Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29674 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29674 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/05/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
Sent. n. sez. 377/2025 UP – 22/05/2025
R.G.N. 41159/2024
– Relatore –
ha pronunciato la seguente
sui ricorsi proposti da:
e da
NOME COGNOME nato a Pietraperzia il 29/05/1961
nel procedimento a carico di questi ultimi e di
COGNOME NOME nato a Caulonia il 02/06/1964
avverso la sentenza del 09/07/2024 della Corte d’appello di Milano
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
1.1. NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati riconosciuti tutti colpevoli del reato di cui all’art 416bis cod. pen, contestato al capo 1) dell’imputazione, per avere fatto parte – NOME in qualità di promotore – della locale di ‘ndrangheta denominata di Pioltello, operante sul territorio di Milano e provincia, la cui esistenza era già stata
1.4. NOME COGNOME Ł stato ritenuto colpevole del reato di cui al capo 9) e condannato alla pena di sette anni di reclusione ed euro 27.000,00 di multa.
– ha riconosciuto, quanto a NOME e NOME COGNOME, il vincolo della continuazione tra i reati oggetto del presente giudizio e quelli di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano in data 23 aprile 2013, irrevocabile il 6 giugno 2014 e, per l’effetto, rideterminato la pena unica complessiva rispettivamente in diciassette anni e quattro mesi di reclusione e in sei anni di reclusione ed euro 20.000,00 di multa;
3.2. In questa cornice di accertata esistenza del sodalizio operante con le modalità descritte al capo 1), il Giudice di appello ha accolto la richiesta degli imputati NOME, NOME e NOME COGNOME di riconoscimento del vincolo della continuazione con i reati giudicati con la sentenza del 23 aprile 2013, irrevocabile 6 giugno 2014 e, quanto a NOME COGNOME, anche con quella emessa il 5 luglio 2016, irrevocabile il 9 marzo 2018.
appartenente alle ‘nuove leve’, in cui il primo spiega al secondo «l’importanza di essere nato in seno alla famiglia COGNOME», poichØ «perciò solo egli doveva ritenersi già affiliato».
La Corte territoriale ha, inoltre, evidenziato come già la sentenza di primo grado contenesse l’accertamento positivo della permanenza dei collegamenti dei soggetti detenuti con l’associazione criminale, espressa dalla concreta possibilità di riprendere i vincoli associativi e di continuare a essere utili all’organizzazione anche all’interno del circuito carcerario, come sintomaticamente attestato dall’avvenuta affiliazione di NOME COGNOME, operata da NOME COGNOME quando questi si trovava in regime di detenzione.
Infine, Ł stata valorizzata: i) la sostanziale coincidenza degli originari soggetti partecipi e quelli del presente procedimento, questi ultimi affiancati da una nuova generazione di appartenenti alla famiglia COGNOME; ii) l’identità del contesto territoriale; iii) la medesimezza dell’oggetto delle attività criminali di matrice tradizionale, cui si sono stati affiancati nuove tipologie di reato, ritenute dal Giudice di appello «espressive di una rinnovata vitalità e volontà di modernizzazione del gruppo, attraverso la penetrazione del tessuto imprenditoriale».
3.3. Quanto ai reati contestati a COGNOME, la Corte di appello ha confermato l’affermazione di responsabilità per quello di usura aggravata, contestato al capo 14) e quello di cui all’art. 512bis cod. pen., contestato ai capi 15), 16) e 17), nonchØ dell’aggravante mafiosa.
3.4. Infine, per ciò che riguarda la misura di sicurezza, in accoglimento della doglianza formulata in appello dai soli difensori di NOME, NOME e NOME COGNOME, ritenuta valevole per tutti gli imputati, il Giudice di appello ha rilevato l’assenza dei presupposti per l’applicazione della misura di sicurezza dell’assegnazione alla casa lavoro, ma ha chiarito (p. 199) le ragioni – legate al titolo di reato e alla personalità degli imputati – per cui detta misura dovesse essere sostituita con quella della libertà vigilata per la durata per ciascuno indicata.
Avverso la sentenza in preambolo ricorre in primo luogo il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano, limitatamente alla posizione processuale di NOME, NOME e NOME COGNOME e denuncia l’erronea applicazione dell’art. 81, secondo comma, cod. pen. e il correlato vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza del vincolo dellacontinuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli oggetto di sentenze di condanna irrevocabili.
Dopo aver ripercorso la motivazione resa sul punto dal Giudice di appello, deduce che il percorso argomentativo in parola si pone in contrasto con la disposizione normativa di cui all’art. 81 cod. pen. e con la giurisprudenza di legittimità in materia, che impone di distinguere tra l’unitaria e anticipata deliberazione e la mera scelta di vita delinquenziale del soggetto.
