Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28119 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28119 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/11/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito jl difensore
FATTO E DIRITTO
Con l’ordinanza di cui in epigrafe la eorte di assise di appello di Napoli in funzione di giudice dell’esecuzione penale, decidendo quale giudice del rinvio ex art. 627, c.p.p., rigettava la richiesta avanzata nell’interesse di COGNOME NOMENOME volta ad ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione in relazione ad una serie di reati per i quali, in tempi diversi, al COGNOME erano state applicate le pene ritenute di giustizia, in virtù delle sentenze di condanna pronunciate da diverse autorità giudiziarie nei suoi confronti.
Avverso la suddetta ordinanza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il RAGIONE_SOCIALE, lamentando violazione di legge, in relazione all’art. 671, c.p.p., e vizio di motivazione.
Con requisitoria scritta dell’11.2.2024 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO.ssa NOME COGNOME, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
Il ricorso va accolto, perché sorretto da motivi fondati.
Con un unico motivo di impugnazione il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione in executivis tra il delitto di cui all’art. 416 bis c.p., oggetto della sentenza di condanna sub 2), e l’omicidio di COGNOME NOME, oggetto della sentenza di condanna sub 1).
In particolare, il giudice dell’esecuzione ha escluso che, al momento dell’adesione al clan COGNOME RAGIONE_SOCIALE, il COGNOME potesse avere previsto e voluto l’omicidio giudicato con la sentenza sub 1), emergendo chiaramente dalla sentenza anzidetta che, diversamente dal tentato omicidio di COGNOME, l’omicidio di COGNOME era stato determinato da una esigenza contingente, sopravvenuta e non preventivabile, riguardante la tutela dell’incolumità fisica del capo-clan, avendo quest’ultimo appreso che l’COGNOME aveva indicato ad alcune persone, con lui detenute, che stavano progettando l’omicidio del COGNOME, il luogo dove quest’ultimo di solito andava a correre, sul quale si affacciava l’abitazione dell’COGNOME, ucciso, per tale ragione, dal COGNOME su ordine del COGNOME, quando la
vittima era rientrata a casa, in occasione di un permesso ottenuto per le festività pasquali.
L’eliminazione di COGNOME, in altri termini, ad avviso del giudice dell’esecuzione, non era inquadrabile in un programma di eliminazione degli avversari, tanto più che dagli atti non era emersa l’appartenenza della vittima alla criminalità organizzata, presentando per tale ragione connotati diversi dal tentato omicidio del COGNOME, che il giudice della cognizione aveva posto in continuazione con il reato di cui all’art. 416bis, c.p.
Orbene, come è noto, da tempo la giurisprudenza di legittimità è attestata sul principio espresso dalla Suprema Corte nella sua espressione più autorevole, secondo cui il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della conAVV_NOTAIOa, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, Rv. 270074).
In ordine, poi, alla possibilità di ravvisare il vincolo della continuazione fra reato associativo e reati-fine, va ribadito il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui è ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodaliziot (In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della
continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis: cfr., ex plurimis, Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Rv. 279430, nonché, nello stesso senso, da ultima Sez. 1, n. 39858 del 28/04/2023, Rv. 285369).
Sicché, come è stato affermato, non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reati fine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili “ah origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione, (Fattispecie in tema di rapporti tra associazione per delinquere di tipo mafioso e tentato omicidio aggravato ex art. 7 del D.L. n. 152 del 1991: cfr., Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, Rv. 259481).
Si tratta, dunque, di verificare se, alla luce di tali principi possa ritenersi dotata di intrinseca coerenza logica la motivazione del giudice dell’esecuzione, che ha escluso il riconoscimento dell’invocato vincolo della continuazione, sul presupposto che l’omicidio dell’COGNOME, “pur essendo stato commesso con modalità camorristiche e al fine di agevolare l’attività del clan RAGIONE_SOCIALE, non può, per alcun verso, essere ritenuto quale delitto previamente ideato, sia pure nelle linee generali, dal RAGIONE_SOCIALE all’atto di adesione al gruppo criminale, in quanto determinato da un’esigenza occasionale, contingente, sopravvenuta e non preventivabile, afferente la tutela dell’incolumità fisica del capoclan, esigenza insorta a seguito delle confidenze fatte dall’COGNOME a nemici del COGNOME e perciò non inquadrabile in un programma di eliminazione degli avversari” .
Ad avviso del Collegio tale motivazione appare priva di intrinseca coerenza logica, dunque contraddittoria, in quanto, premesso che lo stesso giudice dell’esecuzione riconosce che il COGNOME faceva parte del gruppo del clan COGNOME preposto alle azioni di fuoco e che, allo scopo di assicurare il predominio dell’organizzazione camorristica sul territorio di riferimento, il COGNOME, sempre su mandato di COGNOME NOME, aveva
preso parte al tentato omicidio di COGNOME NOME, che con COGNOME NOME sfidava il predominio del clan COGNOME nella gestione delle piazze di spaccio di sostanze stupefacenti all’interno del Rione Don Guanella di Napoli, non si comprende perché la decisione di uccidere il COGNOME, presa da persone ristrette in carcere con l’COGNOME, che, una volta appresa dal capo clan, ha determinato la condanna a morte dell’COGNOME, non sia riconducibile alle stesse dinamiche di lotta tra gruppi contrapposti per l’egemonia camorristica sul territorio, su cui si è fondato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra il reato associativo e il tentato omicidio in danno del COGNOME.
Appare, in altri termini, del tutto tautologica l’affermazione del giudice dell’esecuzione secondo cui l’omicidio dell’COGNOME sia stato determinato da un’esigenza estemporanea, occasionale, contingente, sopravvenuta e non preventivabile, in assenza di ogni approfondimento sulle ragioni per cui i compagni di cella dell’COGNOME avevano deciso l’eliminazione fisica del COGNOME.
6. Le indicate aporie e omissioni del percorso motivazionale, giustificano, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte di assise di appello di Napoli in qualità di giudice dell’esecuzione, in diversa composizione, affinché colmi le evidenziate lacune, uniformandosi ai principi di diritto in precedenza indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla eorte di assise di appello di Napoli.
Così deciso in Roma il 2.4.2024.