Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 43762 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 43762 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOMECOGNOME nato a Catania il 3/12/1969 COGNOME NOMECOGNOME nato a Catania l’1/8/1964 avverso la sentenza del 27/6/2023 emessa dalla Corte di appello di Catania visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’Avvocato NOME COGNOME in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME NOME, e dell’Avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME
NOMECOGNOME il quale conclude per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Catania confermava la condanna di NOME COGNOME
e NOME COGNOME in relazione al reato di partecipazione all’associazione di stampo mafioso denominata “clan COGNOME” (capo 1), inoltre, il solo Privitera, veniva condannato anche quale promotore e organizzatore dell’associazione semplice finalizzata all’evasione dell’IVA e delle accise sui carburanti (capo 4).
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati proposti sei motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di due differenti fattispecie associative, non essendo stato riconosciuto l’assorbimento dell’associazione semplice (capo 4) in quella di stampo mafioso (capo 1).
Osserva il ricorrente che l’attività svolta dall’associazione finalizzata all’evasione dell’IVA e delle accise sui prodotti petroliferi era svolta con metodi tipicamente mafiosi, sicchè non era corretta la contestazione della sola aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., dovendosi piuttosto ritenere che l’intera attività del sodalizio rientrasse appieno nel più ampio campo di azione dell’associazione mafiosa denominata “clan COGNOME“.
Riprova della sostanziale coincidenza delle due associazioni sarebbe desumibile dal tempus commíssi delicti, posto che il periodo della contestazione indicato con riguardo alle due associazioni è in gran parte sovrapponibile.
In relazione all’associazione mafiosa è stata contestata la finalità di acquisire attività economiche e, quindi, si indica un campo di operatività perfettamente compatibile con l’oggetto dell’associazione semplice.
Infine, anche con riguardo al profilo soggettivo, assumeva rilievo la quanto meno parziale coincidenza degli associati.
La Corte di appello avrebbe immotivatamente trascurato tali elementi, valorizzando essenzialmente la diversa composizione dei due sodalizi, non considerando come l’intera attività dell’associazione semplice fosse permeata della riferibilità all’associazione mafiosa che, del resto, era destinataria di una percentuale dei proventi.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento della continuazione tra la partecipazione all’associazione mafiosa contestata in questo procedimento e la precedente condanna riportata dal ricorrente sempre in relazione alla partecipazione al medesimo sodalizio, come risultante dalla sentenza emessa dalla Corte di appello di Catania il 15 dicembre 2017 e passata in giudicato nel 2019.
In quest’ultimo procedimento, COGNOME era stato condannato in quanto ritenuto un soggetto in posizione di vertice nell’ambito del “clan COGNOME“, con riguardo alla condotta tenuta fino ad ottobre 2003.
La Corte di appello aveva ritenuto che il notevole lasso temporale intercorso tra i fatti già giudicati e quelli oggetto del presente procedimento (nel quale la contestazione riguarda gli anni 2016-2017), impedirebbe di riconoscere l’unitarietà del disegno criminoso.
Si tratterebbe di un’affermazione contraddittoria e illogica, nella misura in cui non considerava che l’associazione alla quale Privitera ha partecipato – prima quale soggetto apicale e poi quale mero partecipe – è sempre la medesima, né vi sono elementi dai quali desumere che vi sia stata una effettiva rescissione con il contesto criminale di appartenenza.
Né potrebbe assumere rilievo il fatto che la composizione dell’associazione sarebbe mutato nel periodo ultradecennale in esame, posto che tali modifiche sono fisiologiche rispetto ad un sodalizio mafioso che, tuttavia, è per sua natura tendenzialmente permanente nella sua esistenza, pur a fronte di modifiche nella compagine associativa.
Peraltro, l’affermazione sarebbe anche errata in punto di fatto, posto che il capo storico dell’associazione era individuabile sia nel 2002, sia all’attualità, in NOME COGNOME; anche alcuni degli associati, in particolare COGNOME e COGNOME sono stati ritenuti partecipi con continuità all’associazione, tant’è che nei loro confronti, sia pur in separati procedimenti, veniva riconosciuta la continuazione.
