Continuazione Reato: Quando il Tempo Spezza il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione reato, disciplinato dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta una colonna portante del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di unificare pene relative a più reati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’. Questa unificazione si traduce in una pena complessiva più favorevole per il condannato. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta di diversi indici. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 20911/2024) offre un chiarimento fondamentale sul peso del criterio temporale, stabilendo che un lungo intervallo tra i fatti può escludere il beneficio.
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine dal ricorso di un individuo condannato con due distinte sentenze, emesse a distanza di quasi otto anni l’una dall’altra (la prima nel 2015, la seconda nel 2023). L’imputato, tramite il suo legale, aveva presentato istanza al Giudice dell’Esecuzione (GIP) del Tribunale di Napoli per ottenere il riconoscimento della continuazione reato tra le diverse condotte. La richiesta mirava a unificare le pene in virtù di un presunto unico disegno criminoso che avrebbe animato tutte le azioni delittuose.
Il GIP, tuttavia, aveva respinto l’istanza. La ragione principale del rigetto risiedeva proprio nella notevole distanza temporale (otto anni) intercorsa tra i reati. Inoltre, il giudice aveva sottolineato un elemento cruciale: i reati oggetto della seconda sentenza erano stati commessi dopo che il ricorrente aveva già scontato interamente la pena inflitta con la prima sentenza.
La Posizione del Ricorrente e la Decisione della Cassazione
Contro la decisione del GIP, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando violazione di legge e vizio di motivazione. La difesa sosteneva che il giudice di merito non avesse adeguatamente considerato l’omogeneità dei reati commessi e il contesto in cui erano maturati, ovvero l’adesione del soggetto a un clan mafioso. Secondo il ricorrente, questi elementi avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di un’unica programmazione criminale, nonostante il tempo trascorso.
La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato la correttezza della decisione del GIP, ribadendo la centralità del fattore tempo nella valutazione della continuazione reato.
Le Motivazioni: Il Criterio Temporale nella Continuazione Reato
La Corte ha basato la sua decisione su un consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamando una sentenza delle Sezioni Unite (n. 28659/2017). Il principio cardine è che l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’ presuppone una ‘volizione unitaria’, ovvero una programmazione originaria di tutti i reati che verranno poi commessi. Il criterio temporale è uno degli indici più significativi per accertare tale volizione.
Nel caso specifico, un intervallo di otto anni tra i gruppi di reati è stato giudicato un lasso di tempo talmente ampio da rendere illogica la presunzione di un unico piano criminale. Ancor più determinante è stato il fatto che, in questo arco temporale, il condannato avesse espiato la sua pena in carcere. Questo evento, secondo la Corte, agisce come una cesura, interrompendo qualsiasi presunto progetto criminoso preesistente. La commissione di nuovi reati dopo aver scontato una pena precedente non può essere ricondotta al disegno originario, ma deve essere considerata come espressione di una nuova e autonoma deliberazione criminale. Pertanto, la decisione del giudice dell’esecuzione di negare il beneficio non è stata ritenuta illogica, ma pienamente conforme ai principi di diritto.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale per l’applicazione della continuazione reato: l’unicità del disegno criminoso non può essere presunta solo sulla base della somiglianza dei reati o del contesto in cui sono commessi. Il fattore temporale è un elemento di prova decisivo. Una significativa distanza tra le condotte, specialmente se intervallata dall’espiazione di una pena, costituisce un ostacolo quasi insormontabile al riconoscimento del beneficio. Per i professionisti del diritto e per i loro assistiti, questa pronuncia sottolinea la necessità di dimostrare con prove concrete e puntuali che i reati, anche se distanti nel tempo, erano parte di un unico programma ideato sin dall’inizio, un compito che diventa tanto più arduo quanto più lungo è l’intervallo temporale.
È possibile ottenere la continuazione tra reati commessi a grande distanza di tempo?
No, secondo l’ordinanza della Corte, una notevole distanza temporale tra i reati (in questo caso, otto anni) è un forte indice contro l’esistenza di un unico disegno criminoso, rendendo di fatto molto difficile l’applicazione della continuazione.
L’aver scontato la pena per il primo reato influisce sulla richiesta di continuazione per un reato successivo?
Sì, il fatto che il secondo reato sia stato commesso dopo l’espiazione della pena per il primo rafforza l’idea che non vi sia un’unica volontà criminosa, agendo come una cesura che interrompe il legame necessario per la continuazione.
L’appartenenza a un’associazione criminale e la somiglianza dei reati sono sufficienti per ottenere la continuazione?
No, in questo caso la Corte ha ritenuto che, nonostante l’omogeneità delle violazioni e il contesto criminale comune, il lungo lasso temporale fosse un elemento prevalente e decisivo per escludere il ‘medesimo disegno criminoso’.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20911 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20911 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FRATTAMAGGIORE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/01/2024 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Vista l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata l’istanza di applicazione della continuazione proposta ex art. 671 cod. proc. pen. da NOME COGNOME per la ritenuta carenza di elementi indicativi dell’invocata identità del disegno criminoso tra i reati giudicati con due sentenze (1. GIP Tribunale Napoli del 30/09/2015, irr. 08/05/2016; 2. GIP Tribunale Napoli del 24/05/2023, irr. 14/06/2023);
considerato che in particolare il G.E. ha rilevato di non poter unificare sotto il vincolo della continuazione le sentenze indicate, in considerazione del lungo lasso temporale (8 anni) intercorso tra le condotte giudicate, nonché in considerazione del fatto che le condotte di cui alla sentenza sub 2. risultano commesse dopo l’avvenuta espiazione della pena si cui alla sentenza sub 1;
letto il ricorso, con cui si denunciano violazione di legge e vizio di motivazione, censurandosi il provvedimento impugnato laddove non avrebbe correttamente valorizzato l’omogeneità delle violazioni commesse nello stesso contesto territoriale e maturate in virtù dell’adesione del COGNOME al clan mafioso di appartenenza;
ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), atteso che il criterio temporale è uno degli indici di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria ed in presenza di una distanza temporale di otto anni tra i reati (lasso in cui si pone peraltro anche l’espiazione in carcere per la prima sentenza), non è illogica la decisione reiettiva del giudice dell’esecuzione;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09/05/2024