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Continuazione reato: no se è stile di vita criminale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione reato tra due violazioni della sorveglianza speciale. La Corte ha stabilito che la mera ripetizione di illeciti, se frutto di decisioni estemporanee e non di un unico piano preordinato, non integra la continuazione, ma può essere espressione di un programma di vita dedito al crimine, escludendo così l’applicazione del trattamento sanzionatorio più favorevole.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione reato: la Cassazione traccia il confine con lo ‘stile di vita criminale’

La continuazione reato è un istituto fondamentale del nostro ordinamento penale, pensato per mitigare il trattamento sanzionatorio quando più reati sono legati da un unico disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con la sentenza n. 44264 del 2024, la Corte di Cassazione ribadisce i rigorosi presupposti per il suo riconoscimento, distinguendo nettamente un piano criminale preordinato da una generica tendenza a delinquere, qualificabile come ‘stile di vita’.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla decisione del Tribunale di Napoli, in funzione di Giudice dell’esecuzione, di rigettare l’istanza di un condannato. Quest’ultimo chiedeva di applicare la disciplina della continuazione reato a due sentenze irrevocabili relative a due distinte violazioni del regime di sorveglianza speciale, commesse a distanza di soli due mesi l’una dall’altra nel 2007.
Il Tribunale aveva negato il beneficio ritenendo ostative l’eterogeneità dei comportamenti e l’ampiezza dell’arco temporale.

Contro tale ordinanza, il condannato proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che il giudice di merito non avesse considerato adeguatamente l’omogeneità dei reati (entrambi violazioni della stessa misura di prevenzione) e la loro prossimità temporale, elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto far presumere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso.

La decisione della Corte sulla continuazione reato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e cogliendo l’occasione per consolidare i principi che regolano l’istituto. La giurisprudenza di legittimità è chiara: per poter parlare di continuazione reato, è necessario che le violazioni siano parte integrante di un unico programma criminoso, deliberato in anticipo per conseguire un determinato fine. Non basta una semplice ripetizione di condotte illecite.

Le motivazioni

Il Collegio ha spiegato che l’unicità del programma criminoso non può essere confusa con una ‘concezione esistenziale fondata sulle attività illecite’. In altre parole, quando la reiterazione dei crimini non è altro che l’espressione di un programma di vita improntato al crimine, da cui il soggetto intende trarre sostentamento, non si applica la continuazione. In questi casi, entrano in gioco altri istituti, come la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, che hanno una funzione opposta: inasprire la pena, non mitigarla.

La Corte ha inoltre sottolineato che la verifica della preordinazione criminosa non può basarsi su mere presunzioni o congetture. È necessario dimostrare, caso per caso, che i reati siano stati concepiti ed eseguiti all’interno di un piano unitario, almeno nelle sue linee fondamentali.

Nel caso specifico, le violazioni della sorveglianza speciale sono state ritenute espressione di una ‘estemporaneità comportamentale’, tipica di questa fattispecie di reato. È difficile, secondo la Corte, ipotizzare che un soggetto pianifichi in anticipo una serie di violazioni delle prescrizioni imposte dalla misura di prevenzione. La distanza di due mesi tra i fatti, unita alla natura estemporanea delle condotte, ha rafforzato la convinzione dei giudici che mancasse quel progetto unitario richiesto dalla legge.

Le conclusioni

La sentenza riafferma un principio cruciale: per ottenere il beneficio della continuazione reato, non è sufficiente che i crimini siano simili o commessi in un lasso di tempo ravvicinato. È indispensabile provare l’esistenza di un piano originario che li comprenda tutti, almeno nelle loro caratteristiche essenziali. L’assenza di tale prova, specialmente in contesti dove le violazioni appaiono spontanee e occasionali, porta a escludere l’applicazione dell’istituto. La decisione condanna quindi il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, confermando che la reiterazione di condotte illecite, se espressione di uno stile di vita, non merita il trattamento di favore previsto dall’art. 81 c.p.

Quando si può applicare l’istituto della continuazione reato?
La continuazione si applica quando più reati sono stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario, deliberato in anticipo almeno nelle sue linee fondamentali per conseguire un determinato fine.

La semplice somiglianza e vicinanza nel tempo tra due reati è sufficiente per riconoscere la continuazione reato?
No. Secondo la sentenza, non è sufficiente valorizzare indici come l’omogeneità delle violazioni o la contiguità temporale se i reati risultano frutto di una determinazione estemporanea e non di un piano unitario programmato prima della commissione del primo reato.

Qual è la differenza tra ‘continuazione reato’ e un ‘programma di vita improntato al crimine’?
La ‘continuazione reato’ presuppone un unico disegno criminoso per una serie definita di reati, orientato a un trattamento sanzionatorio più favorevole. Al contrario, un ‘programma di vita improntato al crimine’ indica una scelta esistenziale di trarre sostentamento da attività illecite, una condizione che viene disciplinata e penalizzata da altri istituti come la recidiva o l’abitualità nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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