Tali elementi conforterebbero circa l’identità dell’associazione che, evidentemente, non richiede anche l’identità dei soggetti che nel corso del tempo vi hanno aderito.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della disponibilità di armi. I giudici di merito si sarebbero limitati a richiamare l’accertata disponibilità di armi da parte del clan COGNOME emersa in altri procedimenti, nonché alcune conversazioni intercettate, senza indicarne il contenuto, né la specifica rilevanza rispetto alla contestata aggravante.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, nonostante il comportamento processuale collaborativo tenuto dall’imputato, il quale – all’udienza dell’i aprile 2021 – ammetteva la propria partecipazione all’associazione mafiosa.
Peraltro, si rappresenta che le attenuanti generiche erano state riconosciute al coimputato, separatamente giudicato, NOME COGNOME il che darebbe luogo ad una ingiustificata disparità di trattamento.
2.5. Con il quinto motivo di contesta la quantificazione della pena, sia in relazione all’eccessivo aumento disposto a titolo di continuazione, sia in relazione all’omessa indicazione dei parametri di computo.
2.6. Con il sesto motivo, infine, si deduce la violazione dell’art. 63, comma 4, cod. pen. in relazione al doppio aumento disposto in relazione alle aggravanti ad effetto speciale previste dall’art. 416-bis, commi quarto e sesto, cod. pen., senza applicare il temperamento previsto dal citato art. 63.
Nell’interesse di NOME sono stati proposti due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta partecipazione all’associazione mafiosa.
Dopo aver richiamato i consolidati principi giurisprudenziali che ancorano la partecipazione all’associazione ad uno stabile inserimento, con la messa a disposizione del proprio contributo causale rispetto al perseguimento dei fini criminosi, il ricorrente ha sottolineato l’assenza degli indici rivelatori di ta apporto.
La difesa evidenzia come nei confronti di NOME non risulti alcuna rituale affiliazione e non emerga la partecipazione rispetto a reati fine; le interlocuzioni avvenute con riguardo alla presunta estorsione contestata al capo 2) sarebbero irrilevanti, posto che per tale ipotesi di reato tutti gli imputati sono stati assolti intercettazioni ritenute rilevanti sono di numero modesto e concentrate in un breve lasso temporale; la gran parte dei collaboratori di giustizia escussi non conosceva NOMECOGNOME il cui coinvolgimento è stato riferito dal solo NOME COGNOME Quest’ultimo, peraltro, non ricordava nemmeno il nome del ricorrente e lo ha identificato esclusivamente in quanto appartenente alla famiglia NOME che avrebbe la gestione di una piazza di spaccio nel quartiere di Nesima.
3.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., in relazione alle quali la Corte di appello avrebbe omesso qualsivoglia motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto nell’interesse di Privitera è parzialmente fondato, nei limiti di seguito specificati.
Il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME è manifestamente infondato.
Occorre premettere che i giudici di merito hanno ricostruito l’organigramma dell’associazione semplice, nonché la finalità perseguita, circoscritta ad una sistematica evasione dell’IVA e delle accise sulla compravendita di prodotti
petroliferi, realizzata mediante l’interposizione di società cartiere operanti quali “esportatori abituali” e la conseguente emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Nella sentenza di appello (si veda pg.15-16) si individua il ruolo dei vari partecipi, nonché la stabilità della struttura, sottolineando come COGNOME e COGNOME fornivano la “connotazione mafiosa”, assicurando l’utilizzo del metodo mafioso per intimidire e scoraggiare coloro che si frapponevano allo svolgimento dell’attività illecita, garantendo il versamento di una percentuale dei proventi realizzati al clan COGNOME. Prosegue la Corte di appello riconoscendo che l’associazione semplice agiva e operava per conto di quella mafiosa.
Pur dando atto del collegamento tra le due associazioni e del legame formalmente garantito proprio dalla presenza in entrambe di Privitera, i giudici di merito hanno escluso che l’associazione minore potesse essere assorbita in quella maggiore, valorizzando la settorialità del campo operativo dell’associazione semplice, nonché il fatto che gran parte dei suoi aderenti erano estranei all’associazione mafiosa.
In punto di fatto – con giudizio immune da censure in questa sede – la Corte di appello ha descritto un fenomeno criminoso interamente circoscritto al compimento di reati nel settore del commercio di prodotti petroliferi, pur riconoscendo un interesse diretto in tale ambito da parte del clan mafioso.
Tale interessenza, tuttavia, non è tale da poter far ritenere l’attrazione del programma criminoso dell’associazione semplice in quello più ampio perseguito dall’associazione mafiosa, posto che diverse sono le strutture organizzative e gli organigrammi, come pure non assimilabili sono le modalità operative. .
