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Continuazione reati: quando lo spaccio è mafioso

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio un’ordinanza che negava il riconoscimento della continuazione reati tra la partecipazione a un’associazione mafiosa e un singolo episodio di spaccio. La Corte ha ritenuto la motivazione del giudice di merito carente e assertiva, in quanto non aveva adeguatamente considerato elementi probatori significativi, come la contestualità temporale tra l’affiliazione al sodalizio e la consumazione del reato fine, che avrebbero potuto dimostrare un unico disegno criminoso iniziale.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reati: la Cassazione traccia il confine tra reato associativo e reato fine

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Sezione 1 Penale, numero 13513 del 2025, offre un importante chiarimento sui criteri per l’applicazione della continuazione reati tra il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso e i cosiddetti ‘reati fine’, come lo spaccio di stupefacenti. La Suprema Corte ha annullato la decisione di un Tribunale che aveva negato il vincolo della continuazione, giudicando la motivazione insufficiente e illogica.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già condannato per partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e per estorsione, aveva chiesto al giudice dell’esecuzione di riconoscere la continuazione tra questi reati e una precedente condanna per cessione di sostanze stupefacenti. I reati di mafia ed estorsione erano stati commessi a partire dal 2009 e fino al 2016, mentre l’episodio di spaccio risaliva all’ottobre 2009.

Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta. Secondo il giudice, mancavano prove di una programmazione unitaria che legasse il reato di spaccio al più ampio programma del sodalizio criminale. Non era sufficiente, a suo avviso, che lo spaccio potesse essere considerato un ‘reato fine’ dell’associazione mafiosa per stabilire automaticamente l’esistenza di un unico disegno criminoso.

L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che esistevano prove concrete, incluse le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che dimostravano come l’ideazione dell’attività di spaccio fosse coeva al suo ingresso nel sodalizio criminale, e quindi parte di un unico piano iniziale.

L’Analisi della Corte sulla continuazione reati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza impugnata e rinviando gli atti al Tribunale per un nuovo esame. Il punto centrale della decisione riguarda la qualità della motivazione del provvedimento del giudice dell’esecuzione.

La Suprema Corte ribadisce un principio consolidato: per configurare la continuazione reati tra il reato associativo e i reati fine, non basta che questi ultimi rientrino nelle attività del gruppo criminale. È necessario che essi siano stati programmati, almeno nelle loro linee generali, fin dal momento dell’ingresso del reo nell’associazione. In altre parole, deve esistere un’unica ideazione originaria che abbracci tutti i crimini.

La carenza motivazionale del provvedimento impugnato

Il cuore della censura della Cassazione risiede nel modo in cui il Tribunale ha applicato questo principio. La decisione del giudice di merito è stata definita ‘totalmente assertiva ed aprioristica’. Il Tribunale, infatti, ha escluso la programmazione comune senza attribuire il giusto peso a un elemento probatorio di grande importanza: l’evidente contestualità tra l’affiliazione al clan e la commissione del reato di spaccio. Questa vicinanza temporale costituiva un forte indizio di un piano criminoso unitario concepito sin dall’inizio.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si fonda sulla violazione dei principi di logicità e completezza che devono caratterizzare ogni provvedimento giurisdizionale. Secondo gli Ermellini, il giudice dell’esecuzione ha omesso di confrontarsi con un ulteriore elemento cruciale: il fatto che, nello stesso giudizio di cognizione, la continuazione era già stata riconosciuta per altri reati fine, di natura patrimoniale, commessi dall’imputato in epoche successive alla sua affiliazione.

Questo dato indicava una notevole capacità progettuale del sodalizio e del singolo affiliato fin dall’origine. Se il piano criminale iniziale era così ampio da includere reati futuri e diversi, era illogico escludere a priori, e senza una solida argomentazione, un reato come lo spaccio, commesso quasi contestualmente all’ingresso nel clan. La motivazione del Tribunale è stata quindi giudicata carente sotto il profilo della logicità, della coerenza e della completezza, rendendo necessario l’annullamento dell’ordinanza.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un monito per i giudici dell’esecuzione. Nel valutare l’esistenza della continuazione reati, non è sufficiente enunciare un principio di diritto corretto, ma è indispensabile applicarlo concretamente analizzando tutti gli elementi probatori a disposizione. La vicinanza temporale tra l’adesione a un’associazione criminale e la commissione di un reato fine è un fattore significativo che non può essere ignorato. Il giudice deve fornire una motivazione completa e logica, che dia conto di tutte le risultanze processuali, per giustificare la propria decisione. Il caso torna ora al Tribunale, che dovrà procedere a una nuova valutazione, più approfondita e coerente, seguendo le indicazioni della Suprema Corte.

Quando si può riconoscere la continuazione tra un reato associativo mafioso e un reato fine come lo spaccio?
La continuazione è configurabile solo se il reato fine (come lo spaccio) non solo rientra nelle attività del sodalizio, ma è stato anche programmato, almeno a grandi linee, al momento dell’ingresso del reo nell’organizzazione criminale, come parte di un unico disegno criminoso iniziale.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza del Tribunale?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché la motivazione era ‘totalmente assertiva ed aprioristica’. Il Tribunale non ha dato il giusto peso a elementi probatori significativi, come la stretta vicinanza temporale tra l’affiliazione al clan e la commissione del reato di spaccio, e non si è confrontato con il fatto che per altri reati successivi la continuazione era già stata riconosciuta.

Cosa deve fare ora il Tribunale di rinvio?
Il Tribunale deve effettuare una nuova valutazione del caso, esaminando in modo approfondito e logico tutti gli elementi a disposizione. Dovrà in particolare considerare se la contestualità tra affiliazione e spaccio, insieme agli altri indizi, sia sufficiente a dimostrare che il reato fine fosse parte del piano criminoso originario, fornendo una motivazione completa e coerente per la sua nuova decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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