Continuazione Reato: Quando più crimini non formano un “disegno unico”
L’istituto della continuazione reato, previsto dal nostro ordinamento, permette di considerare più azioni criminose come un’unica violazione, a patto che siano legate da un medesimo disegno criminoso. Ma come si dimostra l’esistenza di questo disegno in fase esecutiva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri rigorosi da applicare, specialmente quando i reati sono collegati a contesti di criminalità organizzata.
Il Caso in Esame: La Richiesta di Unificazione delle Pene
Un soggetto, già condannato con sentenze definitive per diversi reati, si era rivolto alla Corte di Appello chiedendo il riconoscimento della continuazione reato. L’obiettivo era unificare le pene, ottenendo un trattamento sanzionatorio più favorevole. Due delle condanne erano già state unificate sotto il vincolo della continuazione, ma la richiesta di estendere tale vincolo a un terzo reato è stata respinta.
La Corte territoriale aveva motivato il diniego sottolineando la mancanza di omogeneità tra i fatti. In particolare, uno dei reati non appariva collegato agli altri, essendo scaturito da una discussione familiare e non riconducibile a una programmazione criminale unitaria. Di fronte a questa decisione, il condannato ha proposto ricorso in Cassazione.
La Decisione della Cassazione sulla continuazione reato
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte di Appello. I giudici di legittimità hanno ribadito che, per accertare l’esistenza di un unico disegno criminoso, non basta un generico riferimento all’omogeneità dei reati, soprattutto in fase esecutiva.
Le Motivazioni: Oltre l’Astratta Omogeneità dei Reati
La Corte ha specificato che, quando la continuazione reato viene invocata in relazione a una pluralità di crimini legati a un’organizzazione mafiosa (o a contesti analoghi), è necessaria un’analisi molto più approfondita. Il giudice deve condurre “una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo”.
Questo approccio rigoroso serve ad accertare due elementi fondamentali:
1. L’unicità del momento deliberativo: bisogna provare che tutti i reati sono stati programmati in un unico momento iniziale.
2. La successiva attuazione: si deve dimostrare che i vari crimini sono stati la progressiva realizzazione di quel piano originario.
Nel caso specifico, mancava la prova di questo legame. I reati non erano riconducibili a una preordinazione comune e non emergevano elementi che collegassero le diverse vicende criminose in un unico progetto. Pertanto, il semplice fatto di appartenere a organizzazioni criminali non è sufficiente, di per sé, a dimostrare la continuazione. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa pronuncia rafforza un principio fondamentale: chi invoca la continuazione reato in fase esecutiva ha l’onere di fornire prove concrete e specifiche dell’esistenza di un unico disegno criminoso. Non è sufficiente allegare una generica somiglianza tra i reati. È indispensabile dimostrare che tutte le azioni delittuose sono state concepite come parte di un unico piano, deliberato fin dall’inizio. Questo onere probatorio diventa ancora più stringente quando si tratta di reati maturati in contesti di criminalità organizzata, dove è richiesta un’indagine dettagliata sulla struttura e l’operatività delle associazioni coinvolte.
Quando si può chiedere la continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse?
La continuazione può essere richiesta in fase esecutiva, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, per unificare più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, anche se sono stati giudicati con sentenze irrevocabili diverse.
Perché la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso sulla continuazione reato?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché i reati non erano omogenei sul piano esecutivo e non erano riconducibili a una preordinazione unitaria. In particolare, uno dei reati derivava da una discussione familiare, del tutto scollegata dal contesto degli altri crimini.
Qual è il criterio principale per riconoscere la continuazione in caso di reati legati a organizzazioni criminali?
Non è sufficiente il riferimento all’astratta omogeneità dei reati. Secondo la Corte, occorre una specifica indagine sulla natura, la concreta operatività e la continuità nel tempo delle organizzazioni, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso l’appartenenza del soggetto a tali organizzazioni.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 13491 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 13491 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BRINDISI il 09/06/1987
avverso l’ordinanza del 25/11/2024 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 25 novembre 2024, con cui la Corte di appello di Lecce rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1, 2 e 3 del provvedimento impugnato, gli ultimi due dei quali già unificati dal vincolo invocato.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui ai punti 2 e 3 e quella di cui al punto 1 non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto del fatto che né le vicende criminose sottoposte a unificazione non apparivano collegate al residuo reato, che si concretizzava, come evidenziato a pagina 2 del provvedimento censurato, a causa «di una discussione avvenuta tra l’imputato e i suoi familiari, come dichiarato da questi ultimi ».
Ritenuto che laddove il vincolo della continuazione sia invocato in sede esecutiva con riferimento a una pluralità di reati, collegati a un’organizzazione mafiosa, analogamente al caso di Ciampi, non è sufficiente il riferimento all’astratta omogeneità dei reati, occorrendo «una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni ovvero ad una medesima organizzazione» (Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 271569 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20 marzo 2025.