Nel caso in esame, secondo il Procuratore generale ricorrente, l’avere NOME e NOME COGNOME fatto parte del sodalizio di ‘ndrangheta in tempi antecedenti e lontani rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento costituirebbe mera espressione di una consapevole scelta di vita, in quanto: i) il reato associativo del processo cd. Infinito, di cui alla sentenza irrevocabile il 6 giugno 2014, contestato dal 15 febbraio 2008, con permanenza, si Ł protratto fino al novembre 2011 (data della pronuncia di primo grado), mentre quello di cui al capo 1) della presente sentenza, ugualmente caratterizzato dalla contestazione aperta, deve ritenersi consumato alla data dell’11 settembre 2023, e, dunque, con una cesura temporale di circa dodici anni; ii) le pene inflitte con la sentenza c.d. Infinito sono state espiate da NOME e NOME COGNOME con l’applicazione di benefici penitenziari,
indice di un percorso rieducativo del condannato, come attestato dai certificati degli imputati; iii) la compagine associativa dei due sodalizi, pur riconoscibili alla locale di Pioltello, Ł diversa, salvo che per NOME e NOME COGNOME. NOME COGNOME, poi,con la sentenza Infinito non Ł stato condannato per il reato di quell’articolo 416bis , ma esclusivamente per due episodi di traffico di sostanze stupefacenti; iv) anche l’oggetto del pactum sceleris Ł differente, poichØ i reati fine sono diversi da quelli già giudicati con sentenza irrevocabile e non vi Ł alcuna prova che l’associazione avesse programmato, ben dodici anni prima, la commissione di questi nuovi e successivi reati.
Conclusivamente, ritiene il ricorrente che l’associazione contestata costituisca un fatto storico diverso e autonomo rispetto a quello già giudicato e la prova di tanto si rinviene nella conversazione riportata a pagina 144 della sentenza di appello, in cui l’interlocutore di NOME COGNOME non riconosceva l’autorità di questi, ritenendo che il capo della Locale fosse NOME COGNOME
Ricorrono altresì gli imputati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME per il tramite dei rispettivi difensori, sviluppando, ciascuno, i motivi che si enunciano di seguito nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
5.1. NOME COGNOME, per il tramite del difensore di fiducia avv. COGNOME deduce un unico motivo di ricorso, con il quale denuncia la violazione degli articoli 597, comma 3, 125, 546 cod. proc. pen. e 133 cod. pen., in punto di avvenuta applicazione, nonostante la complessiva riduzione della pena, della misura di sicurezza della libertà vigilata, in assenza di impugnazione del Pubblico ministero e, comunque, al di fuori dell’accordo ai sensi dell’articolo 599bis cod. proc. pen.
Alla stregua del disposto di cui all’art. 597, commi 3 e 4, cod. proc. pen., quando l’appello Ł proposto dal solo imputato, il giudice non può irrogare nØ una pena piø grave per specie o quantità, nØ applicare una misura di sicurezza nuova o piø grave.
Osserva, inoltre, il ricorrente che la giurisprudenza di legittimità, anche nel suo massimo consesso, ha affermato che nel giudizio di appello il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dall’imputato riguarda non solo l’entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, sicchØ il giudice di appello non può applicare una misura di sicurezza non prevista dal giudice di prima cura.
5.2. NOME COGNOME ricorre per cassazione,per il tramite del difensore di fiducia, avv. COGNOME e denuncia i seguenti quattro motivi di ricorso.
5.2.1. Con il primo motivo deduce piø vizi di motivazione in punto di ricostruzione del fatto di usura aggravata contestato al capo 14) e alla ribadita sussistenza dell’aggravante mafiosa.
Lamenta l’omesso confronto da parte della Corte territoriale con le censure sottoposte con l’atto di appello e con memoria scritta, depositata sin dal giudizio di primo grado, ma del tutto negletta.
In particolare, rileva l’illogicità e, comunque, l’insufficienza della motivazione sui seguenti punti:
l’immotivato superamento del giudicato cautelare, poichØ il relativo provvedimento aveva confermato la qualificazione giuridica dei fatti di prestito a terzi, attuati dal ricorrente, come esercizio abusivo dell’attività creditizia e aveva escluso l’aggravante mafiosa;
la ribadita applicazione di un tasso d’interessi del 150% annuale in conformità a un dato storico erroneo, ossia il trimestre da ottobre a dicembre 2017 sulla cui base Ł stato calcolato detto tasso d’interesse, mentre risulterebbe dallo stesso narrato delle persone offese che le dazioni di denaro interessarono un periodo ben piø ampio, da maggio 2017 fino
alla fine del 2017 ovvero gli inizi del 2018;
la ritenuta autonomia della vicenda di usura ai danni di COGNOME per la quale sono stati sottoposti a indagine ai signori COGNOME e COGNOME;
l’omesso vaglio, quanto all’aggravante mafiosa, della motivazione del decreto motivato di rigetto di proroga delle intercettazioni emesso dal Giudice per le indagini preliminari il 20 settembre 2019, che aveva escluso la sussistenza di riscontro della causale dei pagamenti in denaro e delle modalità di esazione e, comunque, l’erroneità di una motivazione che inferisce la sussistenza dell’aggravante de qua dal ruolo svolto dal ricorrente nella comunità di Pioltello, motivazione contraria alla giurisprudenza di legittimità secondo cui per la sussistenza di tale aggravante non Ł sufficiente il mero collegamento con contesti di criminalità organizzata o la caratura mafiosa degli autori del fatto, occorrendo l’effettivo utilizzo del metodo mafioso, ossia un comportamento oggettivamente idoneo a esercitare sulle vittime del reato la particolare coartazione psicologica evocata dalla norma incriminatrice, che non può essere desunta dalla mera reazione delle vittime alla condotta serbata dall’agente.
5.2.2. Con il secondo motivo, denuncia piø vizi di motivazione in punto di ribadita sussistenza dei reati contestati ai capi 15), 16) e 17) e dell’aggravante mafiosa.
