Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23429 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23429 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Santa Maria Capua Vetere il DATA_NASCITA;
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 28/06/2023;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha parzialmente accolto la richiesta di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento ai reati per i quali egli era stato riconosciuto colpevole con le seguenti sentenze irrevocabili: 1) sentenza della Corte di appello di Napoli dell’i marzo 2012, con condanna alla pena di anni sette di reclusione ed euro 2.000 di multa per il reato di cui agli artt. 110,81, 610, 629,628 cod. pen. commesso in Marcianise fino al 4 luglio 2008; 2) sentenza della Corte di appello di Napoli pronunciata il 21 dicembre 2011, con condanna alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art.416-bis cod. pen. commesso in Casal di Principe fino al luglio 2005; 3) sentenza della Corte di appello di Napoli del 21 novembre 2015, con condanna alla pena di anni quattro di reclusione ed euro 400 di multa per i reati di cui agli artt.110,81,56,629,628 cod. pen., 7 1.203/91 commessi I’l ottobre 2012 in Casapesenna ed altrove; 4) sentenza della Corte di appello di Napoli pronunciata il 17 giugno 2020, con condanna alla pena di anni sei di reclusione per il reato di cui all’art.416-bis cod. pen. commesso in Casal di Principe ed altri luoghi dal settembre 2012 sino al settembre 2014.
In particolare, il giudice dell’esecuzione ha accolto la richiesta del condannato limitatamente ai reati di cui alle sentenze nn.3 e 4 riconoscendo la continuazione tra il reato associativo e le relative condotte di tentata estorsione rideterminando la pena per i reati di cui alla sentenza sub 3) in anni due di reclusione ed euro 400 di multa, mentre ha respinto per il resto la domanda.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME, per mezzo dell’AVV_NOTAIO, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art.173 disp. att. c proc. pen., insistendo per l’annullamento del provvedimento impugnato con riferimento al parziale diniego della continuazione.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt.81 cod. pen. e 671 del codice di rito ed il relativo vizi di motivazione mancante con riferimento al mancato riconoscimento della sussistenza della unicità del disegno criminoso tra i reati oggetto delle quattro sentenze sopra riportate. Al riguardo osserva che il giudice dell’esecuzione ha erroneamente ritenuto di non potere riconoscere la continuazione tra i due reati associativi essendo stata la stessa esclusa in sede di cognizione, poiché in realtà la difesa aveva prodotto nuova documentazione (rappresentata dal riconoscimento
della continuazione in favore di altro condannato in una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in esame) a conferma della sussistenza della unicità del disegno criminoso che avvinceva le due associazioni di stampo mafioso, visto che NOME COGNOME era sempre stato componente del RAGIONE_SOCIALE, prima nella c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE‘ e poi in quella c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Il difensore del ricorrente ha avanzato istanza di trattazione orale del procedimento che è stata respinta trattandosi di ricorso disciplinato dall’art.611 del codice di rito, da trattarsi quindi in camera di consiglio non partecipata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (con il quale non viene impugnato il mancato riconoscimento della continuazione tra il reato associativo di cui alla sentenza n.2 e quello estorsivo della sentenza n.1) è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Questa Corte ha già affermato che il disconoscimento, in sede di cognizione, della continuazione tra un reato associativo, oggetto di separata condanna, e altro reato impedisce al giudice dell’esecuzione di riconoscere il vincolo di continuazione tra quel reato associativo ed altri reati con quello per il quale il giudice dell cognizione ha negato il detto vincolo (Sez. 1, n. 16235 del 30/03/2010, Di Firmo, Rv. 24748201).
Effettivamente, da una parte l’esclusione della continuazione da parte del giudice della cognizione ha efficacia preclusiva assoluta nei confronti del giudice dell’esecuzione; dall’altra, l’identità del disegno criminoso che si affermi in relazione a una serie di reati, comporta che ciascun reato, partecipando di tale identità, si configuri avvinto da una relazione perfettamente simmetrica rispetto alla sottoclasse, costituita da tutti gli altri reati.
Invero la Corte territoriale, senza incorrere in vizi logici, ha respinto la richiesta ex art. 671 cod. proc. pen. tra le due condotte associative sulla circostanza (pacifica) della esclusione della sussistenza della continuazione da parte del giudice della cognizione con la sentenza pronunciata dalla stessa Corte di appello il giorno 17 giugno 2020.
Inoltre, sempre in modo non manifestamente illogico, il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che non poteva assumere rilievo l’avvenuto riconoscimento della continuazione in favore di NOME COGNOME, stante la sua differente posizione processuale.
Ne consegue che i vizi lamentati dal ricorrente non sussistono poiché la Corte territoriale ha correttamente considerato come preclusivo l’avvenuto diniego della continuazione da parte del giudice della cognizione ed il condannato, pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione, sollecita a questa Corte una differente valutazione degli elementi processuali che è operazione preclusa in questa sede.
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non esulando profili di colpa nella presentazione del ricorso (Corte Cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara COGNOME inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2024.