Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22631 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22631 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CROTONE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/11/2023 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO che ha concluso per il rigetto;
dato avviso al difensore che ha depositato memoria;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva ex art. 671 cod. proc. pen. avanzata da NOME COGNOME in relazione ai reati giudicati dalla sentenza:
a) Corte d’Assise d’appello di Catanzaro in data 10 maggio 2013, irrevocabile il 29 ottobre 2014, per detenzione di armi e partecipazione ad associazione mafiosa ex art. 416-bis cod. pen., commesso dal 2004 fino al 17 febbraio 2009 (data della sentenza di primo grado);
b) Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro in data 5 luglio 2012, irrevocabile il 4 dicembre 2013, per tentata estorsione aggravata ex art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203), commesso in data 19 maggio 2011;
c) Corte d’appello di Catanzaro in data 17 dicembre 2021, irrevocabile il 10 dicembre 2022, per partecipazione ad associazione mafiosa ex art. 416-bis cod. pen., commesso a far data dal 2017 (fino all’il maggio 2020, data della sentenza di primo grado).
Ricorre NOME COGNOME, a mezzo dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, che chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la violazione di legge e il vizio della motivazione con riguardo al mancato riconoscimento della continuazione tra i reati perché la condotta associativa della sentenza sub a) costituisce il collante del tentativo di estorsione della sentenza sub b) e dei fatti associativi giudicati con la sentenza sub c), sussistendo una vera e propria continuità.
Del resto, il giudice di merito della sentenza sub c) ha sostenuto (pag. 332) che le conversazioni intercettate denotano che COGNOME, già condannato per il delitto associativo quale partecipe, ha continuato a svolgere le stesse funzioni e i medesimi compiti già espletati in passato nella veste di referente autorevole della organizzazione e di fiduciario del boss NOME COGNOME alias “NOME“.
2.1. Il difensore ha depositato memoria con la quale insiste nel ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Va anzitutto ricordato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che «la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 del decreto-legge n. 152 del 1991, convertito in legge n. 203 del 1991, non implica di per sé la partecipazione dell’autore all’associazione mafiosa, così come la sua ritenuta insussistenza non comporta l’automatica esclusione del soggetto dal reato associativo» (Sez. 5, n. 38786 del 23/05/2017, COGNOME Caro, Rv. 271204), sicché deve escludersi qualsivoglia automatismo tra sussistenza dell’aggravante e partecipazione all’associazione.
Sotto tale profilo, dunque, non è affatto errata la decisione del giudice dell’esecuzione nella parte in cui ha fondato il rigetto della richiesta ex art. 671 cod. proc. pen., sottolineando la distanza temporale tra i fatti giudicati con la sentenza sub a) e quelli giudicati con la sentenza sub b), nonché la cessazione del legame associativo alla data del 2009, mentre la condotta estorsiva risale al 2011.
Né il ricorrente ha dedotto specifici elementi dai quali inferire che, nonostante la detenzione subìta, egli non solo abbia mantenuto il legame associativo (circostanza neppure dedotta), ma che l’estorsione successivamente commessa era finalizzata a rafforzare la detta organizzazione, risultando, piuttosto, che la ritenuta aggravante ex art. 7 I. n. 203 del 1991 riguardava il “metodo mafioso”.
2.1. Il giudice dell’esecuzione ha, inoltre, sottolineato che, sulla base della ricostruzione dell’episodio estorsivo per come emerge dalle sentenze di cognizione, la deliberazione di esso fu estemporanea e che mancava, in sostanza, una preventiva programmazione di detto reato al momento dell’adesione al programma associativo.
Ciò, a ben vedere, è pienamente aderente al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che ha chiarito come «è ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati
commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.» (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, COGNOME, Rv. 279430; Sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, COGNOME, Rv. 249930).
Il giudice dell’esecuzione ha sottolineato che tale preventiva programmazione non è neppure dedotta dal condannato il quale si è limitato a evidenziare la esistenza di alcuni indici ritenuti indicativi dell’identità criminosa.
2.3. Non è, infatti, configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del medesimo, non erano programmabili ab origine, perché legati a circostanze ed eventi contingenti ed occasionali o, comunque, non immaginabili e neppure programmati al momento iniziale dell’associazione stessa.
Quanto ai rapporti tra le due condanne per partecipazione ad associazione mafiosa, il giudice di merito ha evidenziato che la prima vicenda riguarda il periodo dal 2004 al 2009, tanto che la pena risulta espiata interamente in data 18 maggio 2015, e attiene alla partecipazione alla cosca RAGIONE_SOCIALE, mentre la seconda riguarda la partecipazione, a decorrere dal gennaio 2017, alla cosca COGNOME.
Il generico riferimento, contenuto nella sentenza sub c), alla tendenza a delinquere dell’imputato, il quale non ha esitato a svolgere nuovamente le funzioni di associato mafioso che lo avevano portato alla condanna sub a), non vale, a differenza di quanto sostiene il ricorso, a ravvisare la unicità del disegno criminoso, mancando, come lo stesso ricorso non contesta, una preventiva ideazione dei vari episodi, inclusi i periodi di carcerazione, i mutamenti del vertice associativo e della stessa compagine criminale.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30 aprile 2024.