Il ricorrente, quanto alle ipotesi di trasferimento fraudolento di valori contestate in detti capi d’imputazione, lamenta che la Corte di appello avrebbe trascurato la prova documentale, fornita sin dalla fase delle indagini, della tracciabilità degli acquisti, e, invertendo l’onere della prova, avrebbe immotivatamente richiesto al ricorrente di documentare l’effettività e la stabilità delle provviste di denaro sottostanti. Non vi sarebbe, peraltro, alcuna prova della riconducibilità della società Dama Immobiliare al ricorrente e la mera formale intestazione dei beni a detta società non sarebbe, pertanto, esaustivamente indicativa di una loro disponibilità o titolarità effettiva, in via esclusiva.
Sarebbe poi del tutto assertiva l’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado e confermata da quella di appello, secondo cui l’acquisto da parte del ricorrente, nel biennio 2018-2019, di una serie di beni immobili e mobili registrati di lussoera dovuto a disponibilità finanziarie occulte e non rispondenti alla situazione patrimoniale e reddituale risultante in quel periodo. Osserva il ricorrente come gli acquisti in parola furonorealizzati nello stesso periodo nel quale egli avrebbe commesso i reati oggetto d’imputazione e che, tuttavia, si tratta di reati non lucro-genetici, sicchØ resterebbe indimostrata la presunzione di derivazione illecita della disponibilità finanziaria impiegata.
5.2.3. Con il terzo motivo, si denunciano i vizi d’illogicità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione in punto di ribadita sussistenza del reato di cui al capo 18) dell’imputazione e della relativa aggravante.
L’affermazione di responsabilità riguardante il reato di false dichiarazioni all’autorità giudiziaria si pone in contrasto con le prove, poichØ le intercettazioni telefoniche poste a fondamento della condanna riguarderebbero un periodo successivo di diversi mesi a quello in cui il ricorrente era sottoposto alla misura di sicurezza e, come tali, sonoinidonee a fornire la prova della condotta antecedente e, quindi, della falsità di quanto dichiarato.
Lamenta, inoltre, l’insufficienza della motivazione in punto di aggravante dell’agevolazione dell’attività dell’associazione, ritenuta senza alcun concreto elemento a sostegno della stessa.
5.2.4. Con il quarto motivo, denuncia la violazione di legge in punto di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata e il correlato vizio di motivazione.
Il Giudice di appello, dopo avere correttamente statuito sull’illegalità dell’applicazione
della misura di sicurezza detentiva dell’assegnazione alla casa di lavoro, ha applicato, in sua sostituzione, la libertà vigilata, con una motivazione che – poichØ svolta per relationem rispetto a quella degli imputati NOME Antonio e NOME COGNOME, condannati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso – non si attaglia alla posizione processuale del ricorrente. La motivazione, dunque, sarebbe sostenuta esclusivamente dal richiamo ai precedenti penali dell’imputato, senza una reale valutazione sulla pericolosità sociale in concreto dell’imputato. Si sarebbe, inoltre, del tutto trascurato il giudizio positivo espresso dal Magistrato di sorveglianza di Milano che, con ordinanza dell’8 gennaio 2019, nel riesaminare la pericolosità sociale del ricorrente, ne ha dichiarato la cessazione e ha conseguentemente revocato la libertà vigilata cui lo stesso era stato sottoposto.
5.2.5. In data 6 aprile 2025 la difesa di COGNOME ha depositato motivi aggiunti con i quali ha ribadito, ulteriormente approfondendoli, i primi tre motivi di ricorso, insistendo per il loro accoglimento.
5.3. Ricorre, infine, NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia, avv. COGNOME e – con un unico motivo – deduce che la Corte territoriale non avrebbe «sufficientemente motivato in punto d’insussistenza di cause di proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’articolo 129 cod. proc. pen., in relazione a tutti i reati contestati».
In particolare, evidenzia come la motivazione resa sul punto dal Giudice di appello, comune a tutti e tre gli imputati che hanno proposto il concordato ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., facendo riferimento alle indagini relative alla esistenza dell’associazione mafiosa, mal si attaglia alla sua posizione processuale, difatti non condannato per il reato di cui al capo 1) ma ritenuto responsabile esclusivamente per ipotesi di detenzione di sostanza stupefacente, in contestazione al capo 9).
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha prospettato il rigetto di tutti i ricorsi, fatta eccezione di quello del Procuratore generale presso la Corte di appello, da accogliersi limitatamente alla ritenuta continuazione criminosa nei riguardi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Procuratore generale e quello di NOME COGNOME sono fondati nei limiti e per le ragioni che s’indicano di seguito, mentre i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME non superano il vaglio di ammissibilità.
Come anticipato, il Procuratore generale con il ricorso per cassazione avversa, limitatamente alla posizione processuale di NOME, NOME e NOME COGNOME, la ritenuta sussistenza – da parte della Corte territoriale – del vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e i reati giudicati con la sentenza del 23 aprile 2013, irrevocabile 6 giugno 2014 e, quanto a NOME COGNOME, anche con i reati di cui alla sentenza emessa il 5 luglio 2016, irrevocabile il 9 marzo 2018.
1.1. Nella giurisprudenza di questa Corte Ł fermo il principio secondo cui, in tema di associazione di tipo mafioso, non comportano soluzione di continuità nella vita dell’organizzazione nØ i fisiologici avvicendamenti strutturali interni nØ l’estensione dell’attività criminosa alla commissione di reati di altra specie nØ l’ampliamento o la riduzione dell’ambito territoriale di operatività.
Per affermare, dunque, che a un’associazione ne segua una diversa, che richieda l’accertamento ex novo degli elementi costitutivi del reato, occorre la prova che la seconda organizzazione sia scaturita da un diverso patto criminale, oppure che quella originaria abbia definitivamente cessato di esistere a causa di un preciso evento traumatico, generatore di
discontinuità nel programma associativo (Sez. 5, n. 35673 del 19/04/2022, COGNOME, Rv. 283770 – 01. Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione che aveva escluso la sussistenza di una neoformazione, perchØ il sodalizio, facente capo a un esponente di spicco di un clan mafioso, operava in continuità con quest’ultimo, utilizzandone le stesse strutture, servendosi dell’identico metodo e perseguendone le medesime finalità); Sez. 2, n. 1688 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282516 – 01).
Si Ł, poi, chiarito che in contesti delinquenziali, come quelli determinati dalle associazioni mafiose, le detenzioni e le condanne definitive sono accettate come prevedibili eventualità, sicchØ, in tali casi, il vincolo della continuazione non Ł incompatibile con un reato permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo – costituito da fasi di detenzione o da condanne – trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio (Sez. 2, n. 16560 del 23/02/2023, COGNOME, Rv. 284525 01; Sez. 1,n. 38486 del 19/05/2011, COGNOME, Rv. 251364 – 01).
Ulteriore corollario Ł l’affermazione secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza di condanna delimita la protrazione temporale della permanenza del reato con riferimento alla data finale cui si riferisce l’imputazione ovvero alla diversa data ritenuta in sentenza, o, nel caso di contestazione c.d. aperta, alla data della pronuncia di primo grado, sicchØ la successiva prosecuzione della medesima condotta illecita oggetto di accertamento può essere valutata esclusivamente quale presupposto per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari episodi (Sez. 2, n. 680 del 19/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277788 – 01. In motivazione la Corte ha ribadito che la preclusione derivante dal giudicato con riferimento a un reato associativo non presuppone soltanto che il sodalizio oggetto dei diversi procedimenti sia identico sotto il profilo storico-naturalistico, occorrendo anche la sovrapponibilità dei periodi rispetto ai quali Ł contestata la partecipazione dell’associato e la perdurante operatività dell’organizzazione).
1.2. ¨ in questa cornice, che traccia i rapporti tra l’istituto del ne bis in idem e quello della continuazione criminosa, che dev’essere scrutinato il ricorso della Parte pubblica.
Osserva, in proposito, il Collegio, quanto a NOME e NOME COGNOME, che – in considerazione di quanto esposto ai paragrafi 3.1. e 3.2. della presente sentenza – la Corte territoriale, facendo corretta applicazione dei principi appena sunteggiati e ponendosi nel solco della motivazione del Giudice di primo grado, ha valorizzato – ai fini dell’applicazione del vincolo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. – l’intervenuta precedente affermazione di responsabilità di entrambi per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. (per la comune partecipazione alla locale di Pioltello), fornendo un’articolata motivazione sia sulla continuità del sodalizio, sia sulla riconducibilità dei reati, giudicati con le diverse sentenze, al relativo programma unitario e anticipatamente ideato sia pur nelle sue linee essenziali.
Tale motivazione s’inserisce nel solco dell’affermazione, costante in giurisprudenza, secondo cui Ł ipotizzabile la continuazione tra il delitto di partecipazione ad associazione per delinquere e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si determina a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, Sallaj, Rv. 285369 – 01; Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430 – 01; Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984 – 01; Sez. 1, n. 12639 del 28/03/2006, Adamo, Rv. 234100 – 01; Sez. 1, 2225 del 19/093/1992, COGNOME, Rv. 192484 – 01).
A diversa conclusione deve pervenirsi per la posizione di NOME COGNOME che diversamente dai due correi precedenti – non Ł stato condannato per il reato di cui all’art.
416bis cod. pen. con la sentenza cd. Infinito e la cui posizione processuale, secondo quanto emerge dalla stessa sentenza di appello, a p. 116, era stata archiviata per insufficienza indiziaria, sicchØ l’affermazione di responsabilità nei suoi confronti ha riguardato i soli fatti di droga.
Ciò rende la motivazione dalla Corte di appello in punto di sussistenza del vincolo della continuazione (p. 196), laddove rinvia a quella che riguarda NOME e NOME COGNOME, del tutto apparente, poichØ la stessa non rende ragione degli elementi per i quali si Ł ritenuta l’anticipata e unitaria deliberazione criminosa tra l’antica condanna per la richiamata violazione della disciplina degli stupefacenti e i due reati (di partecipazione ad associazione mafiosa della violazione della disciplina sulle armi), commessi successivamente e di natura eterogenea.
Non va, infatti, dimenticato che l’accertamento sulla sussistenza della continuazione consiste nella verifica ex post di una volontà criminosa non necessariamente esplicitata, in forma chiara e distinta, al momento del fatto, e che, pertanto, dev’essere ricostruita, induttivamente, in termini di elevata probabilità o, comunque, di spiccata verosimiglianza della sua effettiva sussistenza.
A tal fine, la giurisprudenza ha individuato alcune circostanze che possono fungere da pregnanti indicatori della presenza di una programmazione unitaria, quali «l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spaziotemporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali» (Sez. U, n. 28659 del 18/5/2017, COGNOME Rv. 270074).
Nel caso di specie, come già osservato, la motivazione offerta dal Giudice di appello Ł del tutto carente, riguardo ai profili indicati, tanto da rendere necessaria una nuova deliberazione.
Il ricorso di Del Monaco Ł manifestamente infondato.
Come si legge nella parte in premessa del presente provvedimento, la Corte di appello di Milano ha sostituito la misura di sicurezza dell’assegnazione a una casa di lavoro per la durata di un anno applicata dal Giudice per le indagini preliminari con quella della libertà vigilata per la durata di due anni, indicando ampie ragioni a sostegno.
