Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 7679 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1   Num. 7679  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA INDIRIZZO NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/07/2022 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
€441-1:143-6944G146.9-6444344434:1448
udito il difensore
Il Presidente dà atto che l’avvocato NOME COGNOME NOME deposita in udienza certificazione attestante la sopravvenuta irrevocabilità della sentenza di cui si riferisce nei motivi aggiunti, nulla opponendo il PG.
Il PG conclude chiedendo per COGNOME NOME il rigetto del ricorso; per COGNOME NOME il rigetto del ricorso; per COGNOME NOME il rigetto del ricorso; per COGNOME NOME e per INDIRIZZO l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata e il rigetto nel resto per gli altri motivi di ricorso.
L’avvocato NOME COGNOME NOME conclude chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’avvocato COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso. L’avvocato COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 2/10/2020, all’esito di giudizio abbreviato, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catania dichiarava NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili tutti del delitto associativo ex art. 416bis cod. pen., di cui al capo 1) di imputazione, esclusa l’aggravante di cui al comma 6 dello stesso articolo, ritenuta invece l’aggravante di cui al comma 4, per avere fatto parte, nell’arco temporale compreso tra giugno 2016 e febbraio 2017, dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE della provincia di Catania, in particolare della RAGIONE_SOCIALE e del RAGIONE_SOCIALE, promosso e diretto nel periodo in contestazione da NOME e NOME COGNOME e organizzato da NOME COGNOME, nonché COGNOME e NOME altresì della estorsione aggravata, anche ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., di cui al capo 3) d’imputazione, ai danni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente gestore della RAGIONE_SOCIALE e amministratore della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e COGNOME anche della tentata estorsione, aggravata, altresì, dal metodo mafioso, ai danni di NOME NOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE, di cui al capo 2), COGNOME, infine, anche del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 73, commi 1 e 4, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, di cui al capo 8) della rubrica, per avere detenuto e ceduto sostanza stupefacente del tipo cannabinoide.
E, pertanto, unificati i reati rispettivamente ascritti a COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, e tenuto conto della riduzione per il rito, condannava COGNOME alla pena di anni dieci e mesi sei di reclusione, COGNOME alla pena di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione ed euro 8.000,00 di multa, COGNOME alla pena di anni otto e mesi otto di reclusione, COGNOME alla pena di anni otto di reclusione e COGNOME alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione.
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Catania in riforma della suddetta sentenza nei confronti di NOME COGNOME ha riconosciuto il vincolo della continuazione con i fatti oggetto della sentenza emessa in data 26 marzo 2018, determinando in anni quattro di reclusione l’aumento a titolo di continuazione sulla pena già inflitta con la predetta sentenza e per l’effetto determinando la pena complessiva in anni quindici e mesi otto di reclusione. Ha, poi, confermato nel resto la
gravata sentenza, condannando COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, a firma dell’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, NOME COGNOME.
2.1 Con il primo motivo di impugnazione vengono denunciati vizio di motivazione e violazione degli artt. 192 cod. proc. pen. e 629 cod. pen.
Rileva il difensore che entrambe le sentenze di merito poggiano la dimostrazione della responsabilità del ricorrente in ordine al delitto estorsivo di cui al capo 3) sulla sola sua presenza alla riunione del 7 ottobre 2012, avvenuta all’interno della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Le dichiarazioni delle persone offese (dalle quali emergerebbe che la riunione, alla quale partecipavano da un lato COGNOME e i suoi sodali e dall’altro NOME COGNOME e i suoi accoliti, era stata espressamente richiesta e voluta dalle medesime per decidere chi si dovesse occupare della sicurezza) e il quadro emergente dal contenuto delle conversazioni intercettate dimostrerebbero, secondo la difesa, che la presenza di COGNOME e dei suoi sodali non era finalizzata ad estorcere ai titolari della RAGIONE_SOCIALE il controllo del servizio di sicurezza, ma ad estirpare l’egemonia di detto controllo, mediante l’assunzione di diverso personale, ed estromettere il clan RAGIONE_SOCIALE (COGNOME–COGNOME), del cui servizio le persone offese non erano soddisfatte.
Nessuna coercizione psichica, quindi, ci sarebbe stata nei confronti dei gestori dell’attività commerciale, e comunque dalle conversazioni intercettate emergerebbe l’indifferenza di COGNOME rispetto a quanto in ipotesi definito da NOME COGNOME, al quale soltanto, al più, sarebbe riconducibile la sussistenza degli elementi essenziali – oggettivo e soggettivo – della fattispecie criminosa contestata.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 416-bis.1 cod. pen. e vizio di motivazione.
Si rileva che con l’atto di appello si era evidenziato come il riconoscimento di detta aggravante derivasse dalla affermata responsabilità del ricorrente per il delitto associativo e che a tale censura la Corte territoriale non ha dato risposta. Si osserva che in ogni caso non emergerebbero elementi dai quali evincere il metodo mafioso ovvero la consapevolezza dell’agevolazione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, piuttosto che la volontà eventualmente di agevolare il soggetto che aveva chiesto a COGNOME di intervenire alla riunione (NOME COGNOME).
2.3.  Col terzo motivo di impugnazione si denuncia violazione dell’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione.
Lamenta il difensore che la Corte territoriale non ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del presente procedimento e quelli giudicati con sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania, nonostante oggetto di entrambi i giudizi siano state le partecipazioni ad RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE armata e in particolare al RAGIONE_SOCIALE (fino ad aprile 2010 quella di cui alla suddetta sentenza) e la commissione di delitti scopo di specie estorsiva. E ciò con una motivazione illogica, facente leva sulla distanza temporale tra i reati associativi (più di sei anni) e sulla cesura rappresentata dalla detenzione in carcere.
2.4. Col quarto motivo di ricorso vengono rilevati violazione degli artt. 62 -bis e 133 cod. pen.
La difesa si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonostante la totale ammissione della responsabilità da parte di COGNOME, ritenuta irrilevante dai Giudici del merito che, insistendo sulla gravità del fatto anche per la determinazione della pena, utilizzano il medesimo elemento per entrambi i profili.
2.5. Vengono presentati motivi nuovi dai difensori di COGNOME, AVV_NOTAIO e NOME AVV_NOTAIO, con i quali, ripercorrendo il primo motivo di ricorso, si evidenzia che con la sentenza del Tribunale di Catania gli originari coimputati, che avevano optato per il rito ordinario, la cui posizione è sovrapponibile a quella di COGNOME, sono stati assolti dalla fattispecie estorsiva per la quale si procede in questa sede (capo 3), rilevando detto Tribunale che il nuovo RAGIONE_SOCIALE di buttafuori non si era imposto con violenza e minaccia ad opera di COGNOME e della sua organizzazione, ma era subentrato su esplicita richiesta dei gestori della RAGIONE_SOCIALE, non soddisfatti di come era stata gestita fino ad allora la sicurezza del locale. Si osserva che con detta pronuncia si sono esclusi i presupposti della c.d. estorsione ambientale, facendo leva sul fatto che COGNOME fosse divenuto un socio di fatto della società titolare della RAGIONE_SOCIALE e avesse utilizzato la forza intimidatrice derivante dalla propria organizzazione non verso detta società, ma nei confronti della RAGIONE_SOCIALE organizzazione COGNOME, per farle cedere la gestione della sicurezza e farle cessare l’attività estorsiva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
I difensori insistono, pertanto, alla luce dei suddetti motivi per l’annullamento della sentenza impugnata.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione anche NOME COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia, AVV_NOTAIO.
3.1 Con il primo motivo di impugnazione si denuncia vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità in capo al ricorrente relativamente all’estorsione di cui al capo 3) di imputazione.
Rileva il difensore che la partecipazione alla riunione del 7 ottobre 2016 di NOME era del tutto casuale (come emergente dalle conversazioni intercettate tra COGNOME e COGNOME non a conoscenza di detta circostanza), motivata dalla circostanza che suo figlio NOME già all’epoca lavorava nella sicurezza della RAGIONE_SOCIALE (dopo esserne stato custode ancor prima dell’entrata in funzione della stessa) e che, quindi, il suddetto, con la sua partecipazione, mirava solo a salvaguardare il lavoro del proprio figlio. Osserva che, comunque, la riunione aveva come unica finalità quella di non sottostare alle richieste estorsive provenienti da altro RAGIONE_SOCIALE malavitoso (COGNOME), essendo lo stesso NOME COGNOME socio di fatto nell’attività commerciale oggetto delle attenzioni del RAGIONE_SOCIALE. Lamenta che, con riferimento alla posizione di COGNOME, i Giudici dell’appello ritengono non provato il ruolo di socio occulto di COGNOME nell’attività commerciale, diversamente da quanto esamiNOME con riguardo alle posizioni di COGNOME e COGNOME.
3.2 Col secondo motivo di ricorso si denuncia omessa motivazione circa la denegata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Si osserva che l’imputato ha reso ampia confessione sulla sua partecipazione associativa e comunque ha avuto un ruolo marginale nelle condotte contestate. Elementi, questi, che avrebbero imposto il riconoscimento delle suddette attenuanti.
3.3. Il difensore deposita motivi nuovi, con i quali ripercorre il primo motivo di impugnazione e richiama la sentenza menzionata nei motivi nuovi di COGNOME, di assoluzione degli originari coimputati che avevano optato per il rito ordinario.
La difesa insiste, alla luce dei suddetti motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata e per l’emissione di ogni provvedimento consequenziale.
Propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite l’AVV_NOTAIO.
4.1. Con il primo motivo di impugnazione si deducono violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ci si duole che i Giudici dell’appello abbiano negato la concessione di dette circostanze sulla base della gravità in astratto del delitto contestato e dei precedenti penali, senza considerare l’ammissione delle proprie responsabilità da parte del ricorrente, ritenendola dettata da mere ragioni utilitaristiche.
4.2. Col secondo motivo di ricorso si rilevano violazione dell’art. 133 cod. pen. e vizio di motivazione.
Si osserva che la Corte territoriale ritiene apoditticamente congrua la pena determinata.
4.3. Col terzo motivo di impugnazione vengono lamentati vizio di motivazione e violazione dell’art. 81 cod. pen.
La difesa rileva che il mancato riconoscimento della continuazione tra i fatti di cui al presente procedimento e quelli della sentenza in data 5 luglio 2019 si basa sulla distanza temporale tra tali fatti, pur avendo poi la Corte territoriale, in modo contraddittorio, posto a fondamento della responsabilità degli imputati le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, ristretto già nel 2012, e avendogli attribuito piena valenza probatoria in ordine alle dinamiche dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e alla serie indeterminata di reati riconducibili al programma della stessa.
Il difensore insiste, alla luce dei suddetti motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata.
Ricorre, altresì, per cassazione NOME COGNOME, con atto a firma dell’AVV_NOTAIO.
5.1. Con il primo motivo di ricorso vengono dedotti violazione dell’art. 416-bis cod. pen. in relazione agli artt. 192 e 533 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova e all’accertamento della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio.
Si rileva che l’affermazione della responsabilità di COGNOME per il delitto associativo viene fondata dai Giudici di merito, oltre che sugli esiti dell’attività di intercettazione, sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME, il quale, essendosi pentito nel gennaio 2015 dopo essere stato ristretto dall’aprile 2012 e non avere avuto da quella data rapporti con appartenenti al clan mafioso (come dal medesimo
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altresì ammesso), nulla avrebbe potuto riferire circa i fatti di contestazione occorsi tra giugno e febbraio 2017, tant’è che le sue informazioni sono de relato da un certo NOME oltre che scarne (facendo riferimento unicamente alla gestione da parte del medesimo col fratello di una piazza di spaccio) e senza dubbio non tali da consentire la ricostruzione dell’organigramma e dei ruoli dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per cui si procede.
Osserva, inoltre, il difensore che: – le argomentazioni della sentenza di appello, secondo cui le risultanze dell’attività captativa avrebbero confermato l’impianto accusatorio, sono frutto di travisamento probatorio, rilevando a tale riguardo che il fatto, emerso dalle intercettazioni, che COGNOME frequentasse sporadicamente COGNOME e il dato oggettivo di essere cugino di COGNOME non sono dotati di pregnanza probatoria; – non è chiaro che quando si parla di “NOME” ci si riferisca a COGNOME; – nessuna delle conversazioni è espressiva della messa a disposizione dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da parte di COGNOME, anzi piuttosto del contrario (episodio del tentato attentato ai danni di COGNOME).
5.2. Col secondo motivo di impugnazione si rilevano violazione dell’art. 416-bis, comma quarto, cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione dell’aggravante dell’RAGIONE_SOCIALE armata.
Lamenta il difensore che nel caso di specie difetterebbe l’accertamento circa la disponibilità di armi da parte dei coimputati e che la natura armata dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sarebbe frutto di mera congettura.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso vengono denunciati violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Ci si duole che la Corte territoriale abbia negato la concessione di dette attenuanti sulla base dell’esistenza di precedenti penali a carico dell’imputato e della ritenuta gravità in astratto del delitto contestato, senza tenere in considerazione la personalità del suddetto.
5.4. Col quarto motivo di impugnazione la difesa lamenta violazione degli artt. 133 e 81 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al trattamento sanzioNOMErio.
Rileva che i Giudici di appello hanno apoditticamente ritenuto congrua la pena inflitta anche come aumento per la continuazione, che essendo stato ridotto per il rito partiva da anni sei e quindi da una misura superiore alla metà della pena inflitta per il reato ritenuto più grave,
discostandosi dal minimo legale (di un terzo ex art. 81, comma quarto, cod. pen.) senza motivare in merito a tale determinazione.
5.5. Con il quinto motivo di ricorso si deducono violazione dell’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla determinazione del reato più grave ai fini della continuazione.
Ha errato, secondo la difesa, la Corte di appello di Catania nel ritenere più grave il reato associativo di cui alla precedente condanna, per il quale veniva inflitta la pena di anni undici e mesi otto di reclusione, in quanto la pena da irrogarsi nel presente procedimento veniva determinata dal primo Giudice nella misura di anni otto in considerazione del rito, partendo, quindi, da una pena base di anni dodici di reclusione, più elevata.
Il difensore, alla luce dei suddetti motivi, insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
Propone, infine, ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, NOME COGNOME.
6.1. Con il primo motivo di impugnazione vengono eccepiti violazione dell’art. 81 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine all’esclusione dell’unicità del disegno criminoso con riferimento ai reati già giudicati con sentenza della Corte di appello di Catania in data 7/05/2019, definitiva il 10/12/2020.
Ci si duole che la Corte territoriale non abbia riconosciuto l’invocata continuazione, per la distanza temporale tra i reati, per le diverse modalità di realizzazione e finalità ad essi sottese, quando, invece, si tratta di distacco temporale limitato e in un contesto associativo e di reati omogenei commessi con le stesse finalità, da parte di un soggetto ben integrato nel suddetto contesto, quale COGNOME, uomo di fiducia di NOME COGNOME. Si rileva che: – la stessa informativa di reato della Squadra Mobile di Catania, versata con i relativi allegati nel processo in esame, dedica un capitolo specifico alle connessioni tra il presente procedimento e quello definito; – l’imputato certamente già dal novembre 2014, epoca di commissione dei reati già giudicati, non poteva non far parte del RAGIONE_SOCIALE capeggiato da COGNOME; – la sentenza divenuta irrevocabile evidenzia proprio lo stretto legame tra COGNOME, COGNOME e COGNOME.
6.2. Col secondo motivo di ricorso ci si duole del vizio di motivazione per mancato riconoscimento del vincolo della continuazione al ricorrente
rispetto a quanto affermato in relazione ad altro imputato che ne ha beneficiato.
Lamenta il difensore che per NOME COGNOME è stata riconosciuta la continuazione con i reati di precedente giudicato, nonostante un lasso temporale di ben sei anni, e che, nell’ottica dei Giudici di appello, NOME, a distanza di soli due anni, avrebbe commesso estorsioni fuori del contesto associativo di appartenenza, per fini meramente personali.
6.3. Col terzo motivo di impugnazione si deducono violazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Corte di appello, secondo la difesa, avrebbe confermato il mancato riconoscimento delle generiche senza considerare la prova di effettiva resipiscenza offerta dall’imputato, non solo per l’ammissione di responsabilità e la rinuncia ai motivi relativi alla responsabilità ma anche per il comportamento positivo tenuto in carcere, come attestato con le certificazioni prodotte all’udienza di discussione. Ci si duole che, invece, dette circostanze siano state riconosciute a chi ha optato per il patteggiamento nonostante il curriculum giudiziario più grave.
6.4. Col quarto motivo di ricorso si denunciano violazione dell’art. 133 cod. pen. e omessa motivazione in ordine ai criteri di determinazione della pena in concreto irrogata all’imputato, senza dubbio eccessiva alla luce dei risalenti precedenti penali e della positività della sua condotta.
Osserva la difesa che la Corte territoriale si limita a rilevare che la pena inflitta dal primo Giudice è congrua e a non fornire risposta alla doglianza difensiva su un aumento di pena in continuazione per la tentata estorsione eccessivo rispetto a quelli operati nei confronti degli altri imputati per la stessa fattispecie o fattispecie simili.
6.5. Il difensore presenta motivi nuovi, con i quali ripercorre i motivi di ricorso.
La difesa alla luce dei suddetti motivi insiste per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Parzialmente fondato è il ricorso di NOME COGNOME. Fondato è quello di NOME COGNOME.
1.1. Fondati sono il primo motivo del ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, nel quale deve ritenersi assorbito il motivo sull’aggravante RAGIONE_SOCIALE dell’estorsione, nonché i motivi aggiunti che ad esso si ricollegano, il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME e i motivi nuovi ad esso connessi.
I difensori, dopo avere fatto leva nei rispettivi primi motivi di impugnazione sull’insussistenza nel caso in esame di un’estorsione ambientale, per l’assenza di una coercizione psichica nei confronti dei titolari della RAGIONE_SOCIALE che, in quanto non soddisfatti del servizio di sicurezza riconducibile al clan RAGIONE_SOCIALE, avevano sollecitato l’intervento di COGNOME, il quale, peraltro, aveva un interesse di fatto nell’attività commerciale (lamentando, quindi, le difese il mancato approfondimento dell’iniziativa della riunione presso la RAGIONE_SOCIALE e del ruolo di COGNOME nella società cui è riconducibile detta RAGIONE_SOCIALE), nei rispettivi motivi nuovi danno atto, documentandola tramite allegazione della relativa sentenza, dell’assoluzione degli originari coimputati di COGNOME COGNOME che avevano optato per il rito ordinario e precisamente di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
All’odierna udienza è, poi, stata prodotta un’attestazione in data 16/10/2023 della Procura della Repubblica di Catania relativa alla mancata impugnazione di detta sentenza, divenuta, quindi, nelle more irrevocabile.
Tanto premesso, va osservato che nel giudizio di legittimità è consentita l’acquisizione di una sentenza irrevocabile quando non sia stato possibile produrla nei precedenti gradi di giudizio, ma la stessa non può, tuttavia, essere oggetto di valutazione ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., imponendosi l’annullamento con rinvio della pronuncia impugnata al fine di permettere una riconsiderazione nel merito del quadro probatorio, ferme restando le preclusioni processuali già maturate (Sez. 6, n. 13461 del 22/02/2023, COGNOME, Rv. 284473: fattispecie in cui la produzione innanzi alla Corte della sentenza assolutoria definitiva nei confronti di terzi era intesa a sollecitare la verifica della credibilità soggettiva di un collaboratore di giustizia, le cui propalazioni accusatorie erano state ritenute inattendibili nel procedimento definito e che aveva deposto, in quello pendente, su un dato d’accusa portante).
Nel caso in esame l’assoluzione risulta intervenuta per insussistenza del fatto ed è fondata su argomentazioni scevre da vizi giuridici e non
manifestamente illogiche (vedi p. 94-96 della sentenza prodotta), che muovono dal legame sentimentale di NOME COGNOME con NOME COGNOME, socia di maggioranza della società RAGIONE_SOCIALE che gestiva la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, e dal coinvolgimento del suddetto da parte della donna nella gestione della RAGIONE_SOCIALE, nonché dal fatto che COGNOME non si impose, ma fu coinvolto da COGNOME, gestore della RAGIONE_SOCIALE e all’epoca compagno della COGNOME, e da quest’ultima a subentrare nella gestione del servizio di sicurezza, tanto da considerare tale gestione e il suo rapporto con la suddetta società una “cosa sua” e conseguentemente da non volere dividere i proventi con i sodali (come da conversazioni intercettate).
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata nei confronti di NOME COGNOME e NOME NOME limitatamente al delitto di estorsione di cui al capo 3), dovendosi, invero, la Corte territoriale confrontare con la assoluzione irrevocabile degli originari coimputati per insussistenza del fatto.
1.2. Fondato è, altresì, il terzo motivo del ricorso di COGNOME in relazione al mancato riconoscimento della continuazione tra il delitto di cui al capo 1) e quello di cui all’art. 416-bis cod. pen. (commesso fino ad aprile 2010) giudicato con la sentenza della Corte di appello di Catania del 7 maggio 2019.
Invero, la Corte territoriale fa leva, ai fini dell’esclusione della continuazione, sul lasso temporale intercorrente tra la commissione del primo reato e quello di cui al capo 1) dell’impugnata sentenza e ritiene non ragionevolmente presumibile, anche in ragione della successiva restrizione in carcere, che l’appellante già nel 2010, anzi nel momento in cui si determinava a far parte del sodalizio, avesse in animo di far parte dell’RAGIONE_SOCIALE per un così ampio arco temporale.
E ciò in contrasto non solo con il concetto di affectio societatis ossia della volontà di far parte (sine die) dell’RAGIONE_SOCIALE, ma anche con l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il vincolo della continuazione non è incompatibile con la commissione di reati permanenti la cui consumazione sia frammentata da eventi interruttivi costituiti da fasi di detenzione o da condanne; e secondo cui, se in genere è vero che eventi imprevedibili come la detenzione o la condanna determinano una frattura che impedisce il mantenimento dell’identità del disegno criminoso che caratterizza la continuazione, questo può non essere vero in contesti delinquenziali come quelli determinati dalle associazioni di stampo
mafioso nei quali periodi di detenzione o condanne definitive sono accettate dai sodali come prevedibili eventualità, con la conseguenza che in tali casi il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad una RAGIONE_SOCIALE di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva all’evento interruttivo trova la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio (Sez. 6, n. 8851 del 13/03/1997, COGNOME, Rv. 209118).
Peraltro, la sentenza impugnata sul punto entra in contraddizione col riconoscimento (a p. 31) – che comunque dà atto del notevole intervallo temporale ravvisabile anche in questo caso – in favore di NOME COGNOME del vincolo della continuazione tra la partecipazione all’RAGIONE_SOCIALE di cui al capo 1) e il delitto di partecipazione associativa RAGIONE_SOCIALE commesso sempre fino al 2010, giudicato con sentenza del 26 marzo 2018 dalla Corte di appello di Catania.
Tali carenze e/o contraddizioni motivazionali impongono anche sul punto l’annullamento con rinvio.
1.3. Fondato è, infine, il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME.
Invero, pur dando atto in premessa (a p. 7) del relativo motivo di appello, la Corte territoriale non argomenta in alcun modo sulla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche invocate.
1.4. Infondato, ai limiti dell’inammissibilità in quanto rivalutativo, è, invece, il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME, in cui ci si duole del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e comunque del severo trattamento sanzioNOMErio, nonostante la completa ammissione di responsabilità da parte di COGNOME.
Scevre da vizi logici e giuridici sono, invece, le argomentazioni della Corte di appello di Catania sul trattamento sanzioNOMErio, in cui si evidenzia che: – non sussiste alcun elemento processuale di segno positivo che possa giustificare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche nei confronti di COGNOME; – anche i precedenti penali dell’imputato delineano una personalità già incline alla commissione di reati; – i fatti presentano, poi, un indice di grave offensività legato alle modalità esecutive della condotta, trattandosi di fatti estremamente gravi e tesi ad inquinare le attività commerciali lecite; – il primo Giudice ha individuato una pena base di poco superiore al minimo edittale in ragione
del grave disvalore penale della fattispecie e del marcato allarme sociale che tali reati destano nella collettività.
Deve, invero, osservarsi che la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugNOME.
Infondati sono, invece, i ricorsi proposti nell’interesse di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
2.1. Nel complesso infondato è il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME.
2.1.1. Inammissibili sono i primi due motivi di impugnazione in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e comunque al trattamento sanzioNOMErio operato.
Quanto al primo profilo, la Corte territoriale, pur dando atto della confessione dell’imputato, rileva come la stessa sia dettata da mere ragioni utilitaristiche e non espressiva di effettiva resipiscenza, oltre ad essere giunta quando nei confronti del medesimo erano raggiunte prove 5l)A, inconfutabili della ketge responsabilità penale. Ritiene, pertanto, di confermare la decisione del primo Giudice, atteso che non emerge dagli atti alcun elemento che consenta l’applicazione del beneficio richiesto e dovendosi evidenziare, inoltre, la gravità dei fatti, il ruolo ricoperto dal suddetto e la perseveranza dello stesso nella commissione di reati di estrema gravità come desumibile dal certificato del casellario giudizio.
Di contro, il motivo di ricorso insiste aspecificamente sull’ammissione delle proprie responsabilità da parte del ricorrente, sollecitando nel contempo una non consentita riconsiderazione di elementi fattuali.
Quanto al profilo del trattamento sanzioNOMErio, la Corte di appello di Catania ritiene infondato il motivo afferente l’entità della pena inflitta, che, invece, considera congrua in relazione ai fatti ascritti che destano per il loro numero, per la loro natura e per la loro gravità un particolare allarme sociale nella collettività. Considera, inoltre, congrua rispetto alla condotta complessivamente valutata la pena inflitta per il reato ritenuto
più grave (partecipazione associativa), avuto contezza della non minimale gravità dei fatti e della personalità dell’imputato (plurirecidivo), come anche la pena applicata in continuazione.
Manifestamente infondato è, di contro, il rilievo difensivo che lamenta un’apoditticità insussistente.
2.1.2. Infondato è, invece, il terzo motivo di ricorso.
A fronte della richiesta di COGNOME (e di COGNOME) di unificazione dei reati oggetto del presente procedimento con quelli giudicati (per entrambi gli imputati) dalla Corte di appello di Catania con sentenza resa in data 5 luglio 2019 (estorsione in concorso continuata pluriaggravata anche ex art. 7 I. n. 203 del 1991 commessa fino al novembre 2014), la Corte a qua ritiene insussistente un’unica deliberazione a fondamento di detti reati. Valorizza, a tale riguardo, sia il dato relativo al marcato lasso di tempo (quasi due anni) tra la commissione di quest’ultimo reato e quelli oggi in esame, sia le concrete modalità di realizzazione dei reati estorsivi (violazioni omogenee), sia le diverse finalità dei medesimi. Rileva, quanto a quest’ultimo profilo, che la tentata estorsione oggi in esame è stata contestata come aggravata perché realizzata con l’utilizzo di espressioni tipiche delle associazioni mafiose, mentre le estorsioni già giudicate risultano aggravate dall’avere agito al fine di agevolare l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di appartenenza.
Tale essendo l’iter motivazionale percorso dalla Corte di merito, non manifestamente illogico e giuridicamente corretto, le doglianze difensive si rivelano infondate.
2.2. Infondato nel complesso è anche il ricorso di NOME COGNOME.
2.2.1. Infondate sono le censure di cui al primo motivo di impugnazione.
E ciò a fronte delle argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici della sentenza in esame.
La Corte di appello di Catania, sul rilievo difensivo secondo cui il collaboratore NOME COGNOME, essendosi pentito nel 2015, nulla avrebbe potuto riferire sui fatti oggetto di contestazione, occorsi tra giugno 2016 e febbraio 2017, osserva che, avendo il collaborante rivestito ruoli di primo piano all’interno del RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE fino alla sua restrizione, era a conoscenza dell’intero organigramma e dei ruoli ricoperti da ognuno dei partecipanti, almeno fino all’inizio della sua collaborazione, permettendo in tal modo di individuare coloro che almeno fino all’anno 2015 erano già associati al RAGIONE_SOCIALE criminale. Aggiunge che COGNOME, a proposito di COGNOME,
dopo averlo riconosciuto in fotografia, ha affermato che il medesimo, per come gli era stato riferito da tale NOME, amico di NOME COGNOME detto “NOME“, e poi da quest’ultimo, gestiva, insieme al fratello NOME, una piazza di spaccio e faceva parte del RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE, organizzato da NOME COGNOME; e che tale dato costituisce elemento dal quale desumere l’affiliazione di COGNOME al clan mafioso già in periodo antecedente ai fatti in questione, da valutare come antefatto rispetto agli altri dati probatori e in particolare alle captazioni ambientali e telefoniche, queste sì relative al periodo in contestazione, costituenti l’asse portante della sentenza di condanna di primo grado.
Osserva detta Corte che gli esiti del servizio di osservazione effettuato in data 29 dicembre 2016, documentanti il fatto che COGNOME si recasse in compagnia di COGNOME presso l’abitazione di altro sodale, NOME COGNOME, lungi dall’essere dato neutro come opiNOME dalla difesa, se letti alla luce delle intercettazioni ambientali antecedenti e successive all’incontro, comprovano l’inserimento del ricorrente nel sodalizio. Rileva, quindi, che: – dalla conversazione antecedente all’incontro delle ore 17,44 dello stesso giorno i due discutevano del comportamento di NOME COGNOME verso alcuni altri sodali, tra i quali lo stesso COGNOME, e di seguito di una conversazione avvenuta, in prossimità delle feste natalizie tra quest’ultimo e NOME COGNOME, ritenuto elemento di spicco del clan COGNOME; – successivamente all’incontro con COGNOME i due si soffermavano a discutere delle tensioni esistenti all’interno del RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE e in particolare COGNOME confidava al suo interlocutore la sua insofferenza nei riguardi di NOME COGNOME, contestandone la condotta e esprimendo la sua vicinanza al di lui padre detenuto; – si trattava di argomenti coinvolgenti le dinamiche interne del RAGIONE_SOCIALE, che non potevano che essere affrontati da personaggi intranei all’RAGIONE_SOCIALE ben a conoscenza delle tensioni venutesi a creare; – significativa risulta, poi, la conversazione del 13/10/2016 intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel corso della quale emergeva che il primo si sarebbe lamentato con COGNOME del comportamento di COGNOME in tema di ritardato o omesso versamento nella cassa comune dei proventi dell’estorsione e nell’occasione, per quanto riportato da COGNOME, COGNOME lo avrebbe autorizzato a prendere adeguate misure (“vacci cercalo fai quello che vuoi”); – altrettanto significativa è la conversazione n. 5158 intercorsa tra COGNOME e COGNOME, in cui quest’ultimo rivolgendosi al primo e riferendosi a NOME COGNOME affermava “ora ha mollato a noi ed
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ha preso NOME COGNOME” ; – significativa dell’intraneità di COGNOME al RAGIONE_SOCIALE è ancora la conversazione n. 5244 del 15.12.2016, in cui COGNOME parla dell’intenzione di COGNOME di transitare nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei COGNOME e del conseguente pericolo di indebolimento del clan di appartenenza, a riprova della contiguità del ricorrente alle vicende e alle dinamiche del sodalizio di cui al capo 1); – quanto emerso dall’intercettazione circa il mancato intervento di COGNOME in soccorso di COGNOME, seppure sollecitato da NOME COGNOME, in occasione di un tentato agguato nei confronti dello stesso COGNOME, lungi dal dimostrare l’estraneità del ricorrente al clan per non essere immaginabile un rifiuto di obbedienza, evidenzia ancora una volta la spaccatura creatasi all’interno del clan tra il RAGIONE_SOCIALE comprendente COGNOME, COGNOME e COGNOME da un lato e COGNOME, COGNOME e COGNOME dall’altro, tanto che COGNOME facendosi forte del legame parentale con NOME COGNOME e del pessimo rapporto tra COGNOME e COGNOME poteva permettersi di contravvenire a quanto richiestogli; – nessun rilievo può, poi, attribuirsi alla circostanza che nei predisposti servizi di osservazione e controllo sia mai stata accertata la presenza di COGNOME o la sua frequentazione con altri sodali; – il rapporto tra i sodali e COGNOME, come ampiamente desumibile dalle intercettazioni, oltre ad essersi prolungato nel tempo, non può qualificarsi come semplice compiacenza, dovuta a ragioni di parentela o di semplice disponibilità nei confronti dei singoli, ma come concreto contributo al rafforzamento e al consolidamento del RAGIONE_SOCIALE sul territorio.
2.2.2. Infondata è anche la doglianza di cui al secondo motivo di ricorso sulla mancata esclusione dell’aggravante dell’RAGIONE_SOCIALE armata, in relazione alla quale ampiamente e logicamente argomenta la Corte di merito.
Osserva, invero, con riguardo alla disponibilità di armi da parte degli associati, che: – nessun dubbio sussiste sulla circostanza che alla riunione del 7 ottobre 2016 COGNOME si sia presentato armato (come da conversazioni in tale data nn. 2829 e 2832); – la disponibilità di armi in capo all’RAGIONE_SOCIALE trova ulteriore conferma nel colloquio captato all’interno del carcere di Rossano Calabro tra NOME COGNOME e il figlio NOME, nel corso del quale si faceva riferimento ad un contrasto insorto tra lo stesso NOME e il fratello NOME con altri soggetti e nel corso del quale questi ultimi erano fuggiti impauriti per avere notato, per come comunicato gestualmente da NOME al padre, che i fratelli erano armati; costituisce riprova sempre di detta disponibilità anche la conversazione
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tra COGNOME e COGNOME del 15 dicembre 2016 e in particolare la circostanza che in occasione dell’incontro (oggetto della discussione) tra COGNOME e COGNOME quest’ultimo avesse fatto in modo da dimostrare di essere disarmato, a riprova di come fosse nota la sua abitudine di girare armato; – è provato dalla conversazione tra COGNOME e la moglie del 16 dicembre 2016, in cui il primo parlava dei contrasti sorti all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE, che anche COGNOME detenesse un’arma, facendosi riferimento all’eventualità, ove necessario, “di prendere quella cosa” e mettersela addosso.
Tanto premesso sulla disponibilità di armi in capo ad alcuni associati, per conto dell’RAGIONE_SOCIALE o per favorirne l’attività, la Corte ritiene corretta la configurazione della contestata aggravante che, avendo natura oggettiva, è applicabile nei confronti degli associati che siano personalmente consapevoli del possesso di armi da parte della consorteria o lo ignorino per colpa, come appunto COGNOME, essendone acclarato l’inserimento nel RAGIONE_SOCIALE di San RAGIONE_SOCIALE, inglobato nel clan mafioso COGNOME – COGNOME, che (come documentato da numerosissime sentenze passate in giudicato) risulta avere sempre goduto della disponibilità di armi.
2.2.3. Inammissibile, per genericità e aspecificità, è il terzo motivo sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
A fronte, invero, di una motivazione della sentenza impugnata che ritiene condivisibile la decisione del primo Giudice, facente leva sulla gravità dei fatti, sul ruolo rivestito dall’imputato nel contesto associativo e sui suoi precedenti penali, e non sopraggiunti né indicati nuovi elementi di valutazione in grado di modificarla.
2.2.4. Infondato è, invece, il quarto motivo di ricorso, in cui ci si duole di un eccessivo aumento di pena per la continuazione in assenza di adeguata motivazione.
E ciò a fronte di una motivazione che, individuando un aumento di pena per i fatti del presente processo in anni quattro di reclusione, lo argomenta con particolare riferimento alla personalità dell’imputato, alla estrema gravità del fatto complessivamente considerato e al marcato allarme che le condotte poste in essere suscitano nella collettività.
2.2.5. Infondato è, infine, il quinto motivo di impugnazione.
Invero, nell’individuazione del reato più grave ai fini della continuazione, la Corte di appello di Catania non era in alcun modo vincolata alla valutazione del primo Giudice e alla condanna inflitta dallo
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stesso in ordine al reato per cui si procede, rispetto alla quale poteva muoversi autonomamente come ha fatto, ritenendo più grave la fattispecie associativa già oggetto di giudicato con la sentenza del 26 marzo 2018 della Corte di appello di Catania, avuto riguardo anche alla maggiore durata della condotta delittuosa.
2.3. Infondato è nel complesso anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME, come altresì supportato dai motivi nuovi. ,
2.3.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione.
Si richiamano le considerazioni svolte per l’identico motivo di ricorso proposto da COGNOME in relazione all’unico congiunto percorso motivazionale seguito dalla Corte.
2.3.2. Inammissibile, per manifesta infondatezza e aspecificità, è il secondo motivo di ricorso in cui ci si duole del diverso più favorevole trattamento riservato a COGNOME, per il quale la riconosciuta continuazione con il fatto già oggetto di giudicato riguarda due partecipazioni associative, ipotesi ben diversa da quella in esame su cui ampiamente e logicamente argomenta la Corte territoriale.
2.3.3. Inammissibili, infine, sono il terzo e il quarto motivo di ricorso. Si richiamano le considerazioni svolte per le identiche censure sollevate da COGNOME in relazione all’unico congiunto percorso motivazionale seguito dalla Corte.
Al rigetto dei suddetti ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME limitatamente al delitto di cui al capo 3 nonché, per quanto riguarda COGNOME, anche alla continuazione tra il delitto di cui al capo 1) e quello di cui all’art. 416 bis c.p. giudicato con la sentenza della Corte di appello di Catania del 7 maggio 2019 e, per quanto riguarda COGNOME, anche alle attenuanti generiche, con rinvio per nuovo giudizio
su detto capo e su detti punti ad altra sezione della Corte di appello di Catania.
Rigetta i ricorsi di INDIRIZZO, COGNOME NOME e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2023.