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Continuazione reato: inammissibile il ricorso generico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato per narcotraffico contro la quantificazione della pena a titolo di continuazione reato. Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato poiché tendeva a una generica rivalutazione dei fatti, già ampiamente considerati dal giudice dell’esecuzione, che aveva motivato l’aumento di pena in base alla gravità dei fatti, alla natura delle sostanze e all’aggravante mafiosa.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reato: Inammissibile il Ricorso se Generico e volto a Rivalutare i Fatti

Con l’ordinanza n. 46912/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di impugnazioni: il ricorso contro la determinazione della pena in caso di continuazione reato non può limitarsi a una generica contestazione, ma deve evidenziare vizi di legittimità specifici, senza chiedere alla Suprema Corte una nuova valutazione del merito. Vediamo nel dettaglio la vicenda e la decisione dei giudici.

I Fatti del Caso: la Richiesta di Continuazione

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato con due distinte sentenze per delitti di narcotraffico e commercializzazione di sostanze stupefacenti. L’interessato si era rivolto alla Corte d’Appello, in qualità di giudice dell’esecuzione, per chiedere l’applicazione della disciplina della continuazione reato, prevista dall’art. 671 del codice di procedura penale.

Questo istituto permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, come un unico reato continuato, con l’applicazione di un’unica pena calcolata partendo da quella per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione e il Ricorso in Cassazione

La Corte d’Appello accoglieva l’istanza, riconoscendo il vincolo della continuazione tra i reati. Tuttavia, nel quantificare la pena, stabiliva un aumento di quattro anni di reclusione. La motivazione di tale aumento si basava su tre elementi specifici:

1. La gravità dei fatti contestati.
2. La natura delle sostanze stupefacenti commercializzate.
3. La sussistenza dell’aggravante mafiosa.

Insoddisfatto della quantificazione dell’aumento, il condannato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando l’entità della pena applicata a titolo di continuazione. La sua censura, però, veniva articolata in termini estremamente generici, risolvendosi in una richiesta di rivalutazione di elementi fattuali già esaminati e ponderati dal giudice dell’esecuzione.

Le Motivazioni della Cassazione sulla continuazione reato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici di legittimità hanno spiegato che il ricorso del condannato seguiva uno “schema non consentito”, poiché mirava a ottenere un nuovo giudizio di merito, attività preclusa in sede di Cassazione.

La Corte ha richiamato il principio consolidato secondo cui l’obbligo di motivazione del giudice sulla misura della pena deve ritenersi adempiuto quando nella sentenza sono indicati gli elementi ritenuti rilevanti ai sensi dell’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo, ecc.). Nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione aveva chiaramente fondato la sua decisione sulla gravità dei fatti e sulla presenza dell’aggravante mafiosa, fornendo una motivazione logica e sufficiente.

Tentare di mettere in discussione tale valutazione, senza indicare specifici vizi di legge o palesi illogicità nella motivazione, si traduce in una richiesta inammissibile di riconsiderazione del merito.

Le Conclusioni: i Limiti del Ricorso contro la Pena

La decisione in esame conferma che la quantificazione della pena è espressione del potere discrezionale del giudice di merito. Tale discrezionalità può essere sindacata in Cassazione solo se la motivazione è assente, palesemente illogica o contraddittoria, ma non quando l’imputato si limita a contestare l’entità della pena ritenendola eccessiva.

Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista nei casi in cui l’inammissibilità del ricorso sia determinata da colpa del ricorrente, come nel caso di un’impugnazione palesemente infondata.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché manifestamente infondato. L’appellante non ha sollevato questioni di legittimità, ma ha richiesto una generica rivalutazione nel merito della quantificazione della pena, un’attività che non rientra nelle competenze della Corte di Cassazione.

Quali elementi ha considerato il giudice per determinare l’aumento di pena per la continuazione?
Il giudice ha basato la sua decisione sulla gravità dei fatti, sulla natura delle sostanze stupefacenti commercializzate e sulla ritenuta sussistenza dell’aggravante mafiosa, criteri conformi a quanto previsto dall’articolo 133 del codice penale.

Cosa stabilisce il principio richiamato dalla Corte di Cassazione in tema di motivazione della pena?
La Corte ha ribadito che l’obbligo di motivazione sulla misura della pena è soddisfatto quando il giudice indica gli elementi ritenuti rilevanti e determinanti. Una volta che tale motivazione è fornita in modo logico e coerente, non è possibile contestarla in sede di legittimità semplicemente perché non si condivide l’entità della pena inflitta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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