LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Continuazione reato associativo: no se il fine è occasionale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra il reato di associazione mafiosa e un omicidio commesso anni dopo. La Corte ha stabilito che la continuazione reato associativo non è configurabile se il reato-fine è legato a circostanze occasionali e non era stato programmato, almeno nelle linee generali, al momento dell’ingresso nel sodalizio criminale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione reato associativo: no se il fine è occasionale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23442 del 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto penale: i presupposti per la continuazione reato associativo. La decisione chiarisce che non è possibile riconoscere il vincolo della continuazione tra la partecipazione a un’associazione mafiosa e un reato-fine commesso a distanza di anni, se quest’ultimo risulta essere un evento occasionale e non previsto nel programma criminoso iniziale.

Il Caso in Analisi

Il ricorrente, già condannato con sentenze definitive per partecipazione a un’associazione di tipo mafioso (clan dei casalesi) fino al 1998 e per un omicidio volontario commesso nel 1996, aveva richiesto al giudice dell’esecuzione di riconoscere il vincolo della continuazione tra i due reati. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene sotto la logica di un unico disegno criminoso.

La Corte d’Assise d’Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto l’istanza. La motivazione si basava sulla notevole distanza temporale tra l’affiliazione al clan, risalente agli anni 1986/1987, e l’omicidio, avvenuto circa dieci anni dopo a seguito di un episodio contingente (un “sgarro” della vittima). Secondo i giudici di merito, l’omicidio non poteva essere considerato come parte del programma criminoso originario dell’imputato.

I Limiti della continuazione reato associativo

Il nodo centrale della questione giuridica riguarda i requisiti per applicare l’istituto della continuazione tra un reato permanente come l’associazione a delinquere e un reato istantaneo come l’omicidio. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo stabilito un principio rigoroso: la continuazione è configurabile solo se i reati-fine sono stati programmati, almeno nelle linee generali, al momento stesso in cui il soggetto si è determinato a entrare nel sodalizio criminale.

Non è sufficiente che il reato-fine rientri genericamente negli scopi dell’associazione; è necessario che la sua commissione fosse parte di una deliberazione unitaria iniziale. Di conseguenza, sono esclusi dalla continuazione i delitti che, sebbene commessi nell’ambito delle attività del clan, sono legati a circostanze ed eventi contingenti, occasionali o non immaginabili al momento dell’adesione all’associazione.

Il ruolo del giudice dell’esecuzione e il vincolo del giudicato

Un altro aspetto fondamentale affrontato dalla Cassazione riguarda i poteri del giudice dell’esecuzione. Il ricorrente sosteneva che il giudice avrebbe dovuto verificare concretamente l’arco temporale della sua partecipazione al clan, suggerendo che questa si fosse manifestata solo con l’omicidio stesso.

La Corte ha respinto questa argomentazione, ribadendo che il giudice dell’esecuzione è vincolato agli accertamenti contenuti nelle sentenze passate in giudicato. Poiché la sentenza di condanna per il reato associativo aveva già stabilito in via definitiva che l’affiliazione del ricorrente risaliva al 1986-1987, il giudice dell’esecuzione non poteva rimettere in discussione tale dato storico né compiere una nuova valutazione di merito.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, confermando la decisione dei giudici di merito. Le motivazioni si basano su due pilastri:

1. L’occasionalità del reato-fine: L’omicidio è stato commesso nel 1996, a quasi dieci anni di distanza dall’ingresso nel clan. La sua causa scatenante è stata un evento contingente e specifico (“fatti coevi”), non una direttiva strategica pianificata sin dall’inizio. All’epoca della sua affiliazione, il ricorrente non si occupava di omicidi, compito che ha assunto solo in una fase successiva, con il consolidarsi della sua posizione nel clan. Questa evoluzione interna e l’occasionalità del delitto impediscono di ipotizzare una programmazione unitaria con l’originaria adesione.

2. Il rispetto del giudicato: I giudici dell’esecuzione hanno correttamente agito nel rispetto del giudicato. Non potevano ignorare l’accertamento definitivo sull’epoca di affiliazione (1986-1987) per accogliere la tesi difensiva di una partecipazione successiva e coincidente con l’omicidio. Travolgere il giudicato esula dai poteri del giudice in sede esecutiva.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio consolidato in materia di continuazione reato associativo. Per poter beneficiare di un trattamento sanzionatorio unitario, non basta che un delitto sia coerente con le finalità di un’organizzazione criminale, ma è indispensabile dimostrare che esso fosse parte integrante di un “medesimo disegno criminoso” concepito fin dal momento dell’adesione. I reati che emergono da circostanze occasionali e imprevedibili, anche se funzionali al sodalizio, rimangono penalmente distinti e autonomi. La decisione sottolinea inoltre l’intangibilità del giudicato, che vincola il giudice dell’esecuzione agli accertamenti di fatto già cristallizzati nelle sentenze definitive.

È possibile applicare la continuazione tra il reato di associazione mafiosa e un omicidio commesso anni dopo?
No, secondo la sentenza non è possibile se l’omicidio non era stato programmato, almeno nelle sue linee generali, al momento dell’ingresso nell’associazione, ma deriva da circostanze occasionali e contingenti successive.

Il giudice dell’esecuzione può rimettere in discussione l’epoca di affiliazione a un clan stabilita da una sentenza definitiva?
No, la sentenza chiarisce che il giudice dell’esecuzione è vincolato all’accertamento dei fatti contenuto nella sentenza definitiva (il cosiddetto “giudicato”) e non può compiere una diversa valutazione di merito su di essi.

Per ottenere la continuazione reato associativo, è sufficiente che il reato-fine rientri nelle attività del sodalizio criminale?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che è necessaria la prova di una programmazione unitaria dei reati-fine fin dal momento in cui il partecipe ha deciso di entrare nel sodalizio. Un reato commesso occasionalmente non soddisfa questo requisito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati