Reato Continuato: La Cassazione Chiarisce i Requisiti per il Riconoscimento
L’istituto della continuazione reato, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un’importante possibilità per chi ha subito più condanne, consentendo di unificare le pene in un’unica, spesso più mite. Tuttavia, il suo riconoscimento non è automatico e richiede la prova rigorosa di un elemento fondamentale: l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema, ribadendo la necessità di criteri stringenti e chiarendo perché la semplice vicinanza temporale e spaziale tra i delitti non è sufficiente.
Il Caso: Richiesta di Continuazione tra Reati Eterogenei
Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un uomo condannato con tre sentenze separate per reati di natura molto diversa: detenzione di sostanze stupefacenti, minaccia ed estorsione. L’interessato si era rivolto al Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Messina chiedendo di applicare la disciplina del reato continuato, sostenendo che tutte le sue azioni fossero riconducibili a un unico progetto criminale. Il Giudice, tuttavia, aveva respinto la richiesta, ritenendo non provata tale unicità di programmazione.
Il Ricorso in Cassazione e la questione della continuazione reato
Contro la decisione del Giudice dell’esecuzione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e, soprattutto, un vizio di motivazione. A suo dire, il provvedimento impugnato non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni del rigetto. La difesa sosteneva che il giudice non avesse considerato correttamente gli elementi che, nel loro insieme, avrebbero potuto dimostrare l’esistenza del piano unitario alla base dei diversi crimini.
Le Motivazioni della Suprema Corte: L’Assenza di un Unico Disegno Criminoso
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confutando punto per punto le argomentazioni del ricorrente. I giudici di legittimità hanno chiarito che, contrariamente a quanto sostenuto, il Giudice dell’esecuzione aveva fornito una motivazione logica e coerente.
In particolare, la Corte ha evidenziato i seguenti punti cruciali:
1. Eterogeneità dei Reati: La ‘radicale disomogeneità’ delle condotte (da un lato il traffico di droga, dall’altro reati contro la persona come minaccia ed estorsione) è stata considerata un forte indizio contro l’esistenza di un unico piano premeditato. Un programma criminoso unitario presuppone una certa coerenza negli obiettivi e nelle modalità di azione.
2. Irrilevanza della Prossimità Spazio-Temporale: Il fatto che alcuni dei reati fossero stati commessi in un arco di tempo e in luoghi vicini non è stato ritenuto un elemento sufficiente a superare la mancanza di altri indicatori. La vicinanza, da sola, non dimostra che le azioni fossero state pianificate insieme fin dall’inizio.
3. Onere della Prova: Richiamando importanti precedenti giurisprudenziali (tra cui la sentenza ‘Gargiulo’ delle Sezioni Unite), la Corte ha ribadito che l’identità del disegno criminoso non può essere presunta né derivare da un dubbio. Il riconoscimento della continuazione reato incide sulla certezza di una sentenza passata in giudicato e, pertanto, richiede una prova concreta e specifica di un’originaria e unitaria progettazione criminale.
4. Inapplicabilità del ‘Favor Rei’: La Corte ha specificato che il principio del favor rei (l’interpretazione più favorevole al reo) non può essere invocato per ‘colmare’ il vuoto probatorio sull’esistenza del disegno criminoso. Il dubbio sulla sua esistenza non può risolversi a vantaggio del condannato in questa fase.
Le Conclusioni: Criteri Rigorosi per la Continuazione
L’ordinanza in esame conferma un orientamento consolidato e rigoroso della giurisprudenza. Per ottenere il beneficio della continuazione reato, non basta elencare una serie di crimini commessi in un certo periodo, ma è necessario fornire al giudice elementi concreti che dimostrino, oltre ogni ragionevole dubbio, che tutte le condotte illecite erano state programmate in anticipo come parte di un unico piano. La natura stessa dei reati commessi gioca un ruolo fondamentale in questa valutazione. Questa decisione serve da monito: la richiesta di applicazione di un istituto di favore come il reato continuato deve essere supportata da prove solide e non da mere supposizioni.
Quando può essere riconosciuta la continuazione tra reati?
Può essere riconosciuta solo quando viene fornita la prova che tutte le condotte criminali sono state commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario concepito prima della commissione del primo reato.
La vicinanza nel tempo e nello spazio tra più reati è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, la sola prossimità temporale e spaziale delle condotte non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso, specialmente in presenza di elementi contrari, come la radicale diversità della natura dei reati.
Il principio del ‘favor rei’ si applica per riconoscere la continuazione in caso di dubbio?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il principio del ‘favor rei’ non può essere utilizzato per presumere la sussistenza di un disegno criminoso in caso di dubbio, poiché il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza di una sentenza già passata in giudicato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33373 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33373 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CINQUEFRONDI il 30/04/1984
avverso l’ordinanza del 22/04/2025 del GIP TRIBUNALE di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 22/04/2025, con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Messina, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME per il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra i delitti oggetto delle tre sentenze di cui all’istanza;
Ritenuto che, con unico motivo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., si denuncia erronea applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. e vizio di motivazione;
che in realtà il ricorrente lamenta un’insussistente carenza di motivazione a fronte del fatto della valutazione da parte del giudice dell’esecuzione degli elementi emergenti dalla ricostruzione dei fatti nelle sentenze di cognizione, apprezzati con adeguata motivazione, immune da fratture logiche e rispettosa delle risultanze;
che il giudice a quo ha specificamente motivato su tutti gli indicatori dell’unicità del disegno criminoso e ha evidenziato l’assenza di elementi specifici dotati di significativo valore probatorio e idonei a dimostrare il prospettato unico disegno criminoso, visto che la radicale disomogeneità delle condotte (detenzione di stupefacente, minaccia ed estorsione) è stata valutata come indizio contrario alla preordinazione e che la sola prossima temporale e spaziale di alcune di queste condotte non fosse sufficiente a sopperire alla carenza di altri elementi;
che doveva, quindi, ritenersi indinnostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio, in base ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01) e osservarsi che non è sufficiente la mera omogeneità dei beni giuridici tutelati e la sequenza delle condotte in un determinato arco temporale, né l’accertamento dell’identità del disegno criminoso può essere suffragato dal dubbio sulla sua esistenza, in ossequio al principio del “favor rei”, in quanto il riconoscimento della continuazione tra reati incide sulla certezza del giudicato in relazione al profilo della irrogazione della pena (Sez. 1, n. 30977 del 26/06/2019);
che per queste ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 settembre 2025 Il Consigljere estensore
Il presidente