Deve ritenersi che il giudizio di merito reso sul tema sollevato dalla difesa sia immune da censure, peraltro, le conclusioni cui sono giunti i giudici di appello sono conformi alla consolidata giurisprudenza secondo cui è configurabile il concorso tra un’associazione di tipo mafioso e un’associazione per delinquere dotata di un’autonoma struttura organizzativa che, avvalendosi del contributo di sodali anche diversi dai soggetti affiliati al sodalizio mafioso, persegua un proprio programma delittuoso, dalla cui attuazione discende il concomitante conseguimento dell’interesse del clan (da ultimo, Sez. 2, n. 8790 del 6/12/2023, dep. 2024, Tegano, Rv 286005; sia pur con riguardo ad una diversa fattispecie, si veda pure Sez.U, n. 1149 del 25/9/2008, dep. 2009, Magistris, Rv. 241883).
Non conduce a diverse conclusioni il fatto che, in relazione all’associazione semplice, è stata riconosciuta l’aggravante dell’uso del metodo mafioso, posto che tale circostanza è per sua natura volta a sanzionare l’impiego del metodo con riguardo al compimento di determinati reati, a prescindere dalla loro commissione
in un contesto associativo mafioso.
Il secondo motivo di ricorso proposto da COGNOME è fondato, in relazione all’omesso riconoscimento della continuazione tra il reato di associazione mafiosa oggetto del presente procedimento e la condanna per l’analoga ipotesi giudicata con sentenza della Corte di appello di Catania.
La sentenza impugnata ha escluso la continuazione sottolineando la distanza temporale – oltre un decennio – intercorso tra i fatti già giudicati (contestati fino all’ottobre 2003) e quelli oggetto di questo procedimento (relativi al periodo 20162017).
Inoltre, si è ritenuto che le associazioni oggetto dei due procedimenti sarebbero del tutto differenti con riguardo alla componente soggettiva e alla situazione storica e ambientale. Infine, si evidenzia come nel periodo intercorso tra la precedente condanna e i nuovi fatti di reato, Privitera non sarebbe stato coinvolto nei plurimi procedimenti che hanno riguardato il clan COGNOME.
3.1. Le argomentazioni su cui si basa la sentenza impugnata appaiono manifestamente illogiche e contraddittorie, oltre che non conformi ai consolidati principi giurisprudenziali elaborati in materia.
In linea generale, si ritiene che ai fini della configurabilità del vincol della continuazione tra reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione (Sez.5, n. 20900 del 26/4/2021, COGNOME, Rv. 281375).
La questione deve essere esaminata tenendo conto della natura permanente del reato associativo, rispetto al quale è ben ipotizzabile un’iniziale adesione cui facciano seguito segmenti di condotta non continuativi, oggetto di contestazioni frazionate e interrotti anche dalla sottoposizione a periodi di detenzione.
Proprio in considerazione della particolarità del reato associativo, si è affermato che l’accertamento contenuto nella sentenza di condanna delimita la protrazione temporale della permanenza del reato con riferimento alla data finale cui si riferisce l’imputazione ovvero alla diversa data ritenuta in sentenza, o, nel caso di contestazione c.d. aperta, alla data della pronuncia di primo grado; ne consegue che la successiva prosecuzione della medesima condotta illecita oggetto di accertamento può essere valutata esclusivamente quale presupposto per il
riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari episodi(Sez.6, n. 3054 del 14/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272138).
3.2. Alla luce di tali premesse, si ritiene che i parametri che la Corte di appello ha valorizzato per escludere la continuazione non appaiano corretti.
Il riconoscimento della continuazione tra più segmenti di partecipazione ad una medesima associazione mafiosa deve tener conto della peculiarità del reato per i quale si procede e della possibilità che, in concreto, l’associazione sia strutturata come tendenzialmente permanente e prescinda dalle modifiche soggettive che si verificano nel corso del tempo.
Si tratta di dati che meritano specifico apprezzamento in considerazione della particolarità delle cosiddette “mafie storiche”, rispetto alle quali la giurisprudenza è incline a riconoscere che il sopravvenuto stato detentivo del soggetto non determina la necessaria ed automatica cessazione della sua partecipazione al sodalizio, atteso che la relativa struttura – caratterizzata da complessità, forti legami tra gli aderenti e notevole spessore dei progetti delinquenziali a lungo termine – accetta il rischio di periodi di detenzione degli aderenti, soprattutto in ruoli apicali, alla stregua di eventualità che, da un lato, attraverso contatti possibili anche in pendenza di detenzione, non ne impediscono totalmente la partecipazione alle vicende del gruppo ed alla programmazione delle sue attività e, dall’altro, non ne fanno venir meno la disponibilità a riassumere un ruolo attivo alla cessazione del forzato impedimento (Sez. 2, n. 8461 del 24/01/2017, De Notaris, Rv. 269121).
