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Continuazione reato: quando è esclusa dalla Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 20660/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso per il mancato riconoscimento della continuazione reato. La Corte ha stabilito che la vicinanza temporale tra i delitti non prova l’esistenza di un unico disegno criminoso, se emerge piuttosto una generica propensione dell’imputato a commettere quel tipo di illeciti. Le censure basate su una rivalutazione dei fatti sono state ritenute inammissibili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reato: Quando la Propensione a Delinquere Esclude il Disegno Unico

L’istituto della continuazione reato rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, consentendo di unificare più condotte illecite sotto un’unica ideazione criminosa, con conseguenze significative sul trattamento sanzionatorio. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini tra un singolo disegno criminoso e una mera, seppur specifica, tendenza a delinquere, sottolineando come la vicinanza temporale tra i fatti non sia di per sé un elemento decisivo.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso presentato avverso un’ordinanza del GIP del Tribunale di Agrigento, in funzione di Giudice dell’esecuzione. La ricorrente aveva richiesto l’applicazione dell’istituto della continuazione per due diverse sentenze di condanna, sostenendo che le condotte delittuose fossero legate da un medesimo disegno criminoso. A supporto della sua tesi, la difesa evidenziava come i reati fossero stati commessi a distanza di meno di nove mesi l’uno dall’altro, un arco temporale ritenuto indicativo di un’unica programmazione.

Il Giudice dell’esecuzione, tuttavia, aveva respinto la richiesta, ritenendo che i reati non fossero espressione di un piano unitario, ma piuttosto di una generica propensione della persona a commettere quella specifica tipologia di illeciti. Contro questa decisione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata applicazione della legge penale.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Continuazione Reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la valutazione del giudice di merito. Gli Ermellini hanno qualificato le argomentazioni della difesa come “mere doglianze in punto di fatto”, ossia critiche relative alla valutazione delle circostanze fattuali, che non possono trovare spazio nel giudizio di legittimità, il quale è confinato al controllo della corretta applicazione del diritto.

Inoltre, la Corte ha osservato che le censure proposte erano una semplice riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dal Giudice dell’esecuzione. Questo ha reso il ricorso non solo infondato nel merito, ma anche proceduralmente inaccettabile.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione tra “ideazione unitaria” e “generica propensione alla specifica tipologia delittuosa”. La Cassazione ha ribadito che, per poter configurare la continuazione reato, non è sufficiente dimostrare che più reati siano stati commessi a breve distanza di tempo. È invece indispensabile provare che tali reati siano stati concepiti e programmati sin dall’inizio come parte di un unico piano.

Nel caso specifico, il giudice di merito aveva correttamente evidenziato come le condotte non fossero il risultato di un progetto criminoso unitario, ma piuttosto manifestazioni di una tendenza abituale a commettere quel determinato tipo di reato. In altre parole, l’autrice dei reati non agiva in esecuzione di un piano preordinato, ma coglieva le occasioni che si presentavano per delinquere, spinta da una propensione consolidata. Questa valutazione, essendo basata sui fatti e adeguatamente motivata, è stata ritenuta incensurabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Corte ha importanti implicazioni pratiche. Essa riafferma un principio rigoroso: per ottenere il beneficio della continuazione, la difesa deve fornire elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un disegno criminoso originario e unitario. La sola vicinanza temporale tra i fatti è un indizio, ma non una prova sufficiente. L’ordinanza sottolinea che la giustizia deve distinguere tra chi pianifica una serie di azioni illecite e chi, invece, manifesta una tendenza a ripetere nel tempo lo stesso comportamento criminale. La conseguenza di questa inammissibilità è stata la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a conferma della serietà con cui la Corte valuta i ricorsi palesemente infondati.

È sufficiente che due reati siano commessi a breve distanza di tempo per ottenere il riconoscimento della continuazione reato?
No. Secondo l’ordinanza, la vicinanza temporale tra i reati non è di per sé sufficiente. È necessario dimostrare l’esistenza di un’unica ideazione criminosa che leghi le diverse condotte, non una semplice propensione a commettere quel tipo di delitto.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure sollevate erano “mere doglianze in punto di fatto”, ovvero critiche sulla valutazione dei fatti già operata dal giudice precedente, e non contestazioni su errori di diritto. Inoltre, le argomentazioni erano una mera riproposizione di motivi già correttamente respinti dal Giudice dell’esecuzione.

Cosa significa che i reati sono frutto di una “generica propensione alla specifica tipologia delittuosa”?
Significa che i reati non derivano da un piano unitario e preordinato, ma da una tendenza generale della persona a commettere quel particolare tipo di illecito quando se ne presenta l’occasione, mancando quindi il requisito dell’unicità del disegno criminoso necessario per la continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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