Continuazione Reato: Quando lo Stile di Vita Criminale Non Basta
La continuazione reato, disciplinata dall’articolo 81 del codice penale, è un istituto fondamentale che consente di unificare più condotte criminose sotto un unico disegno, portando a un trattamento sanzionatorio più mite. Tuttavia, i presupposti per la sua applicazione sono rigorosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 26749/2024) ribadisce che un generico “stile di vita” delinquenziale e un significativo lasso di tempo tra i crimini non sono sufficienti per configurare questo istituto. Analizziamo la decisione e le sue implicazioni.
Il Caso in Analisi
Il caso trae origine dal ricorso presentato da una persona condannata per una serie di reati contro il patrimonio. La ricorrente si era rivolta al Giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari fatti illeciti, sperando in una rideterminazione della pena complessiva. Il Tribunale di Genova aveva respinto la richiesta, e la questione è approdata dinanzi alla Suprema Corte.
I Criteri per la Continuazione Reato secondo la Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice di merito. La motivazione si fonda su una disamina attenta degli elementi che devono sussistere per poter parlare di “medesimo disegno criminoso”.
Il Fattore Tempo e l’Assenza di un Disegno Unitario
Uno degli elementi decisivi, secondo i giudici, è stato il considerevole lasso di tempo intercorso tra la commissione dei diversi reati. Questo intervallo temporale, unito all’assenza di circostanze che indicassero una programmazione unitaria sin dal primo episodio, ha minato alla base la tesi della difesa. Per aversi continuazione, è necessario che i vari reati siano stati concepiti e pianificati come parte di un unico progetto fin dall’inizio, cosa che in questo caso non è emersa.
Stile di Vita vs. Medesimo Disegno Criminoso
La Corte ha operato una distinzione cruciale: un conto è un’inclinazione generale a delinquere, uno “stile di vita” che porta a commettere reati in risposta a sollecitazioni estemporanee; un altro è l’esecuzione di un piano preordinato. Nel caso di specie, i reati apparivano come “autonome risoluzioni criminose”, nate sul momento, piuttosto che come tappe di un percorso criminale unitario e deliberato in anticipo.
Diversità nelle Modalità Esecutive
Ulteriori elementi a sfavore della tesi della continuazione sono stati individuati nelle diverse modalità con cui i reati sono stati commessi. In particolare, la Corte ha valorizzato:
* La differente e distante localizzazione dei luoghi di consumazione.
* La diversa composizione soggettiva: alcuni reati sono stati commessi in solitaria (forma monosoggettiva), altri in concorso con altre persone.
Queste variabili sono state interpretate come indicatori della natura episodica e non programmata delle condotte.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile non solo perché infondato nel merito, ma anche perché generico. La difesa, secondo i giudici, si è limitata a sollecitare una rilettura alternativa degli elementi già valutati dal giudice dell’esecuzione, senza opporre argomenti concreti e specifici in grado di smentire la logicità e correttezza del provvedimento impugnato. In sostanza, il ricorso chiedeva un nuovo giudizio di merito, attività preclusa alla Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità.
Il Giudice dell’esecuzione, applicando correttamente i principi giurisprudenziali, ha giustamente evidenziato come gli elementi fattuali (tempo, luogo, modalità) fossero sintomatici di una “estemporanea insorgenza di autonome risoluzioni criminose” e non di un unico disegno. L’appello non ha saputo contrapporre a questa solida ricostruzione alcun elemento di segno contrario.
Conclusioni
La decisione in commento rafforza un orientamento consolidato: per ottenere il riconoscimento della continuazione reato, non è sufficiente che i crimini siano omogenei o che derivino da una generica attitudine a delinquere. È indispensabile provare l’esistenza di un’unica ideazione e programmazione che abbracci tutti gli episodi delittuosi sin dal principio. L’analisi deve essere rigorosa e basata su elementi concreti come la vicinanza temporale, l’identità del contesto e delle modalità esecutive. In assenza di tali prove, i reati verranno considerati autonomi, con le conseguenti e più gravose implicazioni sul piano sanzionatorio.
Che cos’è la continuazione reato?
È un istituto del diritto penale (art. 81 c.p.) che permette di considerare più reati, commessi in attuazione di un unico piano criminoso, come un solo reato ai fini del calcolo della pena, portando a una sanzione più favorevole per il condannato.
Perché in questo caso è stata negata la continuazione reato?
È stata negata perché mancavano i presupposti fondamentali: un notevole lasso di tempo separava i reati, le modalità di esecuzione e i luoghi erano diversi, e non vi era prova di un piano unitario preordinato. I giudici hanno ritenuto che i crimini fossero il risultato di decisioni estemporanee legate a uno stile di vita delinquenziale, non a un unico disegno.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Comporta che la Corte non entra nel merito della questione, ma respinge l’impugnazione per ragioni procedurali o perché manifestamente infondata. In questo caso, ha anche comportato la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver proposto un ricorso privo dei requisiti di ammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26749 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a OLBIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/03/2024 del TRIBUNALE di GENOVA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME nell’unico motivo di impugnazione non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto sollecitano, nella sostanza, non consentiti apprezzamenti di merito e, laddove pongono questioni giuridiche, risultano manifestamente infondate o generiche.
1.1. Il Giudice dell’esecuzione, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che ostano al riconoscimento del vincolo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. tra tutti i reati, con rilievo decisivo, il lasso di tempo intercorso tra i fatti e l’assenza, in disparte dell’omogeneità del bene giuridico, di circostanze sintomatiche della ideazione e programmazione, sin dalla consumazione del primo reato, nelle linee generali, anche di quelli successivi. Per converso, gli specifici elementi fattuali desunti dalle sentenze irrevocabili appaiono sintomatici dell’estemporanea insorgenza di autonome risoluzioni criminose in risposta a specifiche sollecitazioni nell’ambito di un generico programma di attività delinquenziale consono ad un vero e proprio stile di vita. In questo senso depongono le diverse modalità esecutive dei reati contro il patrimonio analiticamente approfondite con puntuali richiami alle sentenze in esecuzione, il diverso e distante luogo di consumazione, la realizzazione in forma monosoggettiva o concorsuale delle violazioni.
Le censure del ricorrente si limitano a sollecitare una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice di merito.
Resta solo da aggiungere che il ricorso è nella sostanza anche assolutamente generico, perché ai rilievi, come detto corretti e logici, del provvedimento impugnato, non oppone alcun elemento concreto e specifico
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna delk,ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 20 giugno 2024.