Deve ribadirsi che il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo – costituito da fasi di detenzione o da condanne – trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio (Sez. 1, n. 38486 del 19/05/2011, COGNOME, Rv. 251364; da ultimo, Sez.2, n. 16560 del 23/2/2023, Monti, Rv.284525).
In quest’ottica, pertanto, la distanza temporale tra i fatti preg ressi e quelli per i quali si invoca il regime della continuazione assume una rilevanza marginale e non univocamente indicativa della rescissione del vincolo, in considerazione della natura del reato associativo e della tendenziale stabilità del vincolo mafioso, anche in presenza di prolungati periodi di detenzione intermedi.
3.2. L’ulteriore elemento che è stato erroneamente valorizzato dalla Corte di appello concerne la modifica della composizione soggettiva del sodalizio nel lungo periodo intercorso tra la prima condanna di Privitera e i fatti attuali.
La difesa ha condivisibilmente evidenziato come l’unicità dell’associazione e,
quindi, l’unicità del disegno criminoso integrato dalla volontà di parteciparvi, non dipende dalla mutevole composizione soggettiva, connaturata al fatto che, nel caso di specie, si verte in tema di “mafie storiche”, stabilmente insediate su un determinato territorio e operanti in un più ampio contesto criminale basato sul reciproco riconoscimento tra le varie articolazioni.
Nel caso di specie è indicativo dell’unicità dell’associazione il fatto che il ruolo verticistico è rimasto nelle mani di NOME COGNOME e dei suoi familiari, a riprova della continuità dei vertici associativi e dell’identità del sodalizio.
Per potersi affermare che si tratti di una stessa associazione, assume valenza preminente la localizzazione e l’individuazione deil’esercizio del potere intimidatorio sul medesimo territorio, nonché l’esistenza di una continuità nella vita associativa, tale da far ritenere che le modifiche soggettive e anche quelle relative all’oggetto dell’attività del sodalizio altro non siano che l’inevitabi conseguenza dell’evoluzione nel tempo di un fenomeno che, per sua natura, non è statico.
Il fatto che nel corso di un ampio lasso temporale si assista a modifiche nella compagine associativa è un dato neutro e del tutto connaturato alla struttura dell’associazione che, per poter proseguire la propria attività nel corso degli anni, ha evidentemente necessità di garantire un ricambio tra gli appartenenti, senza che per ciò solo possa affermarsi la “diversità” del sodalizio.
3.3. La dimostrazione della contraddittorietà della motivazione in ordine al disconoscimento della continuazione è desumibile anche da quanto sostenuto dalla Corte di appello in relazione al riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416bis, comma quarto, cod. pen. Si è ritenuto, infatti, che la disponibilità di armi da parte del clan COGNOME era desumibile dalla sentenza resa in pronunce risalenti al 2002, argomento che presuppone necessariamente la continuità tra l’associazione mafiosa operante a quell’epoca e quella alla quale l’imputato ha partecipato nel periodo oggetto di contestazione.
Il terzo motivo di ricorso attiene all’avvenuto riconoscimento dell’aggravante della disponibilità delle armi da parte dell’associazione.
La Corte di appello ha elencato plurimi procedimenti – che coprono un arco temporale che va dal 2002 al 2013 – nei quali è sempre stata riconosciuta l’aggravante in esame nei confronti degli appartenenti al clan COGNOME.
Inoltre, si dà atto di come, in molte intercettazioni, acquisite in questo procedimento, gli interlocutori facevano chiaro riferimento alla disponibilità di armi.
La difesa ha dedotto l’insufficienza di tale motivazione, lamentando l’omessa
indicazione del contenuto delle intercettazioni ritenute idonee a dimostrare la disponibilità di armi.
Il motivo è generico, posto che la Corte di appello ha sintetizzato il contenuto delle intercettazioni dando conto del fatto che in esse si ammetteva la disponibilità delle armi, indicando anche in maniera specifica quali fossero le intercettazioni rilevanti.