Ciò ha fatto senza incorrere nel lamentato divieto di reformatio in peius, poichØ COGNOME ha concordato la pena ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen. e rinunciato a tutti motivi, fatta eccezione di quelli sulla pena tra i quali non può ritenersi ricompreso quello sulla misura di sicurezza.
Il Collegio ritiene, invero, di dare continuità al principio secondo cui «In tema di concordato in appello, la rinuncia a tutti i motivi diversi da quelli afferenti alla determinazione della pena comprende anche la doglianza relativa all’applicazione di misure di sicurezza, non riguardando queste ultime il trattamento sanzionatorio, ma un capo autonomo della decisione»(Sez. 4, n. 40683 del 03/10/2024,COGNOME, Rv. 287256 – 01).
NØ – si osserva – si versa in ipotesi di applicazione illegale di una misura di sicurezza, trattandosi di misura invece disposta in ragione della previsione di cui agli art. 230 e 417 cod. pen. e, comunque, sulla scorta di un’adeguata motivazione in punto di pericolosità dell’imputato.
Il ricorso di COGNOME Ł fondato limitatamente al quarto motivo, inammissibili essendo le restanti censure e, conseguentemente, i motivi aggiunti che sulle stesse censure sono stati articolati.
3.1. I primi tre motivi di ricorso sono aspecifici e non consentiti, poichØ si risolvono
nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito nelle p. da 102 e ss. della sentenza impugnata, attraverso una disamina completa e approfondita delle risultanze di prova, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità. Essi sono, dunque, inammissibili, dovendosi considerare non specifici e soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 4, n. 19364 del 14/03/2024, COGNOME, Rv. 286468 – 01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME Rv. 277710 – 01).
3.1.1. In particolare, quanto al capo 14), il Giudice di appello, anche riprendendo l’analisi puntuale e articolata contenuta nelle p. da 256 a 279 della sentenzadi primo grado, non ha mancato di affrontare funditus ogni censura dell’appellante, ribadendo come l’affermazione di responsabilità di COGNOME per detto reato trovi il suo fondamento nelle dichiarazioni (valutate pienamente attendibili) delle due parti lese, gli imprenditori COGNOME e COGNOME, negli esiti delle indagini tecniche (costituite da conversazioni captate e risultavi emergenti dai tabulati telefonici), infine nei servizi di osservazione all’uopo disposti.
Diversamente da quanto si lamenta nel ricorso, assolutamente coerenti con le risultanze di prova sono, in particolare, le parti del ragionamento logico-giuridico dedicate: i) all’asserito immotivato superamento del “giudicato cautelare” e alla mancata diversa qualificazione giuridica dei fatti di prestito a terzi attuati dal ricorrente come esercizio abusivo dell’attività creditizia; ii) alla ricostruzione del tasso d’interesse e alla sua sicura natura usuraria (si vedano, in particolare, le p. 276 e ss. della sentenza di primo grado); iii) alla affermata scarsa attendibilità delle persone offese COGNOME e COGNOME, in ragione di altra vicenda giudiziaria in cui erano stati coinvolti, con le quali il ricorrente omette di confrontarsi.
Quanto, poi, alle censure riguardanti l’aggravante mafiosa, vengono in rilievo le considerazioni svolte da p. 256 e s. e 278 e ss. della sentenza di primo grado, del tutto trascurate dal ricorrente.
Sul punto, i Giudici di merito muovono dalla premessa che il ricorrente Ł soggetto pluripregiudicato per reati di criminalità organizzata di tipo mafioso, avendo agito – come attestato da sentenze irrevocabili indicate puntualmente – quale referente dell’associazione cosa nostra , locale di Pietrapersia, avendo intrattenuto rapporti con le altre locali operative in Lombardia e, tra queste, quella di matrice ‘ndranghetista di Pioltello. Quindi, ai fini dell’aggravante de qua, valorizzano le seguenti, incontestate circostanze: i) le vittime erano state oggetto di richieste estorsive da parte degli appartenenti alla famiglia COGNOME; ii) il ricorrente aveva elargito loro un prestito di carattere usuraio a fronte del quale le persone offese avevano dichiarato di essersi sentite al tempo stesso “protette” dalla presenza del ricorrente, ma altresì “impaurite” dalla sua caratura criminale e da possibili ritorsioni ai danni del nucleo familiare, qualora non avessero onorato il debito; iii) il ricorrente, dal canto suo, nelle richieste di pagamento, aveva continuamente evocato la presenza di un contesto criminale di riferimento e la presenza di terze persone che pretendevano la restituzione del prestito.
Si tratta di una motivazione che fa adeguata applicazione del principio espresso in sede di legittimità secondo cui «Ai fini della configurabilità dell’aggravante del “metodo mafioso”, di cui all’art. 416bis .1 cod. pen., Ł sufficiente, in un territorio in cui Ł radicata un’organizzazione mafiosa storica, che il soggetto agente si riferisca implicitamente al potere criminale della consorteria, in quanto tale potere Ł di per sØ noto alla collettività» (Sez. 2, n. 34786 del 31/05/2023, NOME COGNOME Rv. 284950 – 01).
