Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 23764 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 23764 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CUORGNE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/12/2022 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione del Tribunale di Vercelli del 11 dicembre 2020, con cui COGNOME NOME era stata condannata alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro seicento di multa in relazione al reato di cui agli artt. 110, 624 bis, co. 1 e 3, e 625, co. 1, n 2, 5 e co. 2 cod. pen.
La COGNOME, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della continuazione con il reato oggetto della sentenza del GIP presso il Tribunale di Ivrea, divenuta definitiva il 17 novembre 2017.
2.2. Vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzioNOMErio.
Il ricorso è inammissibile.
3.1. In ordine al primo motivo di ricorso, va premesso che, in presenza di più condotte riconducibili a quelle descritte dall’art. 624 cit., quando unico è il fat concreto che integra contestualmente più azioni tipiche alternative, le condotte illecite minori perdono la loro individualità e vengono assorbite nell’ipotesi più grave; quando invece le differenti azioni tipiche sono distinte sul piano ontologico, cronologico e psicologico, esse costituiscono distinti reati concorrenti materialmente (Sez. 6, n. 22549 del 28/03/2017, COGNOME ed altro, Rv. 270266, in tema di reato ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990; vedi anche Sez. 5, n. 32786 del 25/06/2013, COGNOME, Rv. 257256, secondo cui, in tema di furto, qualora l’agente, operando in un medesimo contesto temporale e spaziale, si impossessi di una parte dei beni e non riesca, per cause indipendenti dalla sua volontà, ad impossessarsi di altri esistenti nello stesso luogo, si realizza un solo reato consumato, non potendosi ravvisare nel fatto né l’ipotesi del tentativo né quella di furto consumato in concorso con il tentativo).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello ha evidenziato come, nella fattispecie, non era possibile prefigurare una programmazione anticipata delle diverse condotte da parte dell’imputato nelle specifiche date degli episodi contestati, trattandosi di episodi del tutto disomogenei.
3.2. Con riferimento al secondo motivo di ricorso, relativo all’entità eccessiva della pena irrogata, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e
globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 dei 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
La pena applicata non è superiore alla media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.
Al contrario, nella fattispecie, la pena è stata correttamente commisurata in considerazione dei precedenti per reati contro il patrimonio riportati dall’imputata e delle concrete modalità della condotta.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2024
Il Consigliere estensore
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