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Continuazione reato appello: quando è tardi chiederla?

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un imputato, chiarendo i limiti per la richiesta di riconoscimento della continuazione reato appello. Se tale istanza non è inserita nei motivi specifici dell’atto di impugnazione ma solo nelle conclusioni finali, il giudice di secondo grado non ha l’obbligo di pronunciarsi, trattandosi di una sua mera facoltà discrezionale. La questione potrà comunque essere sollevata davanti al giudice dell’esecuzione.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Continuazione del Reato in Appello: Limiti e Tempistiche secondo la Cassazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 33954/2024) offre un importante chiarimento sui limiti procedurali per richiedere il riconoscimento della continuazione reato appello. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale: se la richiesta non è inserita tra i motivi specifici dell’atto di appello, il giudice non ha alcun obbligo di pronunciarsi, anche se la questione viene sollevata successivamente. Questa decisione sottolinea il rigore delle forme processuali e l’importanza di una strategia difensiva ben definita fin dal primo momento dell’impugnazione.

I Fatti del Caso: Una Richiesta Tardiva in Appello

Il caso trae origine dal ricorso di un imputato, condannato in primo e secondo grado per i reati di violazione di domicilio e violazione degli obblighi della sorveglianza speciale. In sede di appello, la difesa aveva chiesto la riapertura dell’istruttoria per acquisire un’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione che riconosceva il vincolo della continuazione tra altre due sentenze di condanna a carico dello stesso imputato.

Tuttavia, tale richiesta non era stata formulata nell’atto di appello originario, ma era stata inserita per la prima volta solo nelle conclusioni scritte depositate per l’udienza. La Corte d’Appello non si era pronunciata su questo punto, confermando la condanna. L’imputato ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando proprio l’omessa valutazione di tale istanza.

La Questione Giuridica: Effetto Devolutivo vs. Potere Discrezionale

Il nodo centrale della questione riguarda la natura del giudizio di appello e i poteri del giudice. Il processo di appello è governato dal cosiddetto “effetto devolutivo”, secondo cui la cognizione del giudice di secondo grado è limitata ai punti della sentenza impugnata che sono stati oggetto di specifici motivi di gravame. In altre parole, il giudice può decidere solo su ciò che gli viene specificamente chiesto nell’atto di appello.

La difesa sosteneva che la richiesta fosse ammissibile perché basata su un provvedimento emesso dopo la proposizione dell’appello. La Cassazione, tuttavia, ha tracciato una netta distinzione tra una questione sollevata come motivo di appello e una richiesta introdotta ex novo nel corso del giudizio.

La Decisione della Cassazione sulla Continuazione Reato Appello

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, stabilendo che la Corte d’Appello non aveva commesso alcuna violazione di legge. I giudici di legittimità hanno chiarito che, quando la questione della continuazione non è oggetto di uno specifico motivo di appello, il giudice di secondo grado non ha alcun obbligo di esaminarla.

Il Principio dell’Effetto Devolutivo

La Corte ha ribadito che il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante è strettamente correlato ai motivi di impugnazione. Introdurre una nuova questione, come la richiesta di riconoscimento della continuazione, solo nelle conclusioni finali, significa porla al di fuori del perimetro del devolutum, ovvero l’oggetto del giudizio trasferito alla corte superiore.

Il Ruolo del Giudice dell’Esecuzione

Anche aderendo all’orientamento più flessibile, che ammette la possibilità per il giudice di valutare d’ufficio la continuazione, la Cassazione ha precisato che si tratta di una “mera facoltà” e di un “potere discrezionale”. Di conseguenza, il mancato esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha inoltre sottolineato che l’imputato non resta privo di tutela, in quanto la questione della continuazione tra reati giudicati con sentenze diverse e definitive può sempre essere sottoposta al Giudice dell’Esecuzione, che è la sede naturale per tali valutazioni.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della sentenza si fonda sulla necessità di preservare la struttura e la certezza del processo di impugnazione. Consentire l’introduzione indiscriminata di nuovi temi di doglianza in fasi avanzate del giudizio d’appello minerebbe il principio devolutivo e la corretta dialettica processuale. La Cassazione ha affermato che, se una questione non è devoluta tramite un apposito motivo, il giudice può, ma non deve, prenderla in considerazione. La sua omissione non costituisce un vizio della sentenza, poiché la facoltà discrezionale, per sua natura, non è un obbligo. Il rigetto del ricorso si giustifica quindi nel pieno rispetto dei principi procedurali, indirizzando correttamente la parte a far valere le proprie ragioni nella sede competente, ovvero quella esecutiva.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per la Difesa

La sentenza n. 33954/2024 lancia un messaggio chiaro agli operatori del diritto: la richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione deve essere formulata in modo tempestivo e formale, inserendola come specifico motivo nell’atto di appello. Affidarsi a una richiesta tardiva, presentata solo nelle conclusioni, rappresenta una strategia processuale rischiosa e inefficace, poiché rimette l’esito della decisione alla totale discrezionalità del giudice, senza possibilità di contestare un’eventuale omissione in Cassazione. È quindi cruciale che la difesa pianifichi attentamente tutti i motivi di impugnazione sin dall’inizio, per garantire che ogni questione rilevante venga debitamente esaminata dal giudice del gravame.

È possibile chiedere il riconoscimento della continuazione per la prima volta durante la discussione dell’appello?
Sì, è possibile, ma la sentenza chiarisce che se la richiesta non è stata formulata come specifico motivo nell’atto di appello, il giudice non ha l’obbligo di pronunciarsi. La decisione è rimessa alla sua mera facoltà discrezionale.

Se il giudice d’appello non si pronuncia su una richiesta di continuazione fatta tardivamente, la sua sentenza è viziata?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’omessa pronuncia su una richiesta non inclusa nei motivi d’appello non costituisce una violazione di legge, poiché il giudice non aveva l’obbligo di decidere su quel punto ma solo una facoltà.

Cosa può fare l’imputato se il giudice d’appello ignora la sua richiesta tardiva di continuazione?
L’imputato non perde il diritto di far valere la continuazione. Potrà sottoporre la questione al giudice dell’esecuzione, che è la sede competente per le questioni che sorgono dopo che una condanna è diventata definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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