa non consenta di applicare l’istituto della continuazione tra reati giudicati in Italia quelli giudicati con sentenza straniera riconosciuta in Italia, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. Tale interpretazione, infatti, viola il principio di uguaglianza venendo l’imputato trattato diversamente, con conseguenze in tema di diritto di
difesa. La Corte Costituzionale dichiarò inammissibile una simile questione, con l’ordinanza n. 72/1997, riferendo però che il vincolo della continuazione non era applicabile stante la non omologazione dei reati e delle pene irrogate con una sentenza straniera. Tale motivazione risulta superata dalle leggi successive, che hanno imposto l’omologazione del reato e della pena al diritto interno, in caso di riconoscimento di una sentenza penale straniera, al fine di rendere in tutto applicabili le norme sull’esecuzione.
Il Procuratore generale ha chiesto, con requisitoria scritta, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato, e deve essere rigettato.
Il giudice dell’esecuzione ha applicato correttamente le norme di cui agli artt. 12 cod.pen. e 696-bis e ss. cod.proc.pen., conformandosi al consolidato principio di questa Corte, secondo cui «È inapplicabile “in executivis” la continuazione tra il reato giudicato in Italia e quello giudicato con sentenza straniera riconosciuta nell’ordinamento italiano, in quanto il vincolo della continuazione non è contemplato tra le finalità del riconoscimento delle sentenze penali straniere, ex art. 12, comma primo, cod. pen.; né tale preclusione è superata dall’art. 3, d. Igs. 12 maggio 2016, n. 73, che ha esteso la possibilità di valutazione alle sentenze straniere non riconosciute che formino oggetto di informazioni acquisite nell’ambito delle procedure comunitarie di assistenza giudiziaria, reiterando però le indicazioni del citato art. 12, per quanto attiene alle finalità per le quali detta valutazione è consentita» (Sez. 5, n. 48059 del 02/10/2019, Rv. 277650 e le molte pronunce precedenti).
Tale principio deve essere confermato, in quanto risponde alle ragioni del riconoscimento delle sentenze penali straniere e ai limiti stabiliti per gli effetti d tale riconoscimento. L’art. 735 cod.proc.pen., come modificato dal d.lgs. n. 161/2010 e dal d.lgs. n. 149/2017, prevede, infatti, che, in sede di riconoscimento di una sentenza straniera ai fini della sua esecuzione, debba essere valutata la conformità della pena all’ordinamento italiano, convertendo quella inflitta dal giudice straniero in una delle pene previste da quest’ultimo ma sempre, per quanto possibile, nella misura fissata nella sentenza straniera. Ciò perché il riconoscimento di una sentenza avviene solo ai fini della sua esecuzione, ma la decisione non può essere rivalutata nel merito, e quindi neppure nel trattamento sanzionatorio, se non limitando la sanzione qualora essa ecceda la pena massima edittale stabilita dalla legge italiana per il reato
ritenuto sussistente. Questo principio è stato codificato, con riferimento agli Stati appartenenti all’Unione europea, nell’art. 696-quinquies cod.proc.pen., introdotto dall’art. 3 del d.lgs. n. 149/2017, secondo il quale «l’autorità giudiziaria riconosce ed esegue le decisioni e i provvedimenti giudiziari degli altri Stati membri senza sindacarne le ragioni di merito, salvo che sia altrimenti previsto». Pertanto, mentre possono essere applicati ad una sentenza straniera, riconosciuta ed eseguita in Italia, tutti i benefici previsti in sede esecutiva, come l’indulto, l’amnistia, la grazia e i vari benefici penitenziari, non può essere applicato l’istituto della continuazione, che comporterebbe la modifica della decisione nel merito, appunto fissando una pena diversa da quella stabilita dal giudice straniero, a seguito di una valutazione discrezionale compiuta dal giudice italiano, quale quella sulla esistenza di un unico disegno criminoso tra il reato in essa giudicato ed altri reati giudicati in Italia.
L’art. 12 cod.pen. è espressione, nell’ordinamento interno, di un regolamento pattizio internazionale, gravato dal principio di specialità; pertanto il suo contenuto non può essere ampliato mediante un’interpretazione estensiva, dovendo ogni modifica essere disposta dal legislatore. Questa Corte ha, infatti, recentemente affermato che «Costituisce ipotesi di pena illegale, come tale deducibile davanti al giudice della esecuzione, l’aumento di pena disposto dal giudice della cognizione in applicazione della continuazione tra il reato giudicato in Italia e altro reato satellite giudicato con sentenza emessa da uno Stato dell’Unione europea, sussistendo difetto di sovranità dello Stato italiano e, quindi, di giurisdizione» (Sez. 1, n. 32212 del 15/06/2022, Rv. 283565).
2. La richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 cod.pen. è manifestamente infondata.
In primo luogo il ricorrente non spiega in quali termini esso violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che l’eventuale diverso trattamento riservato al condannato che sconti in Italia una condanna inflittagli da un giudice straniero non è ingiustificato, bensì deriva dalla diversa origine della sua condanna, che è applicata in Italia solo per la sua esecuzione, mentre ogni modifica nel merito deve essere decisa dal giudice dello Stato emittente.
In secondo luogo, la questione è stata già esaminata dalla Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 72/1997, citata dal ricorrente, e dichiarata manifestamente infondata con una motivazione che, diversamente da quanto da questi sostenuto, chiarisce l’insussistenza di una violazione della Carta costituzionale da parte dell’art. 12 cod.pen.
Infatti la Corte costituzionale, in detta ordinanza, ha affermato non solo che l’applicazione dell’istituto della continuazione richiederebbe la piena
omologabilità dei reati e delle pene, come riportato nel ricorso, ma anche che essa «determinerebbe una automatica invasione del giudicato estero al di fuori di qualsiasi meccanismo convenzionale, così restando totalmente eluso, fra l’altro, il principio della prevalenza delle convenzioni e del diritto internazionale generale, programmaticamente assunto a chiave di volta (art.696) della disciplina dettata dal nuovo codice in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere», e che la sua applicazione in fase esecutiva comporterebbe l’attribuzione al giudice dell’esecuzione di «un potere maggiore di quello conferito ai giudici della cognizione (ai quali, proprio perché appartenenti ad ordinamenti diversi, sfugge qualsiasi potere di delibare la continuazione rispetto al reato commesso all’estero), in aperto contrasto con lo stesso art. 671 cod.proc.pen. che consente di applicare in executivis la disciplina della continuazione purché la stessa “non sia stata esclusa dal giudice della cognizione”».
E’ quindi evidente che l’illegittimità costituzionale della norma è stata esclusa con motivazioni tuttora valide, riconoscendo, in particolare, l’assenza di una normativa pattizia che consenta di intervenire nel merito di una sentenza penale straniera. Tale normativa è ancora oggi inesistente, dal momento che anche le norme introdotte successivamente alla pronuncia della Corte costituzionale sono dirette solo a regolamentare le possibilità di intervento nella fase esecutiva della sentenza, con esplicito divieto di un sindacato nel merito, come stabilito dall’art. 696-quinquies cod.proc.pen., sopra citato.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13 ottobre 2023
Il Consigliere estensore
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Il Presidente