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Continuazione reato: ok se le sentenze hanno riti diversi

Un imputato ha richiesto il riconoscimento della continuazione reato tra sei diverse sentenze di condanna. Il tribunale ha respinto in parte la richiesta, ritenendola inammissibile per le sentenze emesse con patteggiamento. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, affermando che la continuazione reato può essere riconosciuta anche quando si tratta di sentenze emesse con riti processuali diversi (ordinario e patteggiamento), senza la necessità di un nuovo accordo tra le parti. La questione è stata rinviata al Tribunale per una nuova valutazione nel merito.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reato: Sì al Riconoscimento tra Sentenze di Patteggiamento e Riti Ordinari

Il concetto di continuazione reato rappresenta un pilastro fondamentale nel diritto penale, consentendo di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un importante aspetto procedurale: la possibilità di applicare questo istituto anche quando le condanne derivano da riti processuali diversi, come il giudizio ordinario e il patteggiamento. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso: Una Richiesta di Unificazione delle Pene

Il caso trae origine dal ricorso di un condannato che, attraverso un incidente di esecuzione, chiedeva al Tribunale di riconoscere il vincolo della continuazione tra sei diverse sentenze di condanna a suo carico. L’obiettivo era unificare le pene inflitte per i vari reati, riconducendoli a un unico programma criminale, e ottenere così una pena complessiva più favorevole.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva solo parzialmente la richiesta. In particolare, dichiarava inammissibile l’istanza per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale (il cosiddetto patteggiamento). Secondo il giudice, per riconoscere la continuazione tra sentenze di patteggiamento era necessario un nuovo accordo tra le parti, come previsto dall’art. 188 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Mancando tale accordo, la richiesta non poteva essere esaminata nel merito. Per le altre sentenze, il Tribunale rigettava la richiesta ritenendo insussistente un disegno criminoso unitario, evidenziando la natura estemporanea e il ‘dolo d’impeto’ di alcune condotte.

Il Ricorso in Cassazione e l’Analisi della Continuazione Reato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la decisione del Tribunale su tre fronti. Il motivo principale, e quello che si è rivelato decisivo, riguardava l’errata applicazione dell’art. 188 disp. att. cod. proc. pen. La difesa sosteneva che la necessità di un accordo tra le parti per il riconoscimento della continuazione vale solo quando si tratta di unificare sentenze tutte derivanti da patteggiamento. Nel caso di specie, invece, la richiesta coinvolgeva un mix di sentenze, alcune da patteggiamento e altre da giudizio ordinario dibattimentale. Di conseguenza, il giudice avrebbe dovuto esaminare nel merito l’intera richiesta, senza dichiararne una parte inammissibile.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio di diritto già affermato in precedenza: la regola speciale prevista dall’art. 188 disp. att. c.p.p. non si applica quando l’istanza di applicazione della continuazione reato riguarda, in parte, sentenze di patteggiamento e, in parte, sentenze emesse a seguito di giudizio ordinario. In tale scenario ‘misto’, non è richiesto alcun nuovo accordo tra le parti, e il giudice dell’esecuzione ha il pieno potere (e dovere) di valutare la sussistenza del medesimo disegno criminoso per tutte le condotte indicate.

L’errore del Tribunale nel dichiarare parzialmente inammissibile l’istanza ha viziato l’intera decisione, poiché ha portato a una valutazione incompleta e parziale dei fatti. Il giudice, infatti, ha esaminato il vincolo della continuazione solo tra alcune delle sentenze, omettendo l’analisi per quelle erroneamente escluse. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza impugnata limitatamente a questo punto, rinviando gli atti al Tribunale per un nuovo e completo giudizio.

Conclusioni

Questa sentenza chiarisce un aspetto procedurale di grande importanza pratica. Stabilisce che un condannato può sempre chiedere il riconoscimento del vincolo della continuazione in fase esecutiva, anche se le sentenze da unificare provengono da riti processuali eterogenei. La preclusione legata alla necessità di un accordo con il Pubblico Ministero opera solo nel caso ‘puro’ di continuazione tra più sentenze di patteggiamento. Questa interpretazione garantisce una più ampia tutela al condannato, permettendo al giudice dell’esecuzione di valutare nel merito la sostanza della richiesta, ossia l’effettiva esistenza di un unico programma criminale alla base dei diversi reati commessi.

È possibile chiedere il riconoscimento della continuazione reato tra una sentenza di patteggiamento e una emessa con rito ordinario?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che è possibile. L’accordo tra le parti, previsto dall’art. 188 disp. att. cod. proc. pen., è necessario solo se si chiede la continuazione tra sentenze emesse esclusivamente in sede di patteggiamento, ma non quando l’istanza coinvolge anche sentenze di rito diverso.

Perché il Tribunale aveva inizialmente dichiarato inammissibile parte della richiesta?
Il Tribunale aveva erroneamente ritenuto inammissibile la richiesta perché coinvolgeva sentenze emesse a seguito di patteggiamento, ritenendo necessaria la presenza di un nuovo accordo tra le parti, requisito che invece non è richiesto quando le sentenze da unificare derivano da riti processuali misti.

Quali sono gli indicatori di un ‘medesimo disegno criminoso’ per la continuazione reato?
Secondo la sentenza, gli indicatori includono l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le causali, le modalità della condotta e la sistematicità. Tuttavia, non è sufficiente la presenza di alcuni di questi indici se i reati successivi risultano essere frutto di una determinazione estemporanea (dolo d’impeto) e non di un programma criminoso preordinato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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