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Continuazione reato: onere della prova in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione reato tra un furto e una precedente condanna. La Corte ha ribadito che non è sufficiente una richiesta generica, ma l’imputato ha l’onere di allegare elementi specifici e concreti che dimostrino l’esistenza di un unico disegno criminoso, premeditato e voluto. La mancata fornitura di tale prova comporta l’inammissibilità del ricorso e la condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reato: Non Basta Chiedere, Bisogna Provare

L’istituto della continuazione reato, previsto dall’articolo 81 del codice penale, è uno strumento fondamentale per garantire una risposta sanzionatoria proporzionata quando una persona commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che per beneficiare di questo trattamento sanzionatorio più favorevole non è sufficiente una semplice richiesta. L’imputato ha un preciso onere di allegazione, dovendo fornire elementi concreti a supporto della sua istanza. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito la Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per furto in abitazione di una bicicletta. La sentenza, emessa dal Tribunale di Modena, era stata confermata dalla Corte di Appello di Bologna. L’imputato, non rassegnato alla decisione, ha proposto ricorso per Cassazione, sollevando un unico motivo: il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato in questione e un altro per cui era già stato giudicato in precedenza. L’obiettivo era chiaro: unificare le pene per ottenere una sanzione complessiva più mite.

La Questione della Prova nella Continuazione Reato

Il cuore del problema non risiede nella natura del reato commesso, ma in una questione prettamente procedurale. La difesa dell’imputato si è limitata a chiedere l’applicazione della continuazione reato, senza però fornire al giudice elementi specifici e concreti a sostegno di tale richiesta. Secondo la giurisprudenza costante, la parte che intende beneficiare della disciplina della continuazione in grado di appello ha l’onere di allegare, ai sensi dell’art. 581 del codice di procedura penale, prove concrete che dimostrino l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’. Questo concetto non va confuso con una generica tendenza a delinquere o con uno ‘stile di vita incline al reato’. Si tratta, invece, di un programma unitario, ideato e voluto prima della commissione dei singoli reati.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, aderendo pienamente ai principi consolidati. I giudici hanno sottolineato come la richiesta dell’imputato fosse generica e non supportata da alcuna prova concreta. La mera produzione delle sentenze relative alle condanne di cui si chiede l’unificazione quoad poenam (cioè, ai soli fini della pena) non è sufficiente a dimostrare l’identità del disegno criminoso. Quest’ultimo, infatti, postula un programma di condotte illecite previamente ideato e voluto, un progetto unitario che deve essere provato dalla parte che lo invoca. La Corte ha ribadito che, in assenza di tali elementi specifici, i giudici di merito non possono riconoscere il beneficio, e il relativo motivo di impugnazione risulta, di conseguenza, inammissibile. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, come previsto dall’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa pronuncia rafforza un principio cardine del diritto processuale penale: chi chiede un beneficio deve dimostrare di averne diritto. Nel contesto della continuazione reato, ciò si traduce nella necessità di non limitarsi a una richiesta formale, ma di corredarla con elementi fattuali (come la vicinanza temporale e geografica dei fatti, le modalità esecutive simili, l’omogeneità dei beni aggrediti, ecc.) capaci di convincere il giudice dell’esistenza di un’unica programmazione criminale. Per gli avvocati, l’insegnamento è chiaro: l’onere della prova in appello non può essere trascurato. Per gli imputati, la lezione è che la speranza di uno sconto di pena deve essere fondata su basi solide e dimostrabili, altrimenti il ricorso si trasformerà in un’ulteriore condanna economica.

È sufficiente produrre le sentenze di condanna per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
No, secondo la Corte di Cassazione, la mera produzione delle sentenze relative alle condanne di cui si chiede l’unificazione non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

Cosa deve fare chi richiede la continuazione in appello per non vedersi respingere l’istanza?
La parte che richiede il riconoscimento della continuazione deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno della richiesta, idonei a dimostrare l’esistenza di un programma di condotte illecite preventivamente ideato e voluto.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie con una sanzione di tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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