Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47015 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47015 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VALLECORSA il 06/02/1964
avverso l’ordinanza del 02/09/2024 del GIP TRIBUNALE di LATINA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 2 settembre 2024 il Tribunale di Latina, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto delle seguenti sentenze di condanna emesse nei suoi confronti:
sentenza della Corte d’appello di Roma del 7 maggio 2008, per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commesso dal 31 luglio 2000 al 15 ottobre 2001;
sentenza della Corte d’appello di Roma del 20 gennaio 2023, per il reato di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. commesso il 23 aprile 2018;
sentenza della Corte d’appello di Roma del 28 giugno 2023, per il reato di cui all’art. 216 e 223 l. fall. commesso il 2 ottobre 2013.
In particolare, nel respingere l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei reati, evidenziando in particolare che gli stessi erano stati commessi a distanza di tempo l’uno dall’altro. Il reato fiscale risale addirittura agli anni 2000 – 2001, ma anche i due fatti di bancarotta non potevano essere oggetto di un’unica volizione criminale non potendo desumersi l’unicità del disegno criminoso soltanto dalla circostanza che il condannato dopo il fallimento della prima società ha continuato la medesima attività commerciale negli stessi locali con la seconda società, poi a sua volta fallita.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza nonostante
che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile dalla esigua distanza temporale tra i fatti giudicati, in particolare con riferimento agli episodi oggetto delle due bancarotte; inoltre, si trattava in concreto della stessa azienda che era stata trasferita dalla prima società fallita alla seconda a titolo gratuito; il dato temporale non deve essere legato alla declaratoria di fallimento, ma alla data di commissione delle singole condotte; la prosecuzione, senza soluzione di continuità, dell’attività commerciale immediatamente dopo la declaratoria del primo fallimento induce a ritenere la sussistenza di una volizione criminale unitaria, anche considerato che le modalità delle condotte sono simili, come anche la tipologia dei reati ed il bene giuridico offeso.
Con il secondo motivo deduce violazione di legge perchØ, con riferimento alla condanna per il reato fiscale, il condannato aveva chiesto anche la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ed il giudice ha respinto l’istanza senza alcuna motivazione.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
Il primo motivo, dedicato al rigetto dell’istanza di continuazione, deduce che l’istanza Ł stata respinta nonostante che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile dalla esigua distanza temporale tra i fatti giudicati, in particolare gli episodi oggetto delle due condanne per bancarotta dovrebbero essere valutati con riferimento non alla data della sentenza di fallimento ma a quella di effettiva commissione dei reati.
L’argomento Ł infondato. E’ vero che nella giurisprudenza di legittimità si Ł affermato l’indirizzo, secondo cui, ove talune condanne, fra quelle di cui il reo sostenga la continuazione, riguardino reati di bancarotta, l’indagine del giudice non può limitarsi all’esame delle date di emissione delle sentenze dichiarative dei diversi fallimenti, ma deve tener conto, qualora sia possibile, anche dei vari momenti nei quali i singoli comportamenti del reo, destinati a costituire elementi dei reati che siano poi venuti a consumazione, abbiano avuto concreta manifestazione, restando irrilevante la scelta teorica circa la natura da riconoscere alla sentenza dichiarativa di fallimento (Sez. 1, n. 24657 del 5/2/2019, COGNOME, Rv. 276194), però, nel caso in esame, in cui il reato fiscale Ł stato commesso tra il 2000 ed il 2001, la condotta sostanziale che ha provocato il fallimento della prima società (il trasferimento a titolo gratuito dell’azienda dalla prima alla seconda società) Ł dedotto esser avvenuta nel 2007, mentre la seconda società Ł fallita soltanto nel 2018 senza che sia stata individuata una specifica condotta distrattiva risalente già al periodo di trasferimento dell’azienda che ne avrebbe condizionato in modo decisivo la possibilità di gestione in bonis nel decennio successivo – non Ł manifestamente illogica la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha ritenuto che lo iato temporale tra i reati fosse talmente ampio da essere indice univoco della inesistenza di una volizione criminale unitaria alla base degli stessi.
Il ricorso deduce che, proprio per effetto del trasferimento di azienda, deve ravvisarsi la sussistenza di una volizione criminale unitaria tra la prima e la seconda bancarotta, attesa la continuità aziendale esistente tra la prima e la seconda fallita.
L’argomento Ł infondato. La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato, infatti, che la continuità aziendale tra due società fallite non Ł di per sØ un indice dell’esistenza di una volizione criminale unitaria, in assenza di elementi – che nel caso in esame non sono prospettati – da cui desumere che già dal momento in cui, nell’ambito della prima società, il condannato ha iniziato a
compiere atti distrattivi, lo stesso si fosse prefigurato, ‘almeno nelle sue linee essenziali’ (cfr. Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074), il compimento di atti distrattivi anche nella seconda società; infatti, la circostanza che si trattasse di società operanti nello stesso settore di mercato, o con identità della struttura societaria, ‘nulla prova in ordine alla sussistenza di una risoluzione criminosa unitaria ed originaria, e al contrario offre argomenti per individuare una predilezione del condannato per la medesima tipologia di illecito (…), espressione di una scelta di vita asociale ed indicativa di una maggiore pericolosità sociale del reo’ (Sez. 1, n. 46502 del 10/06/2022, COGNOME, n.m.).
Il motivo Ł, pertanto, infondato.
Il secondo motivo, relativo alla sostituzione della pena detentiva, Ł, invece, inammissibile.
L’istante aveva chiesto la sostituzione della pena detentiva con riferimento alla condanna per il reato fiscale, che era divenuta irrevocabile il 24 aprile 2009.
Si trattava di una istanza inammissibile, perchØ la norma attributiva del potere del giudice dell’esecuzione di disporre la sostituzione della pena detentiva, che Ł l’art. 95, comma 1, secondo periodo, d.lgs. n. 150 del 2022, disponendo che ‘il condannato a pena detentiva non superiore a quattro anni, all’esito di un procedimento pendente innanzi la Corte di cassazione all’entrata in vigore del presente decreto, può presentare istanza di applicazione di una delle pene sostitutive di cui al Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, al giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 666 del codice di procedura penale, entro trenta giorni dalla irrevocabilità della sentenza’, presuppone che il processo, in cui Ł stata inflitta la pena detentiva che si chiede al giudice dell’esecuzione di sostituire, fosse pendente al 30 dicembre 2022. Nel caso in esame, la sentenza di condanna era diventata irrevocabile il 24 aprile 2009, quindi era fuori della forcella temporale che avrebbe permesso al giudice dell’esecuzione l’applicazione della norma invocata.
L’inammissibilità a monte dell’istanza rende inammissibile per carenza d’interesse la deduzione spesa nel ricorso, in cui si lamenta la omessa motivazione del giudice dell’esecuzione sulla istanza di sostituzione (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281: in tema d’impugnazioni, Ł inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ab origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio; in termini piø generali v. anche Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, P.m: in proc. Timpani, Rv. 203093: l’interesse richiesto dall’art. 568, quarto comma, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica piø vantaggiosa per l’impugnante rispetto a quella esistente (…))
Il ricorso Ł, pertanto, nel complesso, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 20/11/2024
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME