Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 2410 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 2410 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a SAN PIETRO VERNOTICO il 22/09/1979
avverso l’ordinanza del 24/06/2024 del TRIBUNALE di BRINDISI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
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Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. NOME COGNOME Sostituto Procuratoi – e generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto rivolto al Tribunale di Brindisi, in funzione di giudice dell’esecuzione, veniva richiesta, nell’interesse di NOME COGNOME, l’applicazione della disciplina della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in ordine ai reati per i quali costui risultava condannato in forza delle sentenze divenute irrevocabili emesse dalla Corte di appello di Lecce il 4 ottobre 2004 e il 29 gennaio 2020.
Con ordinanza del 24 giugno 2024, il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza sopra indicata, rilevando, fra l’altro, che l’invocata continuazione era stata già esclusa dalla Corte di appello di Lecce nell’emettere la citata sentenza del 29 gennaio 2020.
La difesa dell’interessato ha proposto ricorso per cassazione, con atto articolato in due motivi volti ad ottenere l’annullamento della menzionata ordinanza del Tribunale di Brindisi.
3.1. Con il primo motivo, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., deduce sia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 ; comma 1, cod. proc. pen., sia vizi della motivazione.
La difesa afferma che il giudice dell’esecuzione ha errato nel ritenere che il giudice della cognizione avesse escluso !a continuazione, perché in realtà la Corte di appello di Lecce – nella ripetuta sentenza di cognizione del 29 gennaio 2020 aveva rilevato il mancato assolvimento, da parte della difesa, dell’onere di produrre al giudice della cognizione tutti gli elementi sui quali la richiesta riconoscimento della continuazione era fondata. Il giudice dell’esecuzione, poi, aveva espresso proposizioni confliggenti nell’affermare, per un verso, che il giudice della cognizione non disponesse «di elernent:i specifici» e, per altro verso, che «il giudice della cognizione ha esaminato approfonditamente la questione». Peraltro, .£ la Corte di appello aveva rilevato la mancanza di elementi utili anche con riguard alla posizione speculare di un coimputato, e ciò non aveva impedito il riconoscimento, in sede esecutiva, della continuazione in suo favore.
3.2. Con il secondo motivo, la difesa, richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc.. COGNOME deduce ; ancora, sia inosservanza ed erronea applicazione
della legge penale, con riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671, comma 1, cod. proc. pen., sia vizi della motivazione.
La difesa afferma che i giudice dell’esecuzione ha errato nel negare la novità delle questioni poste a sostegno della richiesta propostagli di riconoscimento della continuazione, perché, in realtà, l’istante non si era limitato a richiamare elementi contenuti nelle due sentenze di appello, come affermato nell’ordinanza impugnata, ma aveva offerto numerosi elementi ulteriori e aveva fatto riferimento anche a dati che in precedenza non erano staU esaminati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. L’art. 671, comma 1, cod. proc. pen., stabilisce che, nel caso di più sentenze o decreti penali divenuti irrevocabili pronunciati in procedimenti distinti contro la stessa persona, il condannato o il pubblico ministero possono chiedere al giudice dell’esecuzione l’applicazione della disciplina del concorso formale e del reato continuato «sempre che la stessa non sia stata esclusa dal giudice della cognizione».
1.2. Nel caso concreto ora in esame, l’ordinanza de! giudice dell’esecuzione impugnata riporta un ampio brano della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce il 29 gennaio 2020, e la corrispondenza del riporto al contenuto di tale sentenza è pacifico.
Dal brano emerge che Corte di appello di Lecce, giudice della cognizione, rigettò l’istanza di riconoscimento del vincolo della continuazione in relazione all’istanza di riconoscimento della continuazione avanzata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento ai reati ivi giudicati e ai reati giudicati con l’alt sentenza sopra menzionata, emessa dalla stessa Corte di appello il 14 ottobre 2004, e affermò, prima di esporre una congrua serie di ulteriori considerazioni specifiche, che «… Va disattesa, altresì, la istanza di riconoscimento dei vincolo della continuazione tra i reati odiernamente giudicati e quelli di cui [a l la sentenza della Corte d’appello di Lecce in data 17.10.2004. Deve rilevarsi che l’unico elemento comune è la medesima tipologia di reato di reati: in entrambi i casi, infatti, egli risulta responsabile del reato associativo mafioso e del reato di traffi di sostanze stupefacenti. Va rilevato però che difetta ogni altro elemento per ritenere che i fatti fossero convinti dal medesimo disegno criminoso…».
In tale situazione, il Tudice dell’esecuzione non poteva esaminare nuovamente la questione rqlativa aWinvocata continuazione, per l’assorbente ragione che la norma sopra Lchiamata preclude la rinnovazione di ogni valutazione in proposito. 4
È superfluo, pertanto, ‘esame di ogru ulteriore censura formulata nel ricorso per cassazione.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in applicazione dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma indicata nel seguente dispositivo alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere – alla stregua del principio di diritto affermato da Corte cost. n. 186 del 2000 – la ricorrenza dell’ipotesi della colpa nella proposizione dell’impugnazione..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile H ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 9 ottobre 2024.