Continuazione Reato: Quando la Cassazione Dice No
L’istituto della continuazione reato, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un tema cruciale nel diritto penale esecutivo, consentendo di unificare pene inflitte con sentenze diverse quando i reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con la recente Ordinanza n. 7913/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i rigorosi presupposti per il suo riconoscimento, negandolo in un caso che vedeva coinvolti reati commessi a oltre dieci anni di distanza.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dal ricorso di un soggetto condannato con due distinte sentenze definitive. La prima, del 2006, riguardava un tentativo di estorsione aggravata dal metodo mafioso, commesso nel 2003. La seconda, del 2018, lo condannava per reati ben più complessi, tra cui associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e reati in materia di armi, commessi nel 2014.
Il ricorrente sosteneva che tutti i reati fossero riconducibili a un unico disegno criminoso, maturato all’interno della medesima consorteria mafiosa (la Sacra Corona Unita), e chiedeva pertanto l’applicazione del più favorevole regime della continuazione.
La Decisione della Corte e la Prova della Continuazione Reato
La Corte di Appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva già respinto l’istanza, ritenendo insussistenti gli elementi per poter affermare l’identità del disegno criminoso. La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso, ha confermato pienamente tale valutazione, dichiarando il ricorso inammissibile.
I giudici hanno chiarito che il ricorso era teso a una rivalutazione degli elementi di fatto, operazione preclusa in sede di legittimità. La decisione si fonda sull’analisi congrua e logica svolta dal giudice di merito, che aveva correttamente evidenziato l’assenza di prove concrete a sostegno della tesi del ricorrente.
Le Motivazioni
La Suprema Corte ha articolato le sue motivazioni su alcuni pilastri fondamentali, offrendo importanti chiarimenti sui criteri per l’applicazione della continuazione reato.
Assenza di un “Medesimo Disegno Criminoso”
Il punto centrale della decisione è la mancanza di prova di una programmazione unitaria e preventiva. La Corte ha ribadito che, per aversi un “medesimo disegno criminoso”, non è sufficiente che i reati siano accomunati dal medesimo contesto (in questo caso, l’appartenenza a un’associazione mafiosa). È invece indispensabile dimostrare l’esistenza di un piano deliberato in anticipo, che prevedesse la commissione dei vari episodi delittuosi come tappe di un unico progetto.
La Distanza Temporale e la Diversità dei Contesti
Un elemento decisivo è stato il notevole lasso di tempo intercorso tra i fatti: i primi commessi nel 2003, i secondi nel 2014. Tale distanza temporale, unita alla diversa natura dei crimini (un singolo episodio estorsivo contro complessi reati associativi), è stata considerata un forte indicatore dell’assenza di un’ideazione unitaria. I reati, secondo la Corte, erano stati commessi in contesti criminosi diversi, rendendo implausibile l’ipotesi di un unico piano originario.
Irrilevanza delle Decisioni su Altri Coimputati
Il ricorrente aveva sottolineato che, per altri soggetti, la continuazione era stata riconosciuta. La Cassazione ha smontato questa argomentazione, precisando che la valutazione sull’esistenza di un disegno criminoso è strettamente personale e deve essere condotta caso per caso. Ciò che vale per un imputato non è automaticamente estensibile a un altro, poiché le posizioni e i contributi individuali possono differire sostanzialmente.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un principio consolidato nella giurisprudenza: l’applicazione della continuazione reato richiede una prova rigorosa e concreta di un’unica programmazione criminale, preesistente alla commissione del primo reato. La semplice appartenenza allo stesso gruppo criminale o la generica affinità tra i delitti non è sufficiente. La notevole distanza temporale e la diversità dei contesti operativi sono elementi che, come in questo caso, possono legittimamente portare il giudice a escludere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, con la conseguente impossibilità di unificare le pene.
È sufficiente commettere più reati nell’ambito della stessa associazione mafiosa per ottenere la continuazione del reato?
No. Secondo la Corte, la semplice appartenenza alla medesima consorteria criminale non è di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. È necessario provare una programmazione unitaria e preventiva degli specifici episodi delittuosi.
Quali elementi ha considerato la Corte per escludere il “medesimo disegno criminoso”?
La Corte ha escluso il disegno criminoso basandosi su tre elementi principali: la “sostanziale differenza” tra le attività criminali oggetto delle due sentenze, la notevole distanza temporale tra i reati (commessi nel 2003 e nel 2014) e la diversità dei contesti criminosi in cui sono stati perpetrati.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende a causa della colpa nella proposizione di un ricorso privo dei requisiti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7913 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7913 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’impugnata ordinanza, la Corte di appello di Lecce, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza proposta ex art. 671 cod. proc. pen. da NOME COGNOME, per la ritenuta carenza di elementi indicativi dell’invocata identità del diseg criminoso tra i reati giudicati con due sentenze (1. Corte Assise appello Lecce 30/05/2006 irr. il 20/06/2008 – per tentata estorsione aggravata ex art. 7 legge 203 del 1991, in Lecce il 18/04/2003 e il 27/04/2003; 2. Corte appello Lecce del 08/06/2018, irr. 04/04/2019 – di condanna per i reati di cui agli artt. 416 bis cod. pen, 74 d. P.R. 309/90, art. 2 legge 8 del 1967 e 7 legge 203 del 1991, in Lecce il 15/06/2014 e 03/09/2014).
Propone ricorso per cassazione il condannato, deducendo violazione di legge, vizio della motivazione e travisamento della prova con riferimento alla mancata unificazione dei reati, tutti commessi nell’ambito della consorteria mafiosa della RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, in quanto teso a sollecitare una diversa valutazione di elementi di fatto incidenti sulla decision elementi congruamente apprezzati in sede di merito.
Posto che, come condivisibilmente osservato dalla Corte d’appello di Lecce, risulta del tutto irrilevante la circostanza che la continuazione sia stata riconosciuta rispett posizioni diverse dall’attuale ricorrente, osserva la Corte come correttamente il Giudice dell’esecuzione abbia congruamente ed estesamente motivato in ordine alla “sostanziale differenza” tra le associazioni di cui alle due sentenze oggetto dell’istanza, evidenziando l’assenza, in concreto, di elementi dai quali desumersi una preventiva programmazione degli episodi delittuosi, dando adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno portata a reputare l’inesistenza di una preventiva ideazione unitaria, fra i vari fatti di cui alle sent oggetto dell’istanza, peraltro commessi a notevole distanza temporale l’uno dagli altri ed in contesti criminosi diversi.
5.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.