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Continuazione reati: mafia e spaccio, serve un piano

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45965/2024, ha respinto la richiesta di riconoscimento della continuazione reati tra la partecipazione a un’associazione mafiosa e successivi episodi di spaccio. La Corte ha chiarito che non è sufficiente operare nello stesso contesto criminale; è necessario dimostrare che i reati successivi fossero stati programmati sin dall’adesione al sodalizio, elemento che mancava nel caso di specie, data la distanza temporale e le diverse modalità esecutive.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione Reati: Non Basta l’Appartenenza al Clan per Unificare le Pene

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 45965 del 2024 affronta un tema cruciale nel diritto penale: i limiti e le condizioni per l’applicazione della continuazione reati. Questo istituto permette di unificare, sotto un’unica pena più favorevole, diversi reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Il caso in esame chiarisce che la semplice appartenenza a un’associazione mafiosa non è sufficiente a creare un automatismo che leghi tutti i reati commessi nel tempo, specialmente se distanti tra loro e con modalità diverse. Approfondiamo la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso

Un soggetto, già condannato per partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e per reati di detenzione e cessione di stupefacenti commessi tra il 2009 e il 2010, ha presentato un’istanza al giudice dell’esecuzione. L’obiettivo era ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione con un altro reato di spaccio di stupefacenti, commesso tra febbraio e marzo 2018 e giudicato con una sentenza separata.

La Corte d’appello di Napoli aveva respinto la richiesta, sottolineando la notevole distanza temporale tra i due gruppi di reati (quasi otto anni) e la diversità delle modalità esecutive. I primi reati erano stati commessi nell’ambito delle attività strutturate di un clan camorristico, inclusa la coltivazione di piantagioni di marijuana. Il reato del 2018, invece, consisteva in singoli episodi di cessione. Secondo i giudici di merito, era impossibile ipotizzare che, al momento dell’adesione al clan nel 2009, l’imputato avesse già programmato gli specifici episodi di spaccio del 2018.

La Decisione della Cassazione sulla Continuazione Reati

Il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la Corte d’appello non avesse considerato elementi importanti come l’identità del modus operandi (sempre nell’ambito del clan di famiglia), l’unicità del contesto territoriale e la natura dello stupefacente. Inoltre, citava un provvedimento di sorveglianza speciale che descriveva la sua attività criminale come perdurante per tutto il decennio 2009-2018.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Ha confermato l’orientamento secondo cui il riconoscimento della continuazione reati richiede una verifica approfondita di indicatori concreti. Tra questi figurano l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta e, soprattutto, la prova che i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, al momento della commissione del primo.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Cassazione è chiara e si fonda su un principio consolidato: non esiste un automatismo tra l’appartenenza a un’associazione mafiosa e la continuazione con tutti i reati-fine commessi. Se così fosse, ogni reato commesso da un affiliato dovrebbe essere considerato in continuazione con il delitto associativo, snaturando la logica dell’istituto.

La Corte ha stabilito che, per collegare il reato associativo ai reati-fine, il giudice deve verificare puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento dell’ingresso nel sodalizio. Nel caso specifico, mancava qualsiasi elemento per sostenere che gli episodi di spaccio del 2018 fossero il frutto di una decisione presa quasi un decennio prima. Al contrario, la distanza temporale, la diversità delle modalità esecutive e l’assenza di prove concrete hanno portato i giudici a concludere che i reati del 2018 fossero il risultato di decisioni “sopravvenute e maturate successivamente all’inizio della partecipazione all’associazione criminosa”.

Il provvedimento di sorveglianza speciale, pur attestando la persistenza della pericolosità sociale e dell’attività criminale, dimostra la prosecuzione della partecipazione al clan, ma non prova l’originaria programmazione di tutti i singoli reati futuri in materia di stupefacenti.

Conclusioni: L’Importanza della Programmazione Iniziale

Questa sentenza ribadisce un punto fondamentale per l’applicazione della continuazione reati: la centralità del “medesimo disegno criminoso”. Questo non può essere presunto sulla base del solo contesto criminale, ma deve essere provato attraverso elementi concreti che dimostrino una programmazione unitaria e iniziale. Un lungo lasso di tempo tra i fatti e modalità esecutive differenti sono potenti indicatori contrari, che suggeriscono l’esistenza di decisioni autonome e successive. Per gli operatori del diritto, questa decisione sottolinea la necessità di un’analisi fattuale rigorosa, che vada oltre la semplice appartenenza a un contesto delinquenziale per provare l’unicità del progetto criminale fin dal principio.

È sufficiente commettere più reati nello stesso contesto criminale, come un clan mafioso, per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha chiarito che la semplice appartenenza a un’associazione criminale non dimostra automaticamente che tutti i reati commessi siano parte di un unico disegno criminoso iniziale.

Cosa è necessario dimostrare per collegare il reato di associazione mafiosa ai successivi reati-fine (come lo spaccio) in un unico disegno criminoso?
È necessario provare, con elementi concreti, che i reati-fine successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento in cui il soggetto ha deciso di aderire all’associazione criminosa.

Un lungo intervallo di tempo tra i reati può influire sul riconoscimento della continuazione?
Sì, una notevole distanza temporale tra i reati, come nel caso di specie (quasi un decennio), è un elemento rilevante che indebolisce la tesi di un unico disegno criminoso e suggerisce piuttosto che i reati più recenti siano frutto di decisioni nuove e autonome.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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