Continuazione Reato: Quando si Applica Anche Senza Esplicita Contestazione
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di continuazione reato, chiarendo i poteri del giudice in fase di determinazione della pena. La decisione offre spunti cruciali sul principio di correlazione tra accusa e sentenza e sulla sufficienza della motivazione per gli aumenti di pena. Analizziamo insieme questa importante pronuncia per capire le sue implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. L’imputato lamentava che i giudici di secondo grado avessero applicato un aumento di pena per la continuazione reato, ai sensi dell’art. 81 del codice penale, pur in assenza di una specifica menzione di tale articolo nel capo d’imputazione. Secondo la difesa, tale operato violava il principio di correlazione tra l’accusa formulata e la sentenza emessa. Un ulteriore motivo di doglianza riguardava la presunta carenza di motivazione in merito all’entità dell’aumento di pena applicato.
La Decisione della Corte: Focus sulla Continuazione Reato
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito che il principio di correlazione tra accusa e sentenza non viene violato se il giudice riconosce la sussistenza della continuazione tra più condotte criminose, anche quando l’art. 81 c.p. non è espressamente citato nell’imputazione. Ciò che rileva, infatti, non è l’indicazione formale degli articoli di legge, ma la compiuta descrizione dei fatti contestati. Se dalla narrazione fattuale emerge chiaramente che le diverse azioni delittuose sono riconducibili a un unico disegno criminoso, il giudice è legittimato a qualificarle come reato continuato.
La Motivazione dell’Aumento di Pena
Anche la seconda censura, relativa alla motivazione dell’aumento di pena, è stata respinta. La Corte ha osservato che l’aumento applicato era stato minimale (tre mesi di reclusione e la corrispondente pena pecuniaria). In questi casi, la motivazione può essere più sintetica, essendo sufficiente che il giudice dia conto di aver rispettato i criteri generali di commisurazione della pena previsti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, come avvenuto nel caso di specie.
Le Motivazioni della Sentenza
La motivazione della Corte si fonda su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Il fulcro del ragionamento risiede nella distinzione tra la contestazione del fatto storico e la sua qualificazione giuridica. Il diritto di difesa dell’imputato è garantito quando egli è messo in condizione di conoscere e difendersi da tutti gli elementi del fatto che gli viene addebitato. La qualificazione giuridica di tale fatto, inclusa la riconduzione a un’ipotesi di continuazione reato, rientra nel potere del giudice. Pertanto, se la descrizione dei fatti nel capo d’imputazione è sufficientemente chiara da far emergere la possibilità di un unico disegno criminoso, l’imputato non subisce alcuna lesione del suo diritto di difesa.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza conferma che la valutazione sulla sussistenza della continuazione reato è una prerogativa del giudice, che può esercitarla sulla base della descrizione fattuale contenuta nell’atto di accusa, indipendentemente dalla menzione esplicita dell’art. 81 c.p. La decisione sottolinea inoltre un principio di economia processuale e di proporzionalità: per aumenti di pena minimi, non è richiesta una motivazione analitica e complessa, ma è sufficiente un richiamo ai criteri di legge, a patto che la decisione sia logica e coerente. Per gli operatori del diritto, ciò significa che l’attenzione in fase di difesa deve concentrarsi sulla ricostruzione del fatto, poiché è da questa che discende la qualificazione giuridica e, di conseguenza, il trattamento sanzionatorio.
Può un giudice ritenere la sussistenza della continuazione reato se non è esplicitamente indicata nel capo di imputazione?
Sì. Secondo la Corte, ciò che rileva non è l’indicazione formale degli articoli di legge violati, ma la compiuta descrizione del fatto. Se dalla descrizione emerge che più condotte sono state realizzate in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, il giudice può applicare la disciplina della continuazione.
Cosa significa che un ricorso in Cassazione viene dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché presenta vizi procedurali o, come in questo caso, è ritenuto manifestamente infondato. Di conseguenza, la decisione impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È necessaria una motivazione dettagliata per un aumento minimo della pena dovuto alla continuazione reato?
No. La Corte ha stabilito che, per un aumento di pena applicato in misura minimale, è sufficiente una motivazione che dia conto dell’osservanza dei criteri generali previsti dagli artt. 132 e 133 del codice penale, senza necessità di un’analisi eccessivamente approfondita.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33101 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33101 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a VITTORIA il 31/10/1995
avverso la sentenza del 12/03/2025 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata; visto il ricorso di COGNOME NOME
OSSERVA
Ritenuto che la parte del ricorso con cui si deduce la violazione di legge penale là dove la Corte di appello ha applicato l’aumento per la continuazione in ordine ai reati di cui agli artt. comma 1 e 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990 nonostante non fosse contestata l’ipotesi continuata con l’espressa indicazione dell’art. 81 cod. pen. è manifestamente infondata, essendo pacifico il principio di diritto secondo cui “Non viola il principio di correlazione tra ac sentenza la decisione di condanna in cui è ritenuta la sussistenza della continuazione tra più condotte, tutte autonomamente integratici della norma incriminatrice contestata, e non un unico fatto di reato, anche nel caso in cui non vi sia nel capo di imputazione il riferimento all’ar cod. pen., poiché ciò che rileva non è l’indicazione degli articoli di legge che si assumono viol ma la compiuta descrizione del fatto (Sez. 3, n. 24365 del 14/03/2023, G., Rv. 284670 – 03);
rilevato che analogo limite incontra la censura di non aver adeguatamente motivato gli aumenti della pena per la ritenuta continuazione, applicati in misura minimale di tre mesi d reclusione e della corrispondente pena pecuniaria in accoglimento del motivo di appello, così dando conto dell’osservanza dei criteri di cui all’art.132 e 133 cod. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 15/09/2025.