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Continuazione reato associativo: Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di una Corte d’Appello che negava il riconoscimento della continuazione reato associativo tra due condanne per associazione mafiosa. La corte territoriale aveva escluso il vincolo basandosi sul lasso di tempo e sulla diversità dei membri dei due clan. La Cassazione ha ritenuto la motivazione insufficiente, sottolineando che è necessario indagare sull’unicità del disegno criminoso iniziale, senza fermarsi a elementi superficiali come i cambiamenti nella compagine associativa, specialmente quando vi sono indizi di una continuità operativa anche durante la detenzione. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reato Associativo: Oltre il Tempo e i Volti del Clan

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 47259 del 2024, offre un’importante lezione sul concetto di continuazione reato associativo. Il caso esaminato chiarisce che per riconoscere un unico disegno criminoso non ci si può fermare alla distanza temporale tra i reati o ai cambiamenti nella composizione di un gruppo criminale. È necessaria un’analisi più profonda, volta a scoprire se l’intento criminale originario sia mai venuto meno.

I Fatti del Caso: Due Condanne per Associazione Mafiosa

Il ricorrente aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione di riconoscere il vincolo della continuazione tra due distinte condanne definitive. La prima, del 2016, riguardava la sua partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, fondata dal padre nel 2012. La seconda, del 2023, si riferiva alla partecipazione, tra il 2017 e il 2019, a un diverso gruppo mafioso, considerato una propaggine di ‘Cosa nostra’ nel territorio ennese, a cui il padre non risultava affiliato.

Tra le due condotte delittuose vi era un significativo lasso di tempo, in gran parte coincidente con un periodo di detenzione del ricorrente.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’appello di Caltanissetta, in funzione di Giudice dell’esecuzione, aveva respinto l’istanza. La sua decisione si fondava principalmente su tre elementi:

1. La diversità delle compagini associative: il secondo gruppo criminale aveva membri diversi rispetto al primo.
2. La cesura temporale: gli anni intercorsi tra i fatti, compreso il periodo di detenzione, erano visti come un’interruzione del disegno criminoso.
3. Una nuova deliberazione criminale: la Corte riteneva che l’adesione al secondo gruppo fosse il frutto di una nuova e autonoma decisione, non la prosecuzione del piano originario.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Cassazione sul Reato Associativo

La difesa ha impugnato l’ordinanza, sostenendo che la motivazione della Corte territoriale fosse illogica e carente. Secondo il ricorrente, il giudice non aveva adeguatamente considerato elementi cruciali che dimostravano la persistenza di un medesimo disegno criminoso. In particolare, si lamentava che non fosse stata data rilevanza a:

* La continuità dei contatti con altri affiliati, anche durante la detenzione.
* Le direttive che il ricorrente avrebbe continuato a impartire dal carcere.
* Il fatto che il secondo gruppo non fosse altro che una riorganizzazione del primo, una dinamica fisiologica nelle organizzazioni criminali a seguito di arresti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: per la configurabilità della continuazione reato associativo, non basta un generico riferimento al tipo di reato o all’omogeneità delle condotte. È necessaria una specifica indagine sulla natura dei sodalizi, sulla loro operatività e sulla loro continuità nel tempo.

L’obiettivo è accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione. La Corte d’Appello, secondo la Cassazione, ha commesso un errore metodologico: si è fermata a una valutazione superficiale (il tempo, i nomi degli affiliati) senza approfondire se, al di là di questi cambiamenti, fosse sopravvissuto il ‘pactum sceleris’ originario. Il giudice dell’esecuzione non ha offerto una spiegazione valida sul perché i contatti mantenuti durante la detenzione fossero irrilevanti e non ha esaminato a fondo le sentenze irrevocabili che, secondo la difesa, contenevano le prove di questa continuità.

In sostanza, la Corte ha postulato che il clan originario si fosse sciolto, ma senza fornire un adeguato supporto motivazionale a tale conclusione.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante promemoria per i giudici dell’esecuzione. La valutazione sulla continuazione, specialmente in contesti complessi come i reati associativi, deve essere rigorosa e basata su tutti gli elementi disponibili. Non ci si può limitare a constatare le discontinuità esteriori, ma si deve scavare per comprendere se il progetto criminale iniziale sia effettivamente cessato o se si sia semplicemente adattato a nuove circostanze. Il caso è stato quindi rinviato alla Corte d’Appello per un nuovo giudizio che dovrà attenersi a questi principi, approfondendo i temi sollevati dalla difesa.

È possibile riconoscere la continuazione tra due reati di associazione mafiosa commessi a distanza di anni?
Sì, è possibile. Secondo la sentenza, non è sufficiente considerare il tempo trascorso o le parziali differenze nella composizione del gruppo criminale. È necessaria un’indagine specifica per accertare se, nonostante i cambiamenti, esista un’unica programmazione criminale iniziale.

La detenzione interrompe necessariamente il vincolo della continuazione in un reato associativo?
No. La sentenza chiarisce che il periodo di detenzione non è un elemento decisivo per escludere la continuazione. La Corte di Cassazione ha infatti criticato il giudice precedente per non aver valutato le prove secondo cui l’imputato avrebbe continuato a impartire direttive dal carcere, dimostrando la possibile persistenza del suo disegno criminoso.

Cosa deve valutare un giudice per decidere sulla continuazione tra reati associativi?
Il giudice deve condurre un’indagine approfondita sulla natura dei sodalizi, la loro concreta operatività e la loro continuità nel tempo. L’obiettivo è verificare l’esistenza di un’unicità del ‘momento deliberativo’, ovvero un unico piano criminale originario, e la sua successiva attuazione, anche attraverso l’appartenenza a organizzazioni solo apparentemente diverse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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