La circostanza aggravante di cui all’art. 416bis .1, cod. pen., nello stigmatizzare un
metodo e non un fatto, risponde all’avvertita esigenza di prevedere un trattamento sanzionatorio piø severo tutte le volte in cui l’evocazione della contiguità ad una organizzazione mafiosa ponga la vittima in una condizione di soggezione ulteriore rispetto a quella solitamente derivata dalla condizione di vittima di estorsione (Sez. 2, n. 19245 del 30/3/2017, COGNOME, Rv. 269938), dovendo il giudice limitarsi a controllare che quella evocazione sia effettivamente funzionale a creare una condizione di assoggettamento particolare, come riflesso del prospettato pericolo di trovarsi a dover fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale mafioso, piuttosto che quelle di un criminale comune. L’aggravante in esame ha, infatti, la funzione di reprimere il «metodo delinquenziale mafioso» ed Ł connessa non alla struttura e alla natura del delitto rispetto al quale Ł contestata, quanto, piuttosto, alle modalità della condotta, che devono evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso. ¨ configurabile, quindi, l’aggravante laddove la condotta delittuosa sia stata, come nel caso di specie, oggettivamente funzionale a creare nella vittima la peculiare condizione di assoggettamento derivante dal prospettato pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici, provenienti non da un singolo ma dall’intero gruppo mafioso.
In conclusione, la sentenza impugnata e, prima di essa, quella del Giudice per le indagini preliminari hanno dato adeguato conto delle ragioni a sostegno della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416bis . 1, cod. pen. a seguito di una valutazione dei richiamati elementi fattuali che appare congrua e rispettosa dei canoni di logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento del materiale probatorio e, quindi, non censurabile in sede di legittimità.
3.1.2. Analoghe considerazioni valgono per il secondo motivo di ricorso con cui si denunciano insussistenti vizi di motivazione in punto di ribadita configurabilità dei reati d’intestazione fittizia (trasferimento fraudolento di valori), contestati ai capi 15), 16) e 17) e della correlata aggravante mafiosa.
Come già detto, la funzione tipica dell’impugnazione Ł quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce e tale revisione critica si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità, debbono indicare specificamente le ragioni di diritto che sorreggono ogni richiesta. Il motivo di ricorso in cassazione Ł, infatti, caratterizzato da una «duplice specificità», dovendo contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione e, contemporaneamente, enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra quelli previsti dall’art. 606 cod. proc. pen.; e dedurre specificamente le ragioni della decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente. ¨, di conseguenza, inevitabile che il ricorso, che si limita a riprodurre quanto già sostenuto nell’atto di appello, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale Ł previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento formalmente attaccato, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, Ł, di fatto, del tutto ignorato.
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente, senza confrontarsi con quanto motivato dal Giudice di appello al fine di confutare le prospettate censure difensive, ha ribadito tali considerazioni improntando la propria valutazione delle risultanze procedimentali a una logica parcellizzata, caratterizzata dall’analisi dei singoli elementi in maniera del tutto avulsa dal contesto, prescindendo dagli evidenti elementi di coerenza palesati e valorizzati nella
sentenza impugnata.
Segnatamente, i Giudici di merito, con percorso argomentativo coerente con le risultanze investigative e privo di illogicità manifeste (si vedano le p. da 279 a 305 della sentenza di primo grado, richiamata in quella di appello), hanno proceduto a un’analisi minuziosa delle società intestatarie dei beni immobili e mobili registrati oggetto di fraudolento trasferimento e hanno indicato precisi elementi di prova della loro riconducibilità al ricorrente, con ampia riproduzione delle conversazioni captate incriminanti.
Il ricorrente non si Ł misurato con questi elementi, dai quali Ł stata tratta in positivo la conferma dell’effettiva sussistenza dei reati contestati, con conseguente difetto di specificità della doglianza.
Anche con riferimento al capo 18) dell’imputazione, riguardante la falsa dichiarazione svolta al Magistrato di sorveglianza, deve aversi riguardo alla puntuale motivazione del Giudice per le indagini preliminari (p. 305 e s.), nella quale sono riprodotte, per sintesi ove non integralmente, il contenuto delle conversazioni del ricorrente con NOME COGNOME che disvelano per un verso i rapporti affatto diversi da quelli – asseriti dal ricorrente – tra datore di lavoro e lavoratore e, per altro verso, danno contezza della circostanza che COGNOME era l’amministratore di tutte le società presso le quali COGNOME era stato assunto durante il periodo della libertà vigilata e, per ciò che piø qui interessa, che egli non aveva mai prestato attività lavorativa presso la società RAGIONE_SOCIALE e presso la RAGIONE_SOCIALE; ciò a conferma – rimasta sostanzialmente incontestata – della falsità di quanto riferito da COGNOME al Magistrato di sorveglianza.
Il motivo Ł aspecifico e, comunque, manifestamente infondato anche sotto il profilo dell’eccepita mancanza di motivazione in punto di sussistenza dell’aggravante mafiosa con riferimento a tali reati. I Giudici di merito (si vedano, in particolare, le p. 313 e s. della sentenza di primo grado) hanno fornito una motivazione non manifestamente illogica e la Corte di appello, lungi dal trascurare le obiezioni e le censure difensive, ha reso una motivazione – sintetica, ma puntuale – nelle p. da 183 a 193, non realmente avversata dal ricorrente.
Come anticipato,l’inammissibilità dei primi tre motivi del ricorso principale, cui si collegano i motivi aggiunti, travolge questi ultimi, anche nel caso in cui il ricorso principale contenga altri motivi fondati e comunque non inammissibili. L’inammissibilità dei motivi originari del ricorso per cassazione non può essere, invero, sanata dalla proposizione di motivi nuovi, atteso che si trasmette a questi ultimi il vizio radicale che inficia i motivi originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi e considerato anche che deve essere evitato il surrettizio spostamento in avanti dei termini di impugnazione (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, NOME COGNOME Rv. 287482 – 03; Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277850 – 01).
3.2. ¨, invece, fondato il quarto motivo di ricorso, riguardante la misura di sicurezza.
3.2.1. Non Ł superfluo premettere che la Corte di appello ha svolto, sul punto, una motivazione unica per tutti gli imputati e – dopo avere correttamente chiarito che, sebbene la censura fosse stata dedotta nell’appello limitatamente alle posizioni di NOME, NOME e NOME COGNOME, la questione doveva essere estesa anche ai coimputati, trattandosi di misura di sicurezza applicata illegalmente -, per un verso, ha osservato che non vi erano i presupposti di cui all’articolo 216 cod. pen. e, per altro verso, ha ritenuto di poter applicare la diversa misura della libertà vigilata, richiamando la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 417 cod. pen. imporrebbe, a fronte di una condanna per associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza a prescindere dall’accertamento concreto della
pericolosità, da svolgersi da parte del magistrato di sorveglianza al momento dell’esecuzione della misura. Quindi, ha provveduto a differenziare il quantum di durata della misura di sicurezza della libertà vigilata, così come sostituita, per ciascuno degli imputati: a p. 199 della sentenza impugnata la Corte ha testualmente affermato che «ad ogni buon conto, la quantificazione della misura di sicurezza in tali termini trova giustificazione nella gravità delle odierne condotte e nella personalità degli imputati già destinatari di condanna per reati specifici», soggiungendo per COGNOME, la necessità di considerare «non solo la gravità delle condotte, ma anche i precedenti penali specifici che lo gravano».
Coglie, pertanto, nel segno il ricorrente quando lamenta che la motivazione del Giudice di appello mal si attaglia alla sua posizione processuale perchØ svolta, per relationem , rispetto a quella degli imputati NOME Antonio e NOME COGNOME che, diversamente da lui, sono stati condannati per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso.
La motivazione nei suoi riguardi Ł, infatti, sostenuta esclusivamente dal richiamo ai precedenti penali, senza che sia stata compiuta la doverosa valutazione sulla sua pericolosità sociale in concreto.
Il Collegio – pur consapevole del diverso orientamento espresso in sede di legittimità a cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata, per il quale, in tema di associazione di tipo mafioso, l’applicazione della misura di sicurezza prevista dall’art. 417 cod. pen. non richiede l’accertamento in concreto della pericolosità del soggetto, dovendosi ritenere operante una presunzione semplice, desunta dalle caratteristiche del sodalizio criminoso e dalla persistenza nel tempo del vincolo criminale di mutua solidarietà, che può essere superata quando siano acquisiti elementi dai quali si evinca l’assenza di pericolosità in concreto (cfr., tra le molte, Sez. 1, n. 33951 del 19/5/2021, COGNOME, Rv. 281999; Sez. 6, n. 4115 del 27/6/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278325; Sez. 6, n. 2025 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272023; Sez. 6, n. 44667 del 12/5/2016, COGNOME, Rv. 268678; Sez. 5, n. 38108 del 8/7/2015, COGNOME, Rv. 265006) – intende dare continuità al diverso principio così testualmente espresso: «In tema di misure di sicurezza, a seguito della modifica introdotta dall’art. 31, comma 2, legge 10 ottobre 1986, n. 633, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorchØ qualificata come semplice» ( Sez. 1, n. 2875 del12/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 285810 01;Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, COGNOME,Rv. 284817; Sez. 1, n. 35996 del 8/5/2019, Natale, Rv. 276813; Sez. 1, n. 7188 del 10/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280804; vedi anche Sez. 1, n. 3801 del 15/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258602). L’espressione normativa utilizzata nell’art. 417 cod. pen., che abbina “sempre” alla condanna per uno dei delitti previsti dai due articoli precedenti (e quindi sicuramente al delitto di cui all’art. 416bis cod. pen.) l’applicazione di una misura di sicurezza, deve essere coordinata con l’evoluzione normativa e, in particolare, con il fatto che, a partire dalla entrata in vigore della legge 10 ottobre 1986, n. 633 (cd. legge Gozzini), il quadro di riferimento Ł stato radicalmente modificato attraverso l’abrogazione dell’art. 204 cod. pen. e la conseguente eliminazione delle presunzioni di pericolosità sociale in materia di misure di sicurezza, in conformità alle ripetute pronunce della Corte costituzionale di illegittimità delle disposizioni concernenti l’applicazione obbligatoria di tali misure nei confronti dell’infermo di mente (sentenze n. 139
del 1982 e n. 249 del 1983) e del minore di età (sentenza n. 1 del 1971).
Deve ritenersi, pertanto, che unamisura di sicurezza può essere disposta soltanto previo accertamento della pericolosità sociale, senza alcuna possibilità di ricorrere a presunzioni, ancorchØ semplici.
3.2.2. Sotto altro concorrente profilo va detto che in materia di misure di sicurezza, anche dopo l’introduzione dell’art. 31 della l. n. 633 del 1986, permane la distinzione fra la libertà vigilata facoltativa di cui all’art. 229 cod. pen. e quella obbligatoria prevista dal successivo art. 230 cod. pen. e, nei casi di misura facoltativa, qualora sia accertata in concreto la pericolosità sociale e la sussistenza degli altri presupposti richiesti, il giudice può comunque escluderne l’applicazione, con motivazione adeguatasulle ragioni di tale esclusione, avendo riguardo al grado di pericolosità del singolo e al principio di proporzionalità rispetto al fatto commesso nonchØ a quelli di presumibile verificazione (Sez. 3, n. 33591 del 24/04/2015, COGNOME, Rv. 264246 – 01). Nella citata sentenza si Ł chiarito con motivazione che qui si condivide – che, sebbene la distinzione tra libertà vigilata facoltativa o obbligatoria abbia perso la sua originaria rilevanza (poichØ ora Ł sempre necessario l’accertamento della pericolosità sociale del condannato), devono ritenersi modificate le prospettive e i rapporti intercorrenti tra la libertà vigilata facoltativa e quella obbligatoria, dovendosi necessariamente mantenere una distinzione, sicchØ – accertata la pericolosità sociale e altre condizioni esatte – il giudice, nei casi previsti dall’art. 230 cod. pen., deve applicare la misura di sicurezza, mentre nei casi previsti dall’art. 229 cod. pen, pure in presenza della pericolosità e delle altre condizioni, può o meno applicarla.
3.3. Tanto premesso, nel caso di specie la Corte di appello ha omesso di svolgere un’adeguata motivazione con riferimento alla specifica posizione del ricorrente, che desse conto degli indicatori di una sua effettiva e attuale pericolosità sociale ovvero di una concreta probabilità di recidiva generica o specifica e, dunque, ha omesso di motivare sulle ragioni che l’hanno condotta ad applicare la misura di sicurezza.
Ne consegue che, in parte qua, la sentenza va annullata con rinvio per nuovo esame sul punto e il giudice del rinvio, nella valutazione sulla pericolosità sociale di COGNOME si atterrà, nell’applicare o meno la misura della libertà vigilata, ai principi di diritto sin qui esposti.
Infine, il ricorso di COGNOME, che riguarda il c.d. concordato della pena, deduce censure inammissibili e, comunque, manifestamente infondate.
4.1. Il ricorso Ł stato, infatti, presentato avverso la sentenza emessa nei suoi riguardi ai sensi dell’art. 599bis , comma 1, cod. proc. pen., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, che dispone che «La Corte di appello provvede in camera di consiglio anche quando le parti, nelle forme previste dall’articolo 589 dello stesso codice, ne fanno richiesta dichiarando di concordare sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con rinuncia agli altri eventuali motivi. Se i motivi dei quali viene chiesto l’accoglimento comportano una nuova determinazione della pena, il pubblico ministero, l’imputato e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria indicano al giudice anche la pena sulla quale sono d’accordo».
Questa Corte ha già chiarito, con orientamento consolidato, che, in seguito alla reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello, deve ritenersi nuovamente applicabile il principio – elaborato dalla giurisprudenza di legittimità nel vigore del similare istituto previsto dell’art. 599, comma 4, cod. proc. pen. e successivamente abrogato dal d.l. 23 maggio 2008, n. 92 – secondo cui il giudice d’appello, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi d’impugnazione, limita la sua cognizione, in forza dell’effetto devolutivo, ai motivi non rinunciati, senza essere neppure
tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per taluna delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., in considerazione della radicale diversità tra l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti e l’istituto in esame (tra le altre Sez. 6, n. 35108 del 08/05/2003, COGNOME, Rv. 226707; Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245919).
La rinuncia ai motivi determina, pertanto, una preclusione processuale che impedisce al giudice di prendere cognizione di quanto, non solo in punto di affermazione di responsabilità, deve ritenersi non devoluto, sicchØ Łinammissibile il ricorso relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello e che non si siano trasfuse nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Alessandria, Rv. 275234; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969), ovvero alla qualificazione giuridica del fatto (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, COGNOME, Rv. 277196). Il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599bis cod. proc. pen. risulta, per contro, ammissibile qualora vengano dedotti motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato in appello, al consenso del Procuratore generale sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice.
4.2. Nel caso in esame, la difesa dell’imputato e il Procuratore generale territoriale hanno concordato, davanti al Giudice di secondo grado, l’accoglimento del motivo concernente la misura della pena applicata, con la conseguente rinuncia a qualsiasi differente motivo di censura e il Giudice di appello, nell’accogliere la richiesta formulata ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen., non Ł tenuto a motivare sulle residue questioni devolute con l’appello in quanto, a causa dell’effetto parzialmente devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ad alcuni motivi, la cognizione del giudice resta circoscritta a quelli non oggetto di rinuncia (Sez. 3, n. 30190 del 08/03/2018, Hoxha, Rv. 273755; nello stesso senso cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170).
Di qui l’inammissibilità del ricorso, le cui censure – riguardanti la mancata motivazione sull’inesistenza di cause di proscioglimento e la mancata appartenenza di COGNOME al sodalizio criminale (che costituisce un mero lapsus calami , ininfluente) – sono estranee ai temi della formazione della volontà della parte di accedere al concordato, del consenso del Procuratore generale sulla richiesta e del contenuto difforme della pronuncia del Giudice, unici temi che potrebbero inficiare la pronuncia emessa ai sensi dell’art. 599bis cod. proc. pen.
Alla declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME e COGNOME consegue la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e – per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. 186 del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte di appello di Milano n. 2909 del 23 aprile 2013, irrevocabile il 6 giugno 2014, e nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla misura di sicurezza della libertà vigilata, e rinvia per nuovo giudizio sui punti ad altra Sezione della Corte di appello di milano. Rigetta nel resto il ricorso del Procuratore generale della Corte di appello di Milano e dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME
COGNOME Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e di COGNOME NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 22/05/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
EVA TOSCANI