A fronte di tale motivazione, sarebbe stato onere della difesa dedurre il travisamento della prova in ordine alla corretta individuazione del contenuto delle conversazioni, non potendosi semplicemente contestare la sintesi operata dalla Corte.
Il quarto motivo di ricorso, relativo all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, è manifestamente infondato, avendo la Corte di appello ampiamente motivato in ordine alla particolare gravità della condotta, all’assenza di circostanze fattuali idonee a giustificare il riconoscimento delle generiche, anche in considerazione della parziale e non determinante ammissione di responsabilità limitata al capo 1).
Il quinto e sesto motivo di ricorso, inerenti alla determinazione della pena anche in relazione alle aggravanti riconosciute in relazione al reato associativo di cui al capo 1), risultano manifestamente infondati, posto che il congiunto esame delle sentenze di merito consente di apprezzare l’idoneo percorso motivazione sotteso alla quantificazione della pena.
Peraltro, dovendo provvedere il giudice del rinvio al nuovo esame in ordine all’eventuale riconoscimento della continuazione, la quantificazione della pena complessiva rimane sub iudice.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Il primo motivo consiste nella ricostruzione in chiave riduttiva del quadro probatorio, al fine di escludere l’appartenenza di NOME al clan COGNOME.
In particolare, il ricorrente stigmatizza come l’unico collaborante che lo indica quale appartenente al sodalizio è NOME COGNOME il quale dimostra di averne una conoscenza superficiale.
Si tratta di una prospettazione che non tiene conto delle puntuali osservazioni contenute in sentenza, lì dove si specifica che Messina è stato estremamente chiaro nell’affermare che tutta la famiglia COGNOME, incaricata della gestione di una piazza di spaccio, apparteneva fin dal 2015 al clan COGNOME.
Al contempo, si è ritenuto – con motivazione in punto di fatto non sindacabile
in questa sede – che non inficiasse l’attendibilità di Messina il fatto che questi non conoscesse il nome di NOME, avendolo genericamente indicato come uno dei “fratelli NOME“.
Per converso, è stato ritenuto ben più pregnante il tipo di attività attribuita ai fratelli COGNOME e, quindi, anche al ricorrente, ritenendosi che la gestione di una pizza di spaccio, in un contesto territoriale sottoposto al controllo del sodalizio mafioso, non potesse che essere affidato ad associati.
Quale riscontro alle dichiarazioni del collaborante sono indicate le plurime conversazioni intercettate dalle quali emergono i diretti e stretti rapporti del ricorrente con altri associati, nonché l’interlocuzione su vicende inerenti all’associazione.
Si tratta di aspetti di fatto in relazione ai quali la conforme motivazione resa dai giudici di merito non presenta aspetti di manifesta contraddittorietà o illogicità e che, conseguentemente, non è suscettibile di rivalutazione in sede di legittimità.
7.2 Il secondo motivo concernente il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e di quella della minima partecipazione è infondato.
Invero, la Corte di appello ha, con motivazione implicita, dato atto degli elementi di fatto incompatibili con il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Per quanto concerne, invece, 1″attenuante della minima partecipazione, è sufficiente richiamare il condiviso principio giurisprudenziale secondo cui la circostanza di cui all’art. 114 cod. pen., non può trovare applicazione in relazione a fattispecie di partecipazione ad associazioni delinquenziali, consistendo la detta partecipazione nell’adesione del singolo al patto sociale, con il che si è al di fuori della figura del concorso di cui all’art. 110 cod. pen. e dello specifico regime delle attenuanti (Sez.1, n. 8042 del 19/3/1992, NOME, Rv. 191300; Sez.1, n. 7188 del 10/12/2020, dep.2021, Rv. 280804). Con riguardo ai reati associativi, il giudice può valutare la portata concreta della partecipazione di ciascuno all’associazione, graduando conseguentemente la pena e riconoscendo, eventualmente, le attenuanti generiche, ma non può riconoscere l’esistenza di una circostanza legata alla disciplina del concorso nel reato, essendo l’istituto del concorso di persone – fatta salva l’eventualità del concorso esterno – estranea rispetto alla figura del reato associativo.
In conclusione, il ricorso proposto da COGNOME può essere accolto limitatamente al mancato riconoscimento della continuazione, con conseguente annullamento con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso proposto da NOMECOGNOME invece, è infondato e al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente al mancato riconoscimento della continuazione e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania, rigettando nel resto il ricorso.
Rigetta il ricorso di NOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 ottobre 2024