Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14731 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14731 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CERCOLA il 25/03/1986
avverso l’ordinanza del 18/12/2024 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Visti gli atti e l’ordinanza impugnata;
letto il ricorso;
rilevato che:
la giurisprudenza di legittimità, con riferimento al vincolo della continuazione in sede di esecuzione, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria, da parte del singolo agente, di una pluralità di condotte illecite, stabilendo che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di illeciti, gi concepiti almeno nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, NOME, Rv. 255156);
tale programma, a sua volta, non deve essere confuso con la sussistenza di una concezione di vita improntata all’illecito, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950);
la verifica di tale preordinazione non può essere compiuta sulla base di indici meramente presuntivi ovvero di congetture processuali, essendo necessario dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione invocato siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso unitario (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596);
di conseguenza, «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074)»;
per converso, non è necessaria la concomitante ricorrenza di tutti i predetti indicatori, potendo l’unitarietà del disegno criminoso essere apprezzata anche al cospetto di soltanto alcuni di detti elementi, purché significativi (in questo senso
cfr., tra le tante, Sez. 1, n. 8513 del 09/01/2013, Cardinale, Rv. 254809; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, Lombardo, Rv. 242098);
l’accertamento di tali indici è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, quando il convincimento del giudice sia
sorretto da una motivazione adeguata e congrua, senza vizi logici e travisamento dei fatti;
ritenuto che:
nel caso in esame, il giudice dell’esecuzione ha escluso la riconducibilità al medesimo disegno criminoso dei reati in materia di stupefacenti per i quali NOME
è stato condannato con due diverse sentenze sul rilievo, tra l’altro, della disomogeneità delle condotte e della distanza temporale tra i fatti;
rispetto a tali argomentazioni le censure difensive si collocano in termini meramente avversativi e confutativi essendosi limitato il ricorrente e contestare
la motivazione dell’ordinanza impugnata lamentandone l’erroneità e deducendone, in termini generici, la non condivisibilità, alla luce di parametri già
valutati dal giudice dell’esecuzione;
considerato che, pertanto, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 3/04/2025.