Continuazione Reato: La Cassazione Sottolinea la Necessità di una Prova Rigorosa
L’istituto della continuazione reato è uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento penale, volto a mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che per ottenere tale beneficio non basta la semplice somiglianza tra i crimini, ma occorre una prova concreta e rigorosa del disegno criminoso unitario. Vediamo nel dettaglio la vicenda.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato con tre distinte sentenze. Quest’ultimo si era rivolto al Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Sassari, in funzione di giudice dell’esecuzione, per chiedere il riconoscimento del vincolo della continuazione reato tra i delitti oggetto delle tre condanne. L’obiettivo era unificare le pene in un’unica, più favorevole, sanzione.
Il giudice dell’esecuzione, tuttavia, respingeva la richiesta. Avverso tale decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione. A suo dire, il giudice di merito non aveva adeguatamente considerato gli indici che avrebbero dovuto rivelare l’esistenza di un disegno criminoso unitario, quali la commissione dei reati nella medesima località e la loro comune natura fraudolenta.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, il ricorrente non ha sollevato reali vizi di legittimità, ma si è limitato a proporre una lettura alternativa degli elementi di fatto già vagliati dal giudice dell’esecuzione. La Corte ha ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato pienamente adeguata, logica e rispettosa delle risultanze processuali.
Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale in caso di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni: la prova della continuazione reato deve essere specifica
La Corte di Cassazione, nel motivare la sua decisione, ha ribadito principi giurisprudenziali consolidati in materia di continuazione reato. Il punto centrale è che la prova dell’unicità del disegno criminoso non può essere presunta, ma deve emergere da elementi specifici e dotati di un significativo valore probatorio.
Nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato come le condotte fossero distanziate nel tempo e caratterizzate da modalità del tutto disomogenee. Questi elementi rendevano indimostrata l’originaria progettazione unitaria dei comportamenti criminosi. La Cassazione ha sottolineato che, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (sent. n. 28659/2017), non è sufficiente la mera omogeneità dei beni giuridici tutelati o la sequenza delle condotte in un certo arco temporale per affermare la continuazione reato.
Inoltre, la Corte ha precisato un aspetto cruciale: l’identità del disegno criminoso non può essere desunta dal semplice dubbio, in ossequio al principio del favor rei. Questo perché il riconoscimento della continuazione incide sulla certezza del giudicato e, pertanto, richiede un accertamento positivo e non una mera supposizione.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, ribadisce l’onere probatorio a carico di chi richiede l’applicazione della continuazione: è necessario fornire elementi concreti che dimostrino un’unica programmazione iniziale dei vari reati. Indici generici come la stessa natura dei delitti o la stessa area geografica non sono, da soli, sufficienti.
In secondo luogo, viene confermato il ruolo della Corte di Cassazione come giudice di legittimità e non di merito. Non è possibile presentare ricorso per ottenere una semplice rivalutazione dei fatti, se la motivazione del giudice precedente è immune da vizi logici o giuridici.
Infine, la decisione funge da monito: un ricorso basato su argomentazioni fragili e volto a una mera rilettura dei fatti non solo è destinato all’insuccesso, ma comporta anche significative conseguenze economiche per il ricorrente.
Quando può essere riconosciuta la continuazione tra reati?
La continuazione può essere riconosciuta solo quando viene fornita la prova rigorosa di un “medesimo disegno criminoso”, cioè un piano originario che prevedeva la commissione di tutti i reati. Secondo la Corte, non è sufficiente la mera omogeneità dei reati, la loro sequenza temporale o la tutela dello stesso bene giuridico.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente si è limitato a proporre una lettura alternativa degli elementi di fatto già correttamente valutati dal giudice dell’esecuzione. La Corte di Cassazione ha ritenuto che la motivazione del giudice precedente fosse adeguata, logica e priva di vizi, e che il ricorso non sollevasse questioni di legittimità, ma di merito.
Cosa implica la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto della richiesta, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo caso è stata determinata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31948 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31948 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il 06/05/1970
avverso l’ordinanza del 25/03/2025 del GIP TRIBUNALE di SASSARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 23703/2025, con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Sassari, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME per il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., tra i delitti oggetto delle tre sentenze meglio descritte nell’originaria istanza;
Ritenuto che, con unico articolato motivo ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., relativo ad erronea applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. e a vizio di motivazione, si lamenta che il giudice di merito non ha tenuto conto degli indici rivelatori dell’unitario disegno criminoso, poiché i reati erano stati commessi nella medesima località e caratterizzati dalla medesima natura fraudolenta;
che in realtà il ricorrente propone un’alternativa lettura degli elementi già valutati dal giudice dell’esecuzione con adeguata motivazione, immune da fratture logiche e rispettosa delle risultanze;
che il giudice a quo ha specificamente motivato su tutti gli indicatori dell’unicità del disegno criminoso e ha evidenziato l’assenza di elementi specifici dotati di significativo valore probatorio e idonei a dimostrare il prospettato vincolo di continuazione, essendo le condotte distanziate nel tempo e dalle modalità del tutto disomogenee;
che doveva, quindi, ritenersi indimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio, in base ai principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01) e osservarsi che non è sufficiente la mera omogeneità dei beni giuridici tutelati e la sequenza delle condotte in un determinato arco temporale, né l’accertamento dell’identità del disegno criminoso può essere suffragato dal dubbio sulla sua esistenza, in ossequio al principio del “favor rei”, in quanto il riconoscimento della continuazione tra reati incide sulla certezza del giudicato in relazione al profilo della irrogazione della pena (Sez. 1, n. 30977 del 26/06/2019);
che per queste ragioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.