Continuazione Reato: Quando la Propensione a Delinquere Esclude il Disegno Unico
L’istituto della continuazione reato rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, consentendo di unificare più condotte illecite sotto un’unica ideazione criminosa, con conseguenze significative sul trattamento sanzionatorio. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra un singolo disegno criminoso e una mera, seppur specifica, tendenza a delinquere, sottolineando come la vicinanza temporale tra i fatti non sia di per sé un elemento decisivo.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso presentato avverso un’ordinanza del GIP del Tribunale di Agrigento, in funzione di Giudice dell’esecuzione. La ricorrente aveva richiesto l’applicazione dell’istituto della continuazione per due diverse sentenze di condanna, sostenendo che le condotte delittuose fossero legate da un medesimo disegno criminoso. A supporto della sua tesi, la difesa evidenziava come i reati fossero stati commessi a distanza di meno di nove mesi l’uno dall’altro, un arco temporale ritenuto indicativo di un’unica programmazione.
Il Giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva respinto la richiesta, ritenendo che i reati non fossero espressione di un piano unitario, ma piuttosto di una generica propensione della persona a commettere quella specifica tipologia di illeciti. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale.
La Decisione della Corte di Cassazione e la Continuazione Reato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la valutazione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno qualificato le argomentazioni della difesa come “mere doglianze in punto di fatto”, ossia critiche relative alla valutazione delle circostanze fattuali, che non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità, il quale è confinato al controllo della corretta applicazione del diritto.
Inoltre, la Corte ha osservato che le censure proposte erano una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dal Giudice dell’esecuzione. Questo ha reso il ricorso non solo infondato nel merito, ma anche proceduralmente inaccettabile.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra “ideazione unitaria” e “generica propensione alla specifica tipologia delittuosa”. La Cassazione ha ribadito che, per poter configurare la continuazione reato, non è sufficiente dimostrare che più reati siano stati commessi a breve distanza di tempo. È invece indispensabile provare che tali reati siano stati concepiti e programmati sin dall’inizio come parte di un unico piano.
Nel caso specifico, il giudice di merito aveva correttamente evidenziato come le condotte non fossero il risultato di un progetto criminoso unitario, ma piuttosto manifestazioni di una tendenza abituale a commettere quel determinato tipo di reato. In altre parole, l’autrice dei reati non agiva in esecuzione di un piano preordinato, ma coglieva le occasioni che si presentavano per delinquere, spinta da una propensione consolidata. Questa valutazione, essendo basata sui fatti e adeguatamente motivata, è stata ritenuta incensurabile in sede di legittimità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione della Corte ha importanti implicazioni pratiche. Essa riafferma un principio rigoroso: per ottenere il beneficio della continuazione, la difesa deve fornire elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un disegno criminoso originario e unitario. La sola vicinanza temporale tra i fatti è un indizio, ma non una prova sufficiente. L’ordinanza sottolinea che la giustizia deve distinguere tra chi pianifica una serie di azioni illecite e chi, invece, manifesta una tendenza a ripetere nel tempo lo stesso comportamento criminale. La conseguenza di questa inammissibilità è stata la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui la Corte valuta i ricorsi palesemente infondati.
È sufficiente che due reati siano commessi a breve distanza di tempo per ottenere il riconoscimento della continuazione reato?
No. Secondo l’ordinanza, la vicinanza temporale tra i reati non è di per sé sufficiente. È necessario dimostrare l’esistenza di un’unica ideazione criminosa che leghi le diverse condotte, non una semplice propensione a commettere quel tipo di delitto.
Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero critiche sulla valutazione dei fatti già operata dal giudice precedente, e non contestazioni su errori di diritto. Inoltre, le argomentazioni erano una mera riproposizione di motivi già correttamente respinti dal Giudice dell’esecuzione.
Cosa significa che i reati sono frutto di una “generica propensione alla specifica tipologia delittuosa”?
Significa che i reati non derivano da un piano unitario e preordinato, ma da una tendenza generale della persona a commettere quel particolare tipo di illecito quando se ne presenta l’occasione, mancando quindi il requisito dell’unicità del disegno criminoso necessario per la continuazione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20660 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20660 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CANICATTI’ il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/01/2024 del GIP TRIBUNALE di AGRIGENTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso presentato da NOME COGNOME, per il tramite del difensore AVV_NOTAIO sono inammissibili, perché costituite da mere doglianze in punto di fatto;
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi – secondo un corretto argomentare giuridico – dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, nella veste di Giudice dell’esecuzione, nel provvedimento impugnato. In esso, invero, si evidenzia come i reati in esame non possano essere considerati frutto di ideazione unitaria, bensì di una generica propensione alla specifica tipologia delittuosa;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.