Continuazione Reato: Inammissibile il Ricorso se Generico e volto a Rivalutare i Fatti
Con l’ordinanza n. 46912/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di impugnazioni: il ricorso contro la determinazione della pena in caso di continuazione reato non può limitarsi a una generica contestazione, ma deve evidenziare vizi di legittimità specifici, senza chiedere alla Suprema Corte una nuova valutazione del merito. Vediamo nel dettaglio la vicenda e la decisione dei giudici.
I Fatti del Caso: la Richiesta di Continuazione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato con due distinte sentenze per delitti di narcotraffico e commercializzazione di sostanze stupefacenti. L’interessato si era rivolto alla Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, per chiedere l’applicazione della disciplina della continuazione reato, prevista dall’art. 671 del codice di procedura penale.
Questo istituto permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, come un unico reato continuato, con l’applicazione di un’unica pena calcolata partendo da quella per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.
La Decisione del Giudice dell’Esecuzione e il Ricorso in Cassazione
La Corte d’Appello accoglieva l’istanza, riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati. Tuttavia, nel quantificare la pena, stabiliva un aumento di quattro anni di reclusione. La motivazione di tale aumento si basava su tre elementi specifici:
1. La gravità dei fatti contestati.
2. La natura delle sostanze stupefacenti commercializzate.
3. La sussistenza dell’aggravante mafiosa.
Insoddisfatto della quantificazione dell’aumento, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’entità della pena applicata a titolo di continuazione. La sua censura, però, veniva articolata in termini estremamente generici, risolvendosi in una richiesta di rivalutazione di elementi fattuali già esaminati e ponderati dal giudice dell’esecuzione.
Le Motivazioni della Cassazione sulla continuazione reato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici di legittimità hanno spiegato che il ricorso del condannato seguiva uno “schema non consentito”, poiché mirava a ottenere un nuovo giudizio di merito, attività preclusa in sede di Cassazione.
La Corte ha richiamato il principio consolidato secondo cui l’obbligo di motivazione del giudice sulla misura della pena deve ritenersi adempiuto quando nella sentenza sono indicati gli elementi ritenuti rilevanti ai sensi dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo, ecc.). Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione aveva chiaramente fondato la sua decisione sulla gravità dei fatti e sulla presenza dell’aggravante mafiosa, fornendo una motivazione logica e sufficiente.
Tentare di mettere in discussione tale valutazione, senza indicare specifici vizi di legge o palesi illogicità nella motivazione, si traduce in una richiesta inammissibile di riconsiderazione del merito.
Le Conclusioni: i Limiti del Ricorso contro la Pena
La decisione in esame conferma che la quantificazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Tale discrezionalità può essere sindacata in Cassazione solo se la motivazione è assente, palesemente illogica o contraddittoria, ma non quando l’imputato si limita a contestare l’entità della pena ritenendola eccessiva.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista nei casi in cui l’inammissibilità del ricorso sia determinata da colpa del ricorrente, come nel caso di un’impugnazione palesemente infondata.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato. L’appellante non ha sollevato questioni di legittimità, ma ha richiesto una generica rivalutazione nel merito della quantificazione della pena, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.
Quali elementi ha considerato il giudice per determinare l’aumento di pena per la continuazione?
Il giudice ha basato la sua decisione sulla gravità dei fatti, sulla natura delle sostanze stupefacenti commercializzate e sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa, criteri conformi a quanto previsto dall’articolo 133 del codice penale.
Cosa stabilisce il principio richiamato dalla Corte di Cassazione in tema di motivazione della pena?
La Corte ha ribadito che l’obbligo di motivazione sulla misura della pena è soddisfatto quando il giudice indica gli elementi ritenuti rilevanti e determinanti. Una volta che tale motivazione è fornita in modo logico e coerente, non è possibile contestarla in sede di legittimità semplicemente perché non si condivide l’entità della pena inflitta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46912 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46912 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 07/05/1992
avverso l’ordinanza del 13/06/2024 della CORTE APPELLO dì CATANIA
dato avviso alle parti;
udita Ja relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata con la quale la Corte di appello di Catania, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha raccolto l’istanza di applicazione della disciplina della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME in relazione a due sentenze di condanna per delitti di narcotraffico e commercializzazione di sostanze stupefacenti;
letti i motivi del ricorso;
rilevato, che, in sede di riconoscimento della continuazione il giudice dell’esecuzione ha quantificato la pena a titolo di aumento nella misura di quattro anni di reclusione (previa riduzione per il giudizio abbreviato) motivando la decisione con riferimento alla gravità dei fatti, alla natura delle sostanze stupefacenti commercializzate, alla ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa;
considerato che:
a fronte di tale quantificazione, la censura del ricorrente si articola secondo uno schema non consentito, atteso che tende a sollecitare, in termini, peraltro, estremamente generici una rivalutazione di elementi fattuali già presi ampiamente in considerazione dal giudice dell’esecuzione;
nella determinazione della pena a titolo di aumento in continuazione deve trovare applicazione il principio generale secondo cui «deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena, allorchè siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di tutti i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258410);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso in quanto manifestamente infondato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/11/2024