Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 367 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 367 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Modena il 10/01/1991
Avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Ravenna il 23/12/2022
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 23 dicembre 2022 il Tribunale di Ravenna, quale Giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione ex artt. 81, secondo comma, e 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-4 del provvedimento impugnato, ritenendo ostativa all’applicazione della disciplina invocata l’ampiezza dell’arco temporale e l’eterogeneità esecutiva che connotava le condotte illecite oggetto di vaglio giurisdizionale.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti all’omesso riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, che si imponeva tenuto conto della correlazione esistente tra i fatti di reato giudicati dalle decisioni irrevocabili presupposte, re evidente dalla contiguità temporale di una parte delle condotte illecite.
Questa correlazione era stata svalutata dal Tribunale di Ravenna, che, attraverso un percorso argomentativo incongruo, aveva disatteso l’incontrovertibile collegamento esecutivo esistente tra le condotte illecite del condannato, attestato dalla loro parziale contiguità temporale, sul quale il provvedimento impugnato si era soffermato in termini svincolati dalle emergenze processuali, disattendendo le censure difensive prospettate con l’istanza proposta nell’interesse del condannato ex art. 671 cod. proc. pen.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da COGNOME, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex rt. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 de
13/11/2012, NOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione del ricorrente, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, infine, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, comma secondo, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
In questa cornice, deve rilevarsi, in linea con quanto affermato dal Tribunale di Ravenna, che ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione richiesta da NOME COGNOME l’ampiezza dell’arco temporale e le modalità eterogenee con cui le condotte criminose di cui si invocava la preordinazione si erano concretizzate, che esprimevano una spiccata propensione alla commissione di reati del condannato, incompatibile con il vincolo di cui si chiedeva il riconoscimento ex art. 671 cod. proc. pen.
Si consideri, in proposito, che le condotte illecite di cui si assumeva l’unicità del disegno criminoso risultavano commesse da Bouda in contesti criminali eterogenei – riguardando i reati di furto, rapina, ricettazione, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali, uso indebito di carte di credito, violazion della disciplina sulle armi, violazione del foglio di via obbligatorio – ed eran poste in essere in un arco temporale particolarmente ampio, compreso tra il 2014 e il 2019.
Queste connotazioni rendevano evidente come le condotte delinquenziali di Bouda erano connotate da eterogeneità ed esprimevano caratteristiche comportamentali incompatibili con la preordinazione criminosa invocata dal suo
A 1–
difensore. Sul punto, non si possono non condividere le conclusioni alle quali giungeva il Giudice dell’esecuzione, che, a pagina 3 del provvedimento impugnato, evidenziava che doveva «escludersi che le condotte criminose tenute da COGNOME siano riconducibili a una medesima ideazione criminosa esprimendo viceversa una precisa scelta di vita».
Deve, al contempo, evidenziarsi che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, come nel caso cli Bouda, venendo disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali la recidiva, l’abitua la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto in esame, viceversa orientato a favorire il condannato, applicandogli un trattamento sanzionatorio mitigato dagli effetti del combinato disposto degli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 671 cod. proc. pen.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 27 ottobre 2023.