Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44264 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44264 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 23/09/1974
avverso l’ordinanza emessa il 14/03/2024 dal Tribunale di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
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RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa il 14 marzo 2024 il Tribunale di Napoli, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 della stessa istanza, ritenendo ostative all’applicazione della disciplina invocata l’eterogeneità dei comportamenti criminosi e l’ampiezza dell’arco temporale nel quale gli stessi erano stati commessi.
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, articolando un’unica doglianza.
Con tale doglianza si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 81 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., conseguente al fatto che il Giudice dell’esecuzione, nel respingere l’istanza di applicazione del vincolo della continuazione invocato dal COGNOME, non aveva tenuto conto della correlazione esistente tra le fattispecie giudicate dalle decisioni presupposte, riguardanti due ipotesi di violazione del regime della sorveglianza speciale applicato all’imputato, che risultavano connotate da omogeneità esecutiva ed erano state commesse a distanza di soli due mesi, nelle date dell’Il maggio 2007 e del 31 agosto 2007.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile, risultando basato su motivi manifestamente infondati.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del
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13/11/2012, NOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione di COGNOME, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, infine, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, secondo comma, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
In questa cornice, deve rilevarsi, in linea con quanto correttamente affermato dal Tribunale di Napoli, che ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione invocata da NOME COGNOME, ai sensi degli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., le modalità esecutive eterogenee con cui le condotte criminose di cui si invocava la preordinazione si erano concretizzate.
Si consideri, in proposito, che le condotte illecite di cui si assumeva l’unicità del disegno criminoso, riguardanti i reati di cui all’art. 9 legge 23 dicembre 1956, n. 1423, risultavano commesse da COGNOME in contesti esecutivi oggettivamente eterogenei e connotate da estemporaneità comportamentale, che, peraltro, è tipica delle violazioni del regime della sorveglianza speciale, non potendosi ipotizzare, salvo casi rari, difficilmente riscontrabili, che l’imputato si prefigur una violazione seriale delle prescrizioni impostegli in sede di applicazione della misura di prevenzione personale.
Si aggiunga che i comportamenti criminosi di Porcino risultavano commessi a distanza di due mesi, che, tenuto conto dell’estemporaneità comportamentale propria delle fattispecie che si stanno considerando, rendono, anche sotto questo
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ulteriore profilo, inapplicabile il regime invocato, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, impropriamente richiamata dalla difesa del ricorrente, in cui si afferma il seguente principio di diritto: «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spaziotemporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01).
Non può, per altro verso, non rilevarsi che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, come nel caso di NOME COGNOME, venendo disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto in esame, viceversa orientato a favorire il condannato, applicandogli un trattamento sanzionatorio mitigato dagli effetti del combinato disposto degli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, Abbassi, cit.).
Le considerazioni esposte impongono di dichiarare inammissibile il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, che si ritiene di determinare in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16 ottobre 2024.