Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3325 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3325 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CINQUEFRONDI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/03/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette, GLYPH t-e le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso l’ordinanza del 20 marzo 2023 della Corte di appello di Reggio Calabria che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione della disciplina della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., con riguardo:
a vari reati tra i quali il delitto di associazione di tipo mafioso ai sens dell’art. 416-bis cod. pen., commessi ihRosarno e territori limitrofi e in Granarolo dell’Emilia dal 2009 con condotta associativa perdurante, reati giudicati dalla Corte di appello di Reggio Calabria del 5 dicembre 2017, divenuta definitiva;
ai reati di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità materiale commessa dal privato in certificati, ai sensi degli artt. 479, 477 e 482 cod. pen., commessi il 26 agosto 2011 in Rosarno, giudicati dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 19 febbraio 2016, definitiva il 20 giugno 2018.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la Corte di appello di Reggio Calabria, quale precedente giudice dell’esecuzione, aveva già rigettato analoga istanza con ordinanza del 12 marzo 2020, la cui motivazione doveva essere condivisa, anche considerando che l’interessato non aveva allegato alcun elemento di novità idoneo a comprovare la sussistenza del medesimo disegno criminoso tra i sopra indicati reati.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 81, 132, 133 cod. pen. e 671 cod. proc. pen., perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare la sussistenza degli elementi sintomatici del medesimo disegno criminoso, tra i quali la prossimità temporale delle condotte e la finalizzazione mafiosa ex art. 416-bis.1 cod. pen. dei reati di falso.
Il giudice dell’esecuzione, inoltre, avrebbe omesso di considerare che la difesa aveva allegato un elemento di novità, determinato dal fatto che il coimputato di COGNOME NOME nei reati sub 2, COGNOME NOME, aveva ottenuto il riconoscimento del vincolo della continuazione tra tali reati e il reato associativo sub 1.
Secondo il ricorrente, pertanto, il giudice dell’esecuzione, preso atto del fatto che per COGNOME NOME tale riconoscimento non era stato effettuato solo per ragioni processuali, rappresentate dal fatto che – per la sua posizione – il reato associativo era stato stralciato, non si sarebbe potuto limitare a richiamare il
contenuto della precedente ordinanza del 12 marzo 2020, ma avrebbe dovuto fornire sul punto valida e ampia motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova evidenziare in diritto che il principio del ne bis in idem assume portata generale nel vigente diritto processuale penale, trovando espressione nelle norme sui conflitti positivi di competenza (art. 28 cod. proc. pen.), nel divieto di u secondo giudizio (art. 649 cod. proc. pen.) e nella disciplina dell’ipotesi di una pluralità di sentenze per il medesimo fatto (art. 669 cod. proc. pen.). è, quindi, indubbio che anche nel procedimento di esecuzione operi il principio della preclusione processuale derivante dal divieto del bis in idem, nel quale, secondo la giurisprudenza di legittimità, s’inquadra la regola dettata dall’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., che impone al giudice dell’esecuzione di dichiarare inammissibile la richiesta che sia mera riproposizìone, in quanto basata sui «medesimi elementi», di altra già rigettata (Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533).
Nel caso di specie, il ricorrente non si confronta con il provvedimento impugnato, nella parte in cui ìl giudice dell’esecuzione, rilevato che con precedente ordinanza del 12 marzo 2020 era stata già rigettata analoga istanza, ha rilevato l’assenza di elementi di novità non conosciuti dal precedente giudice dell’esecuzione e idonei a comprovare la sussistenza del medesimo disegno criminoso.
Il giudice dell’esecuzione, infatti, ha evidenziato che l’esito del processo di COGNOME NOME non era idoneo a influire la valutazione già offerta con la precedente ordinanza del 12 marzo 2020: secondo il giudicante, la Corte di appello, in mancanza di impugnazione del pubblico ministero non aveva potuto, rivalutare il riconoscimento a COGNOME NOME del vincolo della continuazione tra il reato associativo e i reati di falso effettuato dal giudice di primo grad nonostante in sede di appello fosse venuta meno la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa originariamente contestata.
In ogni caso, il Collegio prende atto che il giudice dell’esecuzione ha fornito una motivazione ineccepibile anche nel momento in cui ha ritenuto che i fatti sub 2 fossero del tutto estranei alle vicende associative, considerando che, con riferimento ai rapporti tra l’associazione per delinquere e i reati fine, l giurisprudenza, pur non escludendo in linea di principio la possibilità del riconoscimento del vincolo della continuazione tra gli stessi, richiede che i reati
fine siano stati programmati nelle loro linee essenziali sin dal momento costitutivo del sodalizio criminoso (Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253).
Non è configurabile, pertanto, la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili ab origine perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, COGNOME Giudice, Rv. 275334-02).
Nel caso di specie, infatti, è stato escluso in modo plausibile che il condannato avesse potuto prefigurarsi, nel momento in cui aveva deciso di aderire all’associazione di tipo mafioso, di dover commettere reatì specificamente diretti al riconoscimento di una figlia naturale che sarebbe stata concepita successivamente, in quanto evento non programmabile nel contesto del delitto associativo.
La Corte, pertanto, ritiene che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente interpretato il parametro normativo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. e, con motivazione né apodittica né manifestamente illogica, abbia fatto esatta applicazione dei suddetti condivisi principi.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